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Informazione Corretta Rassegna Stampa
19.08.2024 Il signor Abbas va a Mosca e ad Ankara
Commento di Ben Cohen

Testata: Informazione Corretta
Data: 19 agosto 2024
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen
Titolo: «Il signor Abbas va a Mosca e ad Ankara»

Il signor Abbas va a Mosca e ad Ankara
Commento di Ben Cohen 
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/mr-abbas-goes-to-moscow-and-ankara/

In Turkey, Abbas declares he'll go to Gaza 'even if it costs my life,'  mourns Haniyeh | The Times of Israel
Nei suoi viaggi all'estero, l'88enne capo dell'Autorità Nazionale Palestinese ha rafforzato proprio il messaggio che sperava di indebolire: non ci sono leader credibili e affidabili da parte palestinese

Mahmoud Abbas, il capo dell'Autorità Nazionale Palestinese, si è aggrappato al potere per un tempo così lungo che un'intera generazione di palestinesi e di israeliani è cresciuta senza conoscere nessun altro leader in quel ruolo. Eletto per la prima volta nel 2005, avrebbe dovuto ricoprire un mandato di quattro anni che si sarebbe concluso nel 2009. Abbas, invece, non era pronto ad andarsene, e così ha prolungato il suo mandato di un altro anno. Quindici anni dopo, è ancora lì, e continua a incoraggiare la sensazione che quando finalmente lascerà l'incarico, sarà solo perché sarà morto.

Mentre il suo mandato di presidente si trascinava all’infinito, l'88enne è diventato sempre più irrilevante nella gestione concreta della situazione, sia diplomaticamente che militarmente.

Israele ha adottato un approccio del tipo “meglio il diavolo che conosci”, ragionando sul fatto che un leader gerontocratico dell'OLP con tendenze dittatoriali è un'opzione più sensata che riprendersi quelle parti della Cisgiordania sotto il controllo dell'AP o consentire l'emergere di un leader più radicale.

Il resto del mondo, in particolare l'Unione Europea, ha pensato in termini simili, continuando a finanziare l'AP notoriamente corrotta (nel caso dell'UE, con quasi 1,5 miliardi di dollari negli ultimi tre anni) e trattandola come uno Stato in fieri. Eppure, dal suo trespolo a Ramallah, Abbas non è riuscito a fornire garanzie di sicurezza per gli israeliani. Non è riuscito a garantire alcun tipo di prosperità ai palestinesi in Cisgiordania, dove oltre il 30% della forza lavoro è disoccupata. Non è riuscito a raggiungere alcun tipo di unità con Hamas, il suo acerrimo rivale islamista, o a frenare il desiderio di Hamas e dei gruppi alleati di infliggere mostruose atrocità agli israeliani, come si è visto chiaramente dal pogrom del 7 ottobre nel sud di Israele.

Ma, cosa più significativa, Abbas è odiato dalla stragrande maggioranza dei palestinesi. Secondo l'ultimo sondaggio condotto dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, con sede a Ramallah, l'85% degli intervistati è insoddisfatto dell’efficacia delle sue politiche e il 90% vuole che se ne vada. Prestare attenzione all'opinione pubblica non è qualcosa che Abbas abbia mai fatto, e difficilmente inizierà a farlo ora. Nel tentativo di dimostrare fino alla disperazione che non è Hamas ad essere al comando, lui continua a viaggiare per il mondo, presentandosi come il legittimo leader eletto della Palestina, piuttosto che come un meschino tiranno che è rimasto in carica nonostante che da tutte le parti vengano espresse delle obiezioni al suo comportamento. In alcune di quelle visite all'estero, Abbas ha dimostrato meglio di qualunque dei suoi critici perché dovrebbe ritirarsi dalla politica. Durante un viaggio in Germania, due anni fa, quando un giornalista gli chiese se aveva delle scuse per le famiglie degli atleti olimpici israeliani assassinati dai terroristi palestinesi a Monaco 50 anni prima, si è lanciato in una sorprendente sfuriata accusando gli israeliani di aver compiuto “50 olocausti.” Tali paragoni sono particolarmente sgradevoli in Germania, e questo ha fatto arrossire di rabbia il padrone di casa di Abbas, il cancelliere Olaf Scholz, alla loro conferenza stampa congiunta.

