Pasolini, rivoluzionario anti PCI Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 25 luglio 2024 Pagina: 1/24 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Il vero Pasolini, un conservatore»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 25/07/2024, a pag. 1/24, con il titolo "Il vero Pasolini, un conservatore ", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Qui a Libero non parteciperemo allo sport, assai praticato a sinistra come a destra, di usare Pier Paolo Pasolini (che per evidenti ragioni non può più difendersi) nelle polemiche di oggi, strattonandolo a proprio uso e consumo. Faremo invece una cosa più semplice e soprattutto fair, e cioè ridare la parola a lui stesso, citando quello che forse è materialmente uno dei suoi ultimi scritti. Si tratta di uno stralcio dell’intervento che avrebbe dovuto pronunciare al congresso del Partito radicale il 4 novembre del 1975. Com’è noto, Pasolini fu assassinato nella notte tra l’1 e il 2 novembre, e dunque non poté tenere quel discorso. Stadi fatto che quelle pagine acquisirono (e mantengono oggi) il valore di un testamento culturale e morale. Rileggendole, dapprima vi si trova un lungo elogio – rivolto ai radicali di quel tempo – della «conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura»: «Siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili».
Poi, invece, arriva una sorta di anatema contro l’intellettualità progressista: «Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici, sic et simpliciter: in questa massa di intellettuali – attraverso i vostri successi – la vostra passione irregolare per la libertà si è codificata, ha acquisito la certezza del conformismo...».
Geniale e intuitivo, Pasolini sa di scandalizzare: «So che sto dicendo delle cose gravissime. Io vi prospetto quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime». Avete capito bene: un’adesione, anzi un’adozione e insieme una trasformazione delle battaglie per i diritti civili da (benefica) difesa e conservazione della libertà e delle diversità in (perniciosa) costruzione di un nuovo conformismo. Conclusione feroce e lucidissima: «Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come nuovi chierici». Notevole anche l’invito finale per il futuro rivolto ai radicali (ahimé, temo dimenticato post Pannella) e ad ogni spirito davvero libero: «...essere continuamente irriconoscibili. Continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare». Dove la bestemmia – lo comprende chiunque – significa il suo contrario, cioè un purissimo atto di fede e di speranza nella libertà contro l’omologazione, nella diversità contro una cupa omogeneità. Ci siamo dunque arrivati: ecco il tema cruciale che oggi dovrebbe inquietare le coscienze libere e non conformiste. Mi riferisco all’antinomia tra diversità e omologazione, tra ricerca delle differenze e imposizione (più o meno “dolce”) di una rigida uniformità. Quarantanove anni dopo la terrificante profezia pasoliniana, il dilagante politically correct punta esattamente a questo: a marginalizzare e reprimere un pensiero e una parola non conformi. Proprio mentre (paradosso orwelliano) tutta la retorica di sinistra è improntata alla bellezza della diversità. Come dire: è bello parlare delle differenze; ma se poi mi arriva davanti qualcosa di davvero diverso, di non accettato, allora bisogna correre ai ripari.
Marginalizzando il reprobo, o addirittura colpendolo con una spettacolare fatava.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante