Vietato denunciare gli stupri di Hamas Commento di David Zebuloni
Testata: Libero Data: 19 luglio 2024 Pagina: 12 Autore: David Zebuloni Titolo: «Vietato denunciare gli stupri di Hamas»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 19/07/2024, a pag.12 con il titolo "Vietato denunciare gli stupri di Hamas" il commento di David Zebuloni.
David Zebuloni
Nove mesi sono trascorsi dal giorno che ha segnato per sempre la storia di Israele e dell’intero Medio Oriente. Nove mesi da quel famigerato 7 ottobre in cui migliaia di terroristi di Hamas hanno invaso il sud d’Israele, uccidendo civili innocenti, distruggendo le loro abitazioni, rapendo i loro cari e stuprando le loro donne. Sì, stuprando le donne. Per qualche strana ragione, non si ricordano mai le vittime degli abusi sessuali il giorno della strage. Decenni di battaglie a favore dei diritti delle donne culminati nel 2017 con il movimento #MeToo, e vanificati il 7 ottobre.
COSÌ PARLÒ SELVAGGIA
Decenni in cui ci hanno insegnato che quando una donna dichiara di aver subito un abuso sessuale, prima le si crede e la si abbraccia, poi si indaga sulla realtà dei fatti. Tutto vero, ma esiste un’eccezione. Se ad aver subito l’abuso è una donna ebrea o israeliana, ecco che la condanna della violenza non ha alcun valore. Non dimentichiamo (e non perdoniamo) la leggerezza con cui la tuttologa paladina femminista Selvaggia Lucarelli, già nel mese di dicembre aveva sbolognato l’inchiesta del New York Times che appurava e condannava gli stupri commessi da Hamas il 7 ottobre. «Ho letto l’inchiesta e ho molte cose da dire», aveva scritto la Selvaggia di nome e di fatto sui suoi social. «La prima è che ritengo plausibile che siano avvenuti degli stupri il 7 ottobre, la seconda è che l’inchiesta del New York Times (che ha una linea editoriale filo-israeliana e non è un segreto) non fornisce alcuna prova di ciò ed è una confusa accozzaglia di testimonianze, di deduzioni e di assenza di prove con l’aggravante che le fonti sono troppo spesso l’Idf e foto o ricordi “da cui sembrerebbe”. Del resto, sappiamo come è andata la storia dei bambini decapitati e sappiamo che Israele organizza proiezioni sull’orrore a cui invita giornalisti amici, per cui tendo ad avere scarsa fiducia nella propaganda splatter che ha due scopi precisi: deumanizzare il nemico (guardate che animali, le bestie sadiche di Hamas) e legittimare il massacro di Gaza. Dunque ribadisco il concetto iniziale: l’inchiesta del New York Times mi sembra inconsistente e fumosa, credo che sia molto probabile che alcune donne siano state stuprate».
Ecco il vero volto di Selvaggia e dei suoi amici finti-liberali, finti-femministi, finti-democratici, ostinati a legittimare il terrorismo islamico in ogni sua forma. Sì, anche quella sessuale.
A questo proposito, l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar è intervenuto ieri durante la proiezione al Senato del documentario Screams Before Silence di Sheryl Sandberg sulle violenze sessuali di Hamas il 7 ottobre, e ha dichiarato: «A distanza di 9 mesi dal massacro, Israele deve confrontarsi non solo con il dolore di chi ha vissuto sulla propria pelle quella tragedia, ma anche con la vergogna di coloro che, nel nome della causa palestinese, rifiutano di riconoscerla, o pretendono persino di negarla».
REI CONFESSI
Negare l’innegabile, ecco. Negare la confessione di Manar Mahmoud Muhammad Qasem, terrorista ventottenne accusato di stupro il 7 ottobre, che durante l’interrogatorio dell’Idf ha affermato: «Il demonio mi ha posseduto. L’ho spogliata e l’ho violentata».
Negare la rivelazione sconcertante del diciottenne Abdallah Ahmad Raadi, che insieme al padre Jamal Hussain Ahmad Raadi di quarantasette anni ha stuprato e ucciso una ragazza nel Kibbutz Nir Oz. «Lei aveva