La lettera di dimissioni di Toti, vittima della persecuzione giudiziaria Commento di Pietro Senaldi
Testata: Libero Data: 27 luglio 2024 Pagina: 4 Autore: Pietro Senaldi Titolo: «Toti dà le dimissioni»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/07/2024, a pag. 4, con il titolo "Toti dà le dimissioni" il commento di Pietro Senaldi.
Pietro Senaldi
Giovanni Toti non è più presidente della Regione Liguria. Dopo ottanta giorni agli arresti domiciliari nella sua casa di Ameglia, vicino alle Cinque Terre, si è dimesso ieri alle 11 del mattino con una lettera scritta a mano indirizzata al suo vice, il presidente ad interim della giunta, il leghista Alessandro Piana, e al presidente dell’Assemblea Legislativa Regionale, Gianmarco Medusei, anch’egli leghista. Il governatore è stato privato della libertà, umiliato, lasciato senza lavoro e senza stipendio, danneggiato nella propria immagine pubblica, intercettato per quattro anni a tradimento, indagato in occulto. È stato criminalizzato dai giornali grazie al materiale messo a disposizione dai magistrati anche se estraneo ai capi di imputazione. È stato linciato dalla sinistra, che vuol prendere il suo posto e ha organizzato una manifestazione in piazza, democratica s’intende, per intimargli di andarsene. È stato di fatto ricattato, visto che la magistratura gli ha paventato che, se non si fosse dimesso, con ogni probabilità sarebbe rimasto recluso in casa fino alla scadenza del proprio mandato, a fine 2025. Insomma, è stato condannato e ha già scontato la pena. Ora il processo può cominciare.
Questa è la giustizia in Italia, quella che la sinistra difende pretendendo pure di dare lezioni all’estero. Ora gli ipocriti che ne hanno ottenuto la testa fanno a gara per dire di augurarsi che l’ex presidente riesca a dimostrarsi innocente. Io sono convinto che sia innocente, ma perla giustizia, e l’Italia, sarebbe quasi augurabile che fosse colpevole, altrimenti avremmo un perseguitato agli arresti e tanti colpevoli impuniti, in Parlamento e nei tribunali.
APPELLO AL VOTO
Al suo avvocato, Toti ha consegnato una lettera da rendere pubblica che non è un testamento ma un programma politico e dalla quale emerge il desiderio dell’indagato di essere giudicato in primo luogo dai suoi concittadini ed elettori, quindi dalla magistratura, il prima possibile, e infine dalla politica nazionale, invitata a trarre una lezione dalla sua esperienza. «Si apre una frase nuova» scrive l’ex presidente, «agli elettori il compito di giudicare la Liguria che abbiamo costruito insieme in questi lunghi anni e decidere se andare avanti sulla stessa strada». È il passaggio che svela il pensiero di Toti: il centrodestra può ancora vincere, sulla scorta della sua azione di governo, ma adesso, che la memoria di quanto fatto è viva e non tra un anno, quando la giunta sarebbe stata inevitabilmente logorata dal fatto di dover amministrare senza il leader. Questa è la vera motivazione politica del passo indietro, la convinzione di poter dire ancora la propria.
La lista personale dell’ex governatore ha cambiato nome, da Lista per Toti presidente a Lista Toti; significa che c’è l’intenzione di continuare l’avventura, riproporre la squadra vincente, che a oggi conta otto consiglieri su 31 totali. Una compagine con la quale le altre forze del centrodestra dovranno confrontarsi da subito, per individuare il candidato che plausibilmente sfiderà per la Regione Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia del Pd, rappresentante del cosiddetto campo largo dell’opposizione.
APPELLO AGLI ALLEATI
«Ringrazio il presidente ad interim Alessandro Piana e la giunta regionale e la maggioranza tutta, che si sono fatti carico di evitare il blocco dell’Ente, rispettando tutti gli impegni presi e portando avanti progetti e cantieri con senso di responsabilità, capacità e onore». È la smentita delle voci messe in giro dall’opposizione che sostenevano che Toti si sentirebbe solo, abbandonato dai partiti di centrodestra e tradito nella scelta di accogliere il rigassificatore al largo di Vado Ligure.