Durante l'ultima settimana, Abbas è stato di nuovo in viaggio, ma questa volta ha visitato Paesi in cui analogie rozzamente antisemite con l'Olocausto non suscitano disprezzo. La sua prima tappa è stata a Mosca, una città che conosce bene perché è lì che aveva scritto la sua tesi di dottorato, sostenendo che è stato il movimento sionista, e non i nazisti, il responsabile dell'Olocausto di 6 milioni di ebrei. Mentre incontrava il dittatore russo Vladimir Putin, proprio mentre l'esercito ucraino lanciava una coraggiosa e gradita controffensiva nella regione russa di Kursk, Abbas ha dichiarato che i palestinesi hanno preso le parti della Russia “senza il minimo dubbio.” Abbas ha detto che La Russia era “uno degli amici più cari del popolo palestinese,” aggiungendo: “Crediamo in voi, ci fidiamo di voi, sentiamo il vostro sostegno.” Da parte sua, Putin ha reagito calorosamente, dicendo al suo ospite palestinese che “stiamo facendo tutto per sostenere la Palestina e il popolo palestinese” e sottolineando, senza alcuna ironia, dati i numerosi crimini di guerra della Russia contro la popolazione ucraina, che Mosca è preoccupata soprattutto per le “perdite civili.” Dopo aver stretto la mano al presidente russo, Abbas si è diretto nella capitale turca di Ankara. Quella visita è stata un po' più complicata, in quanto il suo arrivo è avvenuto in seguito a un battibecco con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Un precedente invito a parlare al parlamento turco era stato respinto da Abbas, che aveva citato come motivo l'allineamento di Ankara con Hamas, portando Erdoğan a dichiarare con rabbia che il leader dell'AP “ci deve delle scuse.” Dopo aver appianato le divergenze, Abbas ha tenuto un discorso al parlamento turco il 15 agosto in una camera in cui tutti i presenti si sono avvolti in sciarpe bianche appositamente progettate per l'occasione, con le bandiere palestinese e turca.

In un incontro privato prima del discorso, i due leader avevano espresso condanne a gran voce dei “massacri commessi da Israele nei territori palestinesi, ”un tema molto evidente nelle osservazioni di Abbas ai parlamentari turchi. Il fulcro del discorso è stato il suo impegno a visitare personalmente Gaza, incoraggiando i leader musulmani a recarsi lì insieme a lui. “Ho deciso di andare a Gaza con tutti i miei fratelli in Palestina”, ha detto Abbas tra gli applausi. “Ci andrò anche a costo della mia vita. La mia vita, le nostre vite, non hanno più valore della vita di qualsiasi bambino morto a Gaza.” Tutto molto nobile, anche se Abbas non ha indicato una data per il suo viaggio. Inoltre, sarebbe stato perfettamente consapevole che diversi membri del Parlamento stavano brandendo ritratti del suo rivale, Ismail Haniyeh, il leader di Hamas assassinato a Teheran il 31 luglio. Per molti versi, il discorso è stato il tentativo di Abbas di ricordare ai politici di un Paese che ha abbracciato Hamas e il suo programma genocida che anche l'AP può essere sufficientemente radicale. E’ forte la tentazione di liquidare tutto questo discorso così; aria fritta che Abbas non ha intenzione di approfondire. Ma farlo ignora il fatto che una volta finita la guerra, la governance di Gaza è una questione chiave per i negoziatori. Se ad Hamas non sarà permesso di governare e Israele si opporrà al ripristino del governo diretto, allora chi governerà il territorio? Per molti israeliani, il suggerimento che dovrebbe farlo l'Autorità Nazionale Palestinese (sulla base del fatto che per quanto sia spregevole, non è Hamas) non è molto convincente. Né le alternative ad Abbas, come il terrorista di Fatah Marwan Barghouti, che sta attualmente scontando una condanna all'ergastolo in una prigione israeliana, sono molto allettanti. Nelle sue scorribande a Mosca e Ankara, Abbas ha semplicemente rafforzato il messaggio che sperava di indebolire, ovvero che non ci sono leader credibili e affidabili dalla parte palestinese. Questo è un grattacapo per tutti gli interessati, ma soprattutto per gli israeliani.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, scrive su Jewish News Syndacate

takinut3@gmail.com

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