Medici complici della Shoah Commento di Frediano Sessi
Testata: Corriere della Sera Data: 01 agosto 2024 Pagina: 35 Autore: Frediano Sessi Titolo: «I colleghi impuniti di Mengele. Medici complici della Shoah»
Riprendiamo oggi, 01/08/2024, dal CORRIERE della SERA, a pag. 35, con il titolo "I colleghi impuniti di Mengele. Medici complici della Shoah", il commento di Frediano Sessi.
Frediano Sessi
Nelle memorie delle ebree italiane sopravvissute ad Auschwitz, il nome del dottor Josef Mengele ricorre sistematicamente, come responsabile delle selezioni all’arrivo e nelle baracche e, di conseguenza, dell’invio alle camere a gas di un grande numero di deportate.
Il fatto si spiega perché, nei mesi estivi, quando arrivarono a Birkenau molte ebree italiane, Mengele era medico responsabile dei sottocampi femminili, uno dei quali era un enorme ospedale, con baracche gestite anche dal dipartimento d’Igiene delle SS di Berlino. Il «dottor morte» era arrivato ad Auschwitz nel febbraio del 1943 e, fino all’agosto del 1944, fu medico delle SS responsabile del lager delle famiglie sinti e rom. Mentre sopravvive la leggenda della sua crudeltà senza pari, una nebbia sempre più densa allontana da noi i nomi e i volti dei medici tedeschi che, ad Auschwitz, in modo altrettanto crudele e disumano, portarono avanti esperimenti su uomini, donne e bambini, in prevalenza ebrei.
Mengele non si trovava ad Auschwitz con lo scopo di uccidere. Era un medico genetista che voleva fare ricerca per rafforzare la razza ariana e che, in qualità di ricercatore dell’«Istituto di antropologia, ereditarietà ed eugenetica» delle SS aveva l’obiettivo di sfruttare le sue sperimentazioni su una enorme quantità di cavie umane, per ottenere un titolo accademico che gli avrebbe consentito di fare carriera negli ambienti di Berlino. La sua ambizione era smisurata. «L’idea che fosse un medico sadico e senza scrupoli — scrive lo storico della medicina francese Bruno Halioua nel suo nuovo saggio I medici di Auschwitz (Giunti) — senza alcun dubbio ha permesso di sollevare molti ricercatori tedeschi dalle loro responsabilità nelle sperimentazioni» su esseri umani.
L’attenzione rivolta a Mengele, visto sulla rampa d’arrivo dei treni degli ebrei a Bir-kenau, anche quando si trovava altrove, trasformato dunque in un superuomo del male, ha consentito a tutti gli altri medici nazisti di scomparire nel nulla e spesso di ricominciare impuniti a svolgere la loro professione dopo la guerra. È il caso di Carl Clauberg che, rientrato in Germania dopo un breve periodo di tempo trascorso nelle prigioni sovietiche, aprì uno studio privato di ginecologo a Kiel, dove proseguì, finché nel 1956 non venne scoperto, le sue ricerche sulla sterilizzazione, che ad Auschwitz gli avevano consentito di utilizzare come cavie un migliaio di giovani donne ebree nel Blocco 10. Insieme a Clauberg nel Blocco sperimentale 10 e in altri edifici ospedale lavoravano Horst Schumann ed Eduard Wirths, con il sostegno di aziende farmaceutiche tedesche come la Schering. Il professor August Hirt, pur operando come direttore dell’Istituto di anatomia di Strasburgo, ottenne l’invio da Auschwitz di 115 deportati, tra i quali 109 ebrei, per creare una collezione «anatomo-morfologica» delle caratteristiche del cranio degli ebrei. Al loro arrivo, i prigionieri venivano uccisi in camere a gas medicali e il loro corpo scarnificato per ottenere scheletri da conservare.
Quasi cinquanta medici tedeschi delle SS, il cui nome è stato dimenticato e che dopo la guerra hanno ripreso quasi sempre a lavorare, ci mostrano come i crimini commessi ad Auschwitz furono possibili perché intorno alla medicina nazista c’era un consenso quasi del tutto unanime della categoria medica, la più ligia alle leggi razziali del Reich, che già aveva favorito la realizzazione del progetto eutanasia dei soggetti disabili e dei malati cronici tedeschi. Tra i nomi dimenticati Wladiyslaw Dering, medico collaborazionista polacco, a cui vengono attribuite più di 7 mila operazioni di sterilizzazione, senza anestesia. Dopo la guerra continuò a fare il medico a Londra.
Pagine toccanti del libro sono riservate ai medici prigionieri che furono costretti a lavorare nelle baracche ospedale, senza mezzi e medicine, e che fecero il possibile per salvare vite. Tra di essi, vengono segnalati Leonardo De Benedetti e Luciana Nissim deportati ad Auschwitz da Fossoli con Primo Levi.
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