In realtà il centrodestra non ha mai abbandonato l’ex presidente, che ringrazia «la coalizione che mi ha fino a oggi lealmente sostenuto».
Non una parola, in tre mesi, è stata infatti pronunciata dalle forze di governo contro di lui e l’ex governatore invita tutti alla compattezza, «per portare avanti gli ambiziosi progetti che abbiamo cominciato senza perdersi in egoismi».
La prova sta nei fatti: fino a ieri il centrodestra non si era praticamente posto il problema di individuare un successore. Il più accreditato sarebbe Edoardo Rixi, il braccio destro di Matteo Salvini al ministero, genovese doc e in linea di continuità con i progetti di Toti di sviluppo della Regione, che deve mettere a terra in tre anni undici miliardi di opere pubbliche. La scelta verrà fatta a Roma, magari anche ascoltando il governatore uscente se, come auspicato da tutti, tornerà a breve in libertà. Rixi sarebbe l’unico candidato forte della politica, ma radicalizzerebbe anche lo scontro, la sinistra ne approfitterebbe per fare del voto un test contro il governo ed enfatizzerebbe l’inchiesta in corso, che non potrà dare alcun risultato prima del voto. Per questo tutti, al momento, sperano di trovare un candidato dalla società civile. Certo, con una Procura che ti ascolta per anni di nascosto e non esita ad arrestarti sulla base di intercettazioni e indizi, non è facile convincere qualcuno a giocarsi la vita per la gloria elettorale.
APPELLO ALLA POLITICA
«Al Parlamento e all’opinione pubblica del Paese il dovere di fare tesoro di questa esperienza e tracciare regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica». Sono le parole più drammatiche, quelle in cui Toti non riesce, ma forse non vuole nascondere di sentirsi vittima di un’ingiustizia. L’ex presidente avverte di essere stato obbligato alle dimissioni da una pistola puntata dalla Procura alla sua tempia, ma anche a quella della Regione, «che lascio in ordine, dopo aver approvato il bilancio» ma che ora necessita «dello slancio e dell’autorevolezza per affrontare le sfide che si è data» e dei liguri, «che mi hanno affidato per ben due volte l’incarico».
Toti ha sperato fino all’ultimo in un giudizio sui presupposti degli arresti. Le motivazioni con le quali il Tribunale del Riesame ha rifiutato la sua domanda di scarcerazione spiegando che, poiché sostiene di non aver commesso reati, «se tornasse in libertà da presidente della Regione potrebbe continuare a delinquere in quanto incapace di distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è» lo hanno però convinto che il gioco era truccato. Fino alle dimissioni, la magistratura ligure avrebbe trovato ogni scusa per continuare a privarlo della libertà, e quindi dell’agibilità politica.
APPELLO ALLA SINISTRA
«Ai tribunali il compito di valutare le responsabilità chiamate in causa dall’inchiesta». Mentre «l’opposizione, lontana dall’attitudine istituzionale richiesta dal momento, ha saputo solo cavalcare la complessa situazione, dimentica della civiltà giuridica, della Costituzione e della cultura di governo che dovrebbe avere chi si candida alla guida di una comunità». È il modo in cui l’ex presidente ribadisce la propria innocenza, confidando nella giustizia e puntando l’indice contro la sinistra giustizialista.
È innegabile che l’uno-due di una settimana fa, con la Procura che emetteva un nuovo ordine d’arresto ed enunciava un nuovo capo d’imputazione senza nuovi fatti emersi dall’inchiesta a poche ore dalla manifestazione di Schlein e Conte in piazza a Genova contro di lui, ha gettato nello sconforto Toti, che si è sentito preso in una morsa. Come quando il magistrato del Riesame ha deciso di ignorare il parere scritto con il quale il grande giurista Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale, lo invitava a una scelta che bilanciasse in maniera proporzionale le esigenze dell’inchiesta con quelle di elettori ed eletto a essere governati e governare, pronunciandosi contro gli arresti.
Sinistra e Procura hanno marciato a braccetto in questa storia che può portare il Pd a tornare a governare la Liguria grazie a un blitz giudiziario. Questo, benché indagato, l’ex governatore non ha rinunciato a rimarcarlo, sperando che la sincerità non sia un prezzo in più da pagare in termini penali.
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