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La Repubblica Rassegna Stampa
25.07.2024 Netanyahu al Congresso Usa
Analisi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Repubblica
Data: 25 luglio 2024
Pagina: 12
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Netanyahu negli Usa parla al Congresso: Batteremo l’Iran anche per gli alleati»

Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 25/07/2024, a pag. 12, con il titolo "Netanyahu negli Usa parla al Congresso: Batteremo l’Iran anche per gli alleati", l'analisi di Paolo Matrolilli.

Paolo Mastrolilli - North America ...
Paolo Mastrolilli
Netanyahu negli Usa parla al Congresso: “Batteremo l'Iran anche per gli  alleati” - la Repubblica
Il premier israeliano a Washington pronuncia un discorso in cui ricorda l'importanza dell'amicizia tra Israele e Stati Uniti. Poi ricorda il 7 ottobre, con lui Noa Agamani e i soldati feriti. Oggi discuterà con Biden il piano per il cessate il fuoco: accordo vicino

NEW YORK — «Questo non è uno scontro tra le civiltà, ma tra la civiltà e la barbarie». E la barbarie è manovrata dall’Iran, nemico comune di Israele, Usa e Occidente, contro cui bisognerebbe costruire una “Alleanza di Abramo” per sconfiggere il terrorismo e ridisegnare il Medio Oriente. È il cuore del messaggio lanciato ieri da Netanyahu, nel discorso tenuto al Congresso. Il premier israeliano era stato accolto da scetticismo e proteste, anche per le spaccature della campagna presidenziale, al punto che la candidata democratica Harris e il vice repubblicano Vance hanno disertato l’appuntamento. Però ha scelto un tono bipartisan, ringraziando Biden e Trump, perché l’obiettivo era rinsaldare l’alleanza con gli Usa, chiunque vinca il 5 novembre. Netanyahu ha iniziato raccontando gli orrori del 7 ottobre, ricordando gli ostaggi come Noa Argamani presente in aula, ed esaltando l’eroismo dei soldati intervenuti a salvare i civili. Poi però si è rivolto contro i manifestanti che fuori dal Congresso contestavano il suo intervento, perché «si sono schierati col male». Hamas, come Hezbollah o gli Houti, è solo il braccio di questo male, che ha la mente altrove: «L’Iran finanzia le proteste, perché vuole provocare il caos negli Usa». Perciò gli studenti che hanno paralizzato le università americane, e i docenti che li hanno difesi, «sono gli utili idioti» di Teheran. Discorso simile per la Corte dell’Aja, che vorrebbe arrestarlo per crimini contro l’umanità, mentre lui sostiene che «il nostro esercito ha fatto più di quanto richiesto dalla legge per proteggere i civili», usati invece da Hamas come scudi. Il premier ha inquadrato questi fenomeni nell’antisemitismo risorgente, ma ha puntato il dito soprattutto contro l’Iran, che è il regista degli attacchi, ma dopo Israele mira all’America e all’intero Occidente, come aveva anticipato l’ayatollah Khomeini minacciando l’esportazione della rivoluzione islamica. Perciò ha spiegato che «la nostra lotta è la vostra lotta», e ha usato le parole di Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale per chiedere aiuto: «Dateci gli strumenti per finire il lavoro. Vinceremo, e la nostra vittoria sarà la vostra». Per il futuro ha detto che «non vogliamo occupare Gaza, ma demilitarizzarla, consegnandola ad un’autorità civile palestinese che non abbia l’obiettivo di uccidere gli ebrei». Da qui si potrebbe partire per ridisegnare l’intero Medio Oriente, partendo dalla “Alleanza di Abramo” che isoli l’Iran. Sullo sfondo del discorso, e degli incontri di oggi con Biden e Harris,e domani Trump, si muovono passi per cercare una soluzione di lungo termine. Il sitoAxios ha rivelato che giovedì gli Emirati Arabi Uniti hanno ospitato ad Abu Dhabi un incontro a cui hanno partecipato il ministro degli Esteri Abdullah Bin Zayed, l’inviato del presidente Biden per il Medio Oriente Brett Mc-Gurk e del dipartimento di Stato Tom Sullivan, e il ministro israeliano per gli Affari Strategici Ron Dermer, ex ambasciatore negli Usa e stretto consigliere del premier. SulWashington Post David Ignatius ha spiegato che lo scopo era discutere un piano per il dopoguerra, partendo dal meccanismo già usato con gli Accordi di Abramo, che potrebbe coinvolgere l’Italia. Il primo passo sarebbe la formazione di un governo unitario gestito dall’Autorità Palestinese, affidato all’ex premier Salam Fayyad. Ciò consentirebbe di avviare la “fase due” del piano di pace illustrato da Biden e passare alla riorganizzazione dellaregione. L’autorità guidata da Fayyad avrebbe il potere di invitare partner internazionali, col mandato di un anno per stabilizzare Gaza. Si tratterebbe di fornire intelligence, aiuti, ma anche sicurezza. I paesi considerati sono Emirati, Egitto, Marocco e Qatar tra gli arabi, mentre fra gli altri sono menzionati Italia, Ruanda, Brasile, Indonesia e un paese dell’Asia centrale. L’operazione verrebbe approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu, per evitare il veto della Russia nel Consiglio di Sicurezza. Seguendo la proposta avanzata dal ministro della Difesa Gallant, la zona di sicurezza garantita dalla presenza internazionale si espanderebbe progressivamente dal Nord della Striscia verso Sud. L’accordo non c’è ancora, ma il fatto che Dermer abbia aperto lascia sperare che anche Netanyahu non sia contrario. Tanto che la Casa Bianca anticipa che sarà oggetto dell’incontro di oggi con Biden, spiegando di vedere l’intesa molto vicina.

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