Da Bibi il manifesto della civiltà in guerra. Dopo il 7 ottobre, il futuro è nella sicurezza Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 25 luglio 2024 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Da Bibi il manifesto della civiltà in guerra. Dopo il 7 ottobre, il futuro è nella sicurezza»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 25/07/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Da Bibi il manifesto della civiltà in guerra. Dopo il 7 ottobre, il futuro è nella sicurezza".
Fiamma Nirenstein
Lui lo sa bene, e ha preparato fino nelle virgole, insieme a Ron Dermer, come nel 2015, il suo discorso al Congresso che è riuscito a rovesciare fra applausi appassionati da destra e da sinistra la narrativa antisemita che demonizza Israele. Il discorso ha portato un messaggio essenziale dal palcoscenico più importante del mondo, dall’ombelico della democrazia mondiale a fronte dell’aggressione totalitaria e settaria, dell’attacco alla civilizzazione.
Per questo Netanyahu si è allontanato dal Paese in guerra dopo il peggiore attacco subito dal 1948, finalmente alla ricerca di una giusta lettura mondiale di ciò che è accaduto, scansando l’odio per la sua persona e le dimostrazioni con un gesto della mano: il premier ha cercato, nel suo perfetto inglese, la giusta narrazione della carneficina, dello stupro, dei rapimenti, dell’attacco iraniano di aprile, del fiancheggiamento di Hezbollah ad Hamas, dei sette fronti di combattimento, dell’odio antisemita che avvolge in un’inaspettata oscurità il mondo occidentale, e anche e forse soprattutto del valore del suo popolo e del suo esercito. Bibi ha portato a Washington la difficile determinazione ad andare a Rafah contro i battaglioni di Sinwar; a conquistare il confine con l’Egitto, a seguitare a trattare per i rapiti pur continuando la battaglia... mentre tutto il mondo tenta di fermarlo e quindi di destinare Israele alla prossima aggressione prossima.
Bibi ha indicato che c’è una lezione del 7 ottobre, che la strada giusta è diversa da quello che si credeva, che il domani si disegnerà nella sicurezza o la guerra non può fermarsi e che Israele ha saputo recuperare lo spirito di battaglia e di sopravvivenza, mentre pure ha fornito un’enorme attenzione per evitare di colpire i civili, aiuto umanitario, cura di una popolazione civile peraltro nazificata nella complicità con Hamas. Il leader che da decenni ha indicato nell’Iran la testa della piovra che minaccia il mondo col terrorismo, adesso ha potuto dimostrare come sia urgente affrontare il problema poiché l’atomica islamista è quasi pronta. Era indispensabile che Netanyahu andasse a dimostrare di persona che il popolo d’Israele vive, come dice la Bibbia nonostante il dissenso di una parte dei democratici, il solito odio «tutto fuorché Bibi» dell’Israele estremista: se fosse stato un primo ministro di sinistra tali dimostrazioni non avrebbero avuto luogo. Intanto, paradossalmente, la sua estrema destra gli creava volontariamente stupidi imbarazzi. Netanyahu è un leader che ha dovuto formare il governo anche con la piccola forza di Ben Gvir, con cui non si identifica affatto. Ma tutto in questa vicenda è più grande della politica: è stato un esame a lui, per lo Stato d’Israele, per gli ebrei di tutto il mondo, una rilettura collettiva indispensabile.
Bibi ha parlato sapendo che in gioco era una posta grande, puntando sull’Iran che si allea con Russia e Cina per distruggere gli Usa e l’Europa; sa che alla parte obamiana questo non piace, ma si è riproposto così all’amore americano bipartisan, quello della cultura del confine. Bibi porta le ferite di quando era nell’unità speciale, e la memoria del fratello Joni, il capitano di Entebbe che là fu ucciso: ma è anche la quinta essenza della modernità inventiva di Israele. Non va a scusarsi ma a vantarsi mentre deve vincere Hamas per sopravvivere; deve convincere non ad aiutare, ma a combattere per se stessi e i rapiti. È uno spirito laico, pratico, inventore dei patti di Abramo, che ha gestito ogni possibile apertura di credito palestinese: ma oggi siamo dopo il 7 di ottobre.
Prima «pace» era la parola magica, la strada obbligatoria dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Invece come Zelensky che disse a chi lo invitava a fuggire: «Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio», così Bibi ha dovuto rispondere alle mille domande che in quindici anni di governo e nei tre precedenti interventi al Congresso si sono assommati, si sono aggrovigliati. Hanno il volto dei rapiti: Bibi ha invitato l’America a liberarli senza arrendersi. Ha proposto un manifesto della civiltà contemporanea in guerra: Israele. L’ha spiegato a fondo, con orgoglio e determinazione: questa è la grande differenza, gli ebrei possono combattere quando il loro mondo, tutto il mondo, è in pericolo. Allora, non poterono.
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