Testata:Newsletter di Giulio Meotti Autore: Giulio Meotti Titolo: «I poliziotti del politicamente corretto vogliono cancellare anche Albert Camus»
Riprendiamo il commento originale di Giulio Meotti, tratto dalla sua newsletter, dal titolo: “I poliziotti del politicamente corretto vogliono cancellare anche Albert Camus”.
Giulio Meotti
Chi conosce l’espressione “DWM” sa che non è una marca di automobili. Sta per “Dead White Males”. I maschi bianchi morti. Sono chiamati così, nel mondo accademico occidentale, i grandi del passato che devono essere spazzati via dal terzomondismo dilagante e nell’“anno zero del rogo dei libri”, come lo chiama la rivista americana Chronicles.
E così Socrate, Cartesio e Aristotele sono “razzisti e colonialisti” secondo la famosa università londinese SOAS di studi orientali, che stila una lista nera dei pensatori occidentali che non si dovrebbero più citare. Al loro posto, una femminista indiana e una “teorica del genere” nigeriana. Secondo il Washington Post “Aristotele è il padre del razzismo scientifico”.
Il vecchio e il mare di Hemingway? “Mascolino”.
George Berkeley sarà anche uno dei padri fondatori della filosofia e ha ispirato Albert Einstein, ma il Trinity College di Dublino ha deciso un nuovo nome per la sua biblioteca, la Berkeley appunto, dopo aver concluso che il grande filosofo scriveva a sostegno della schiavitù.
“Vogliono vederlo cadere, Immanuel Kant denunciato come razzista”, racconta il primo settimanale tedesco Die Zeit.
Leggo da Philosophie Magazine, una rivista culturale che in Italia ci sogniamo, che ora i woke vogliono cancellare anche Albert Camus.
Un libro intitolato Oublier Camus di Olivier Gloag, professore all’Università della Carolina del Nord, ritrae Camus come uno “scrittore colonialista e sessista”. No, sostiene l'autore, Camus, di origine francese e spagnola e nato nell'Algeria coloniale da una famiglia povera, non era anticolonialista.
Ne Lo straniero, un francese uccide un arabo senza nome su una spiaggia algerina, “tutto nega lo status di essere umano agli algerini”. Camus, dice Gloag, è “lo scrittore coloniale per eccellenza”. Lo Straniero? “Un capolavoro di razzismo che nega l'esistenza degli arabi”. La Peste? “Un romanzo la cui metafora non è l'occupazione tedesca ma la paura del cambiamento demografico in Algeria”. L'uomo ribelle? “Reazionario” perché prende di mira il comunismo. Il primo uomo? “Il romanzo di uno scrittore coloniale”.
Come furono Silone e Chiaromonte, Koestler e Orwell, Camus era un grande scrittore e intellettuale democratico, liberale, antifascista e anticomunista, un ramingo di rango, per questo ancora oggi molto ostile ai woke, che di democratico e di liberale e di ramingo non hanno niente, mentre flirtano col comunismo e usano metodi fascisti.
Camus è uno di quegli scrittori che hanno toccato al cuore la realtà del loro tempo e diventati senza tempo. Amante della finitezza umana, Camus invita ad abbracciare la tragedia contro i profeti che vorrebbero ribaltare la natura dell'uomo e realizzarne una nuova. Tutto il contrario degli scrittori contemporanei. Le opere di Camus non rispondono al requisito imposto della “diversità”, la sua filosofia non esalta né il cambiamento perpetuo né il desiderio individuale in quanto tale, ed è lontanissima dai grandi accusatori dell'Occidente che hanno forgiato il pensiero del magico maggio Sessantotto.
E contro l’autoflagellazione permanente che oggi domina in Occidente, Camus scrisse nelle sue Cronache algerine: “È bene che una nazione sia abbastanza forte nella tradizione e nell'onore da trovare il coraggio di denunciare i propri errori. Ma non deve dimenticare i motivi che ancora può avere per stimarsi. È pericoloso in ogni caso chiederle di ammettere di essere l'unica colpevole e di dedicarla alla penitenza perpetua”.
Pur affermando di non credere in Dio, non si definisce ateo (“sarei anche d’accordo con Benjamin Constant nel trovare nell’irreligione qualcosa di volgare e di logoro”).
Basta leggere il suo discorso più famoso, quello tenuto a Stoccolma il 10 dicembre 1957 per l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura. Un discorso serio e magnifico, semplice e deciso, che ispira ancora:
“Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa però che non lo farà più. Ma il suo compito forse è più grande. Consiste nell’impedire che il mondo vada in pezzi”.
E visto che nel 2024 le università occidentali si sono risvegliate fanatiche sostenitrici del terrorismo di Hamas e degli altri ascari della Jihad mondiale, vale la pena rileggere cosa scrisse Camus:
“Ho sempre condannato il terrore, e devo dunque condannare un terrorismo che viene esercitato ciecamente e un giorno può colpire mia madre o la mia famiglia. Credo alla giustizia, ma prima della giustizia difenderò mia madre”.
L’Algeria era la sua terra natale, e dopo aver dichiarato che tra la giustizia e sua madre, avrebbe scelto sua madre, si è dissociato dall’azione violenta del FLN e avrebbe aborrito i nostri fanatici “decoloniali” che professano l’odio verso i bianchi.
Affermerà nel 1957 sulla rivista Demain, riferendosi alla presunta verità comunista, che “non si può permettere all’opportunità di regnare sovrana sul bisogno di verità come fanno i comunisti e gli intellettuali di sinistra loro seguaci, perché questo relativismo sistematico prepara la morte dell’intelligenza”.
Ma c’è una pagina per cui Camus andrebbe davvero cancellato. Si tratta della lettera che nel 1957 scrisse a Jean Grenier:
“Il treno del mondo mi travolge. Alla lunga tutti i continenti (giallo, nero…) passeranno alla vecchia Europa. Sono centinaia e centinaia di milioni. Hanno fame e non hanno paura di morire. Dovremmo predicare, ma l'Europa non crede a niente. Quindi dobbiamo aspettare l’anno mille o un miracolo! Trovo sempre più difficile vivere davanti a questo muro”.
Una grande profezia dello scrittore che detestava i “censori che hanno sempre collocato la propria poltrona nel senso della Storia”. L’uomo in rivolta contro il progressismo.
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