Israele si prepara alla reazione inevitabile: Sinwar è solo nascosto nei tunnel Analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 02 agosto 2024 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Israele si prepara alla reazione inevitabile: Sinwar è solo nascosto nei tunnel»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 02/08/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Doppio colpo mirato di Netanyahu destinato a Teheran".
Fiamma Nirenstein
Non è piacevole stare fermi, in attesa di decisioni altrui che possono persino essere fatali. L’Iran convoca il Libano, l’Iraq, lo Yemen, tutti suoi proxy odiatori di Israele e dell’Occidente disegnando forse una guerra totale; o forse solo una vendetta digeribile. La Russia, che ha condannato con un particolare senso dell’umorismo le eliminazioni mirate, certo segue sullo sfondo. Nasrallah promette con un discorso su sfondo rosso sangue che la risposta all’eliminazione del suo vice Fuad Shukr, che aveva ordinato il missile sullo stadio di Madjel Shams, sarà tremenda, negando che Israele abbia risposto all’eccidio di dodici bambini drusi israeliani uccisi sul campo di calcio. A Teheran il funerale di Ismail Haniyeh ha dimensione e toni apocalittici. Le promesse di distruzione le fa il grande Ayatollah stesso Ali Khamenei: il capo terrorista palestinese appare in tutto e per tutto quello che è, un suo comandante nel fronte globale costruito dagli Ayatollah per dominare il Medio Oriente e il mondo, non un palestinese. A Gerusalemme l’attesa è discussa, rappresentata, persino oggetto di battute al supermarket dove si compra qualche bottiglia d’acqua d’emergenza, senza drammi, si sospendono i viaggi aerei, i campi estivi, si compra qualche scatoletta di tonno, verso il confine si sgomberano le fabbriche dai materiali pericolosi, la tv raccomanda ai cittadini di seguire gli ordini del “pikud ha oref”, il fronte interno, state vicino ai rifugi se siete al nord.
Chissà se la reazione verrà da tutto l’arco delle forze iraniane e degli hezbollah, se i loro missili piomberanno coordinati o separatamente… ma qualcosa l’onore mediorientale ferito impone di fare. Lo si ripete con calma. Israele però ha al suo fianco gli Stati Uniti, si ripete ricordando bene l’attacco iraniano di aprile, che la sua difesa antiaerea è la migliore del mondo, le sue forze aeree sono in perfetta salute come ha dimostrato l’operazione in Yemen in cui per rispondere al bombardamento di Tel Aviv si è volato duemila chilometri senza problemi per colpire l’obiettivo, e colpirlo bene (Teheran dista 1600 chilometri). Lo stato d’animo, dopo Beirut e Teheran è comunque rinfrancante, Israele torna capace di difendersi sul serio, capace di operazioni impossibili: si rivela finalmente che davvero Mohammed Deif è stato ucciso dall’accuratissima esplosione di Gaza, Hamas è in pessime condizioni ormai, la guerra di Israele disegna una vittoria finalmente, Sinwar è là sotto, se la vede male: i particolari dell’ eliminazione di Haniyeh, per cui è una bomba (e non un missile) era stata da tempo preparata nella “guest house” delle Guardie della Rivoluzione stesse, parla di un’operazione professionale, di lunga realizzazione, con relazioni profonde e inaspettate nel cuore del regime iraniano.
La notizia definitiva su Mohammed Deif segna un nodo simbolico conclusivo, come quello dell’onnipresente, e ora scomparso, Haniyeh. La leadership, i combattenti, le strutture tutta Hamas è a pezzi. Haniyeh era di fatto incaricato di renderla una forza internazionale, base della nuova alleanza fra sunniti (era un leader dei Fratelli Musulmani) e gli sciiti dell’Iran e oltre, fra tutto l’esercito dei terroristi antioccidentale dell’una e dell’altra parte, ambasciatore dell’odio antisemita, soddisfatto ospite di Putin.
Ora senza di lui e senza l’architetto della strage del 7 ottobre, il fanatico e abilissimo comandante militare Deif, la primula rossa scampato sette morte alla morte, Sinwar ha perso la mano sinistra e la mano destra, l’ormai miliardario Mohammed in giacca e cravatta che dall’hotel a 5 stelle di Doha viaggiava al Cairo e a Mosca fingendo di gestire una trattativa sui poveri ostaggi, di fatto bloccandone ogni possibile scambio. Israele ha di nuovo mostrato i suoi veri colori, questi 300 giorni di guerra di sopravvivenza hanno ancora una volta, per ora, mostrato un Paese che se il 7 ottobre era stato visto dai suoi nemici come una vittima predestinata del loro disegno di distruzione, adesso è pronto a affrontare lo scontro generale immediato cui è costretto per salvare la sua prospettiva e quella dell’Occidente nella lunga prospettiva. Israele ha colpito sia Fuad Shukr a Beirut che Ismail Haniyeh a Teheran senza ferire le due città come avrebbe potuto: ha segnalato l’intenzione di concluderla qui, ma sa anche che il concetto di deterrenza non funziona quando l’indirizzo è quello dell’odio islamista, dell’ideologia messianica che ha come primo fine uno scontro ideologico a sfondo religioso. Iran, Libano, Siria, Yemen, per non parlare di Gaza e anche Ramallah, fanno tutti parte del primo cerchio di un immenso anello di fuoco che circonda lo Stato ebraico, e da 300 giorni compie da tutti i fronti prove di distruzione. La realtà odierna suggerisce che dopo la morte di Deif e di Haniyeh non si più visto nemmeno un missile da Gaza. E i suoi alleati, che di missili ne hanno a bizzeffe valutano in queste ore che cosa, come colpire: obiettivi militari? Obiettivi civili? Questi ultimi possono dare fuoco a tutte le polveri, e coinvolgere il mondo libero.
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