La nuova candidata alla presidenza degli Stati Uniti ha già delle opinioni ben radicate sul conflitto in Medio Oriente. In un'intervista rilasciata il 26 luglio, si è impegnata a non “tacere” di fronte alle sofferenze dei civili a Gaza e ha insistito sulla necessità di concludere senza indugi un accordo di pace. Il che induce a fare due osservazioni. Non tacere è un po’ poco. Cosa significa esattamente? Simpatizzare? Voler aiutare, porre fine a queste sofferenze?
Dovremmo cercare una risposta nella seconda osservazione, “concludere un accordo di pace senza indugi”?
Kamala Harris, già vicepresidente della potente America negli ultimi quattro anni, lo ritiene quindi possibile. Quali elementi avrebbe per evocare un accordo di pace tra lo Stato ebraico e l'organizzazione terroristica Hamas, la cui ragion d'essere, secondo il suo statuto, è l'eliminazione di questo Stato?
Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza il 22 agosto 2005. Il 16 settembre 2005 l'ONU aveva riconosciuto ufficialmente il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza.
L'Autorità Palestinese, unico legittimo rappresentante dei palestinesi, venne cacciata da Gaza da Hamas con un sanguinoso colpo di stato.
L'organizzazione terroristica tenterà poi di raggiungere il suo obiettivo sviluppando la sua industria di armamenti e lanciando migliaia di missili contro lo Stato ebraico, innescando una serie di conflitti. Il più recente, causato dalle atrocità del 7 ottobre, è la vera causa della sofferenza dei civili palestinesi usati come scudi umani da dei leader assetati di sangue, che si nascondono negli ospedali, nelle scuole, ma anche nelle moschee e in semplici appartamenti – quando non si nascondono nelle centinaia di chilometri di tunnel sotterranei costruiti con cemento, acciaio e, soprattutto, con i miliardi di dollari destinati al benessere della popolazione.
Kamala Harris sa tutto questo?
Anche lei ha ceduto a questa strana isteria per Hamas che mobilita le folle? Come può, lei, credere nella pace? Pensa che l’attuale conflitto sarà l'ultimo? Pensa che non ce ne saranno altri?
È facile cercare di incolpare Israele per i continui combattimenti. Per non parlare dell’orrendo mercimonio dei leader di Hamas che cercano di ottenere sempre più denaro in cambio degli ostaggi ancora vivi e delle spoglie di coloro che hanno già assassinato. E soprattutto, non riconoscere che Israele deve garantire che il tanto atteso cessate il fuoco non permetta ad Hamas, sostenuto dal suo protettore Iran e dai suoi fedeli alleati – Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen, per non parlare delle milizie sciite dell’Iraq – di ricostituire le scorte di armi e di riorganizzare il proprio esercito.
Il dovere dei leader degli Stati Uniti – sia democratici, sia repubblicani– che affermano di essere preoccupati per la sorte degli abitanti di Gaza, è quello di garantire che domani un regime diverso da quello di Hamas prenda in mano il loro destino e assicuri a loro i favolosi stanziamenti che la comunità internazionale è pronta a fornire.