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La Repubblica Rassegna Stampa
04.08.2024 Guerra Iran-Israele
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 04 agosto 2024
Pagina: 1/21
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Medio Oriente, teatro della guerra Iran-Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/08/2024, a pag. 1/21, con il titolo "Medio Oriente, teatro della guerra Iran-Israele", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari
Medio Oriente, teatro della guerra Iran-Israele - la Repubblica
Hamas, Hezbollah, Jihad Islamica e Houthi combattono con il dichiarato fine di cancellare Israele dalla carta geografica. Anche nel 1948 il conflitto fu lungo, 18 mesi, ebbe più fasi tattiche differenti, investì ogni angolo di Israele e vide la popolazione civile arabo-palestinese subire pesanti conseguenze, in termini di vittime, profughi e distruzioni, a causa dei feroci combattimenti fra avversari. Ma soprattutto, allora come oggi, era in gioco l’assetto del Medio Oriente: nel 1948 gli Stati arabi sunniti volevano imporre il loro nazionalismo, oggi l’Iran sciita persegue l’egemonia in tutto il Medio Oriente

È tale cornice che consente di comprendere quanto sta maturando in queste ore sul campo di battaglia che si estende dalle spiagge israeliane allo Stretto di Bab el-Mandeb fino alle montagne dell’Iran. Se il pogrom di Hamas contro Israele il 7 ottobre ha aperto il conflitto, gli attacchi incrociati fra Israele e milizie filo-iraniane seguiti da allora lo hanno trasformato in guerra regionale, e la pioggia di missili e droni iraniani del 13 aprile sullo Stato ebraico ha segnato la diretta entrata in campo dell’Iran. Ma è quanto avvenuto nelle ultime due settimane ad aver innescato la svolta: gli Houthi hanno violato le difese di Tel Aviv con un drone-kamikaze e Israele in risposta ha distrutto il porto yemenita di Hodeidah a 2000 km di distanza; Hezbollah ha ucciso con un missile 12 bambini drusi sul Golan israeliano e Israele ha risposto eliminando il numero 2 di Hezbollah a Beirut poche ore prima di uccidere a Teheran il capopolitico di Hamas, Ismail Haniyeh. Su entrambi i fronti si è dunque dimostrata la capacità di colpire il nemico sul proprio terreno, causando danni significativi non solo da un punto di vista militare ma sul terreno del prestigio, che in Medio Oriente è quanto conta di più perché coincide con la proiezione della forza.

Da qui il verosimile scenario che abbiamo ora davanti di un’accelerazione ed estensione dello scontro diretto fra Iran e Israele. Con il Leader Supremo Ali Khamenei che ordina di «colpire a fondo il nemico sionista» e il premier Benjamin Netanyahu che prepara i cittadini «a giorni difficili» facendo sapere che questa volta — a differenza di quanto avvenuto in risposta all’attacco di aprile — «Israele risponderà».

Ma proprio perché siamo ad un passo dalla guerra aperta fra Teheran e Gerusalemme, entrambe con armi talmente potenti e sofisticate da poter causare danni devastanti, possono contare le differenze con quanto avvenne nel 1948.

La più evidente è l’esistenza di un cuscinetto di Stati fra i contendenti che ha un proprio interesse. Si tratta dei Paesi sunniti del Medio Oriente che sono in pace con Israele (Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan) o sono impegnati a negoziarla (Arabia Saudita, Oman). E dall’indomani del 7 ottobre sebbene tutti abbiano criticato aspramente Israele per il pesante bilancio di vittime palestinesi delle operazioni militari a Gaza nessuno si è spinto fino a rompere le relazioni diplomatiche o a rinunciare ai negoziati: per il semplice motivo che temono più di ogni altra cosa l’egemonia degli sciiti di Teheran, da cui li divide una contesa religiosa che risale alla successione di Maometto. Questo significa che fra Israele e Paesi sunniti esiste unaconvergenza non-dichiarata per contenere l’Iran. Con una vistosa eccezione: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, anch’essa sunnita ma non araba, che punta a diventare il leader regionale strappando all’Iran la guida del campo ostile a Israele e chiamando a raccolta tutti i gruppi fondamentalisti, fino al punto da tentare con il fidato Khaled Meshal di impossessarsi della guida politica di Hamas.

Ma non è tutto, perché c’è un’altra differenza rispetto al 1948. Allora le grandi potenze scelsero un atteggiamento assai timido: l’Urss sosteneva Israele senza dirlo troppo e la Gran Bretagna faceva lo stesso con i Paesi arabi mentre gli Stati Uniti, pur a fianco dello Stato ebraico, restavano a distanza. Le grandi potenze sono invece oggi tanto presenti quanto visibili sul terreno: gli Usa schierano navi ed aerei in quantità, e coordinano dal Comando Centrale di Tampa la difesa aerea inter-alleata che protegge Israele mentre la Russia è il maggior fornitore di armi avanzate all’Iran, con cui svolge manovre militari periodiche, associando a volte anche le forze della Cina.

Questo significa che se la prima guerra Iran-Israele entrerà nella sua fase più drammatica, innescando effetti difficili da prevedere, a fare la differenza potranno essere le scelte dei Paesi sunniti e delle grandi potenze. A conferma che lo scontro sull’esistenza di Israele e sull’assetto del Medio Oriente rientra nella sfida sugli equilibri globali.

Per i Paesi europei, che sostengono la formula dei “Due popoli e due Stati” per la convivenza fra Israele e palestinesi, la scelta è fra l’impegno a rafforzare i “Patti di Abramo”, fondati su accordi di pace, e l’acquiescenza davanti al disegno egemonico di Teheran.

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