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Libero Rassegna Stampa
25.07.2024 Osa criticare Kamala Harris, Rampini finisce alla gogna
Commento di Mauro Zanon

Testata: Libero
Data: 25 luglio 2024
Pagina: 15
Autore: Mauro Zanon
Titolo: «'La Harris è figlia delle élite'. E Rampini finisce alla gogna»

Riprendiamo LIBERO di oggi, 25/07/2024, pag. 15, con il titolo "'La Harris è figlia delle élite'. E Rampini finisce alla gogna", commento di Mauro Zanon

Mauro Zanon
Mauro Zanon

Kamala Harris. Si è appena candidata alla presidenza e già è iniziato il processo di beatificazione dei nostri media. Guai a parlare fuori da coro. Lo ha fatto solo Federico Rampini e già viene attaccato da giornalisti e accademici.

«Che si faccia passare per giornalismo (e pure di qualità!) la propaganda politica più greve è una delle tante tragedie della nostra “informazione” sugli Stati Uniti. Poi, ricordano molto gli attacchi di 16 anni fa all’Obama che non credeva all’eccezionalismo statunitense», ha attaccato Mario Del Pero, professore di Storia internazionale a Sciences Po. «Vergognoso Rampini che, come un giornalista del Foglio qualsiasi, se la prende con la critical race theory, confonde la mobilità sociale degli anni ’60 e ’70 con quella attuale, inesistente, sostiene che gli oppressi richiedano “corsie preferenziali”, scrive Nicola Melloni, che sul suo profilo X si presenta come “academic, columnist” e scrive per MicroMega e Jacobin Italia. Alcuni dicono che «è il giornalista più sopravvalutato di sempre», altri che il Corriere della sera dovrebbe uscire allo scoperto e fare endorsement per Donald Trump, il candidato del Partito repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre.

TRADITORE DEI COMPAGNI

Ma chi è il bersaglio di tanto veleno? Non una groupie di Donald, come sembrerebbe dal tono delle accuse, bensì uno dei massimi esperti italiani di politica americana, storico corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, oggi al Corriere: Federico Rampini. La sua colpa? Non partecipare al processo di beatificazione di Kamala Harris, la probabile candidata del Partito democratico americano alle presidenziali dopo il ritiro di Joe Biden, avviato dalle sinistre di ogni latitudine. In un articolo pubblicato lunedì sul Corriere e intitolato “La zavorra di Kamala Harris è l’equivoco sui suoi genitori”, Rampini ha descritto l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti per quello che è, ossia un prodotto delle élite e non certo l’underdog della politica decantata dai media liberal. «C’è una zavorra che appesantisce la candidatura di Kamala e le ha impedito di decollare negli indici di popolarità. È il peso della politica “identitaria”, la decadenza della democrazia americana che soprattutto a sinistra si è trasformata in un mosaico tribale, fatto di gruppi etnici e altre minoranze, tutti gonfi di risentimenti e recriminazioni, in costante richiesta di risarcimenti e corsie preferenziali», ha scritto il giornalista del Corriere, prima di aggiungere: «È l’equivoco tremendo all’origine della sua cooptazione come vice nel ticket del 2020.
La Harris è stata innalzata al secondo posto dell’esecutivo in quanto donna di colore, proprio in omaggio alla politica “identitaria”, per consacrare il fatto che il Partito democratico si considera il difensore di tutte le minoranze oppresse, oltre che delle donne (queste sono una maggioranza, però non ancora del tutto alla pari con gli uomini). Le lobby identitarie, quelle che hanno fatto del Partito democratico un “arcobaleno” dove le loro cause sono sacre, hanno visto in Kamala un simbolo della loro egemonia sulla sinistra». Poi la verità che i benpensanti fanno finta di non vedere. «Ha recitato la parte di una esponente di quelle minoranze vittime del razzismo. Lo ha fatto con veemenza e perfino aggressività (...). La storia dei genitori (una ricercatrice universitaria indiana discendente dalla casta privilegiata dei bramini; un celebre economista afro-giamaicano) è l’apoteosi di un American Dream costruito da élite di immigrati qualificati che diventano classe dirigente; il contrario dell’attuale ideologia politically correct.
Kamala ha recitato la parte presentandosi come un’esponente di minoranze emarginate, discriminate e oppresse». E ancora: «È più attenta a demonizzare il proprio paese che non a esaltarlo come una terra di opportunità. Ma la storia dei suoi genitori, e quindi la sua, è segnata proprio dai benefici della meritocrazia, non dai danni del razzismo».
Apriti cielo. Per il suo articolo, da lunedì, Rampini è ricoperto di improperi, accusato di essere un giornalista trumpiano, un fiancheggiatore dell’alt-right. Su X, Riccardo Puglisi, economista e docente di Scienza delle finanze all’Università di Pavia, ha reagito con queste parole alla canea degli indignados: «Pare che i comunistelli vogliano far partire una bella fatwa», ha scritto il professor Puglisi, citando una vecchia polemica tra lui e Giuseppe Provenzano del Pd. «Questa volta contro Federico Rampini, reo di scrivere la verità su Biden e Harris sulle pagine del Corriere», ha aggiunto. Poi, in risposta a un utente secondo cui Rampini è di ultradestra, Puglisi ha risposto ironico: «Sì Sì Rampini = Goebbels».

LA FATWA

Ieri, fregandosene della fatwa degli ayatollah del correttismo, Rampini ha rincarato la dose con una serie di messaggi su X. «Kamala Harris si è fatta strada non vincendo elezioni competitive bensì grazie alla cooptazione interna al partito. Ma parte già con una maggioranza di consensi tra le donne, tra i giovani, tra i black». E ancora: «Kamala Harris è cresciuta politicamente in California: una bolla dove quasi tutti la pensano allo stesso modo, ma anche lo spauracchio preferito dalla destra». Poi, in un articolo pubblicato nel pomeriggio sul sito del Corriere, ha ribadito che Kamala «si è fatta strada per lo più padroneggiando dei meccanismi di cooptazione interna al suo partito, cosa che peraltro si sta ripetendo proprio adesso con la nomination. È abituata a farsi scegliere dai suoi superiori e dai suoi compagni di partito, a farsi nominare, a farsi acclamare. Il responso degli elettori le arriva alla fine come una conferma scontata, dopo che la macchina del partito ha imposto il suo nome». È la realtà che le Truppe Kamalate non vogliono accettare.

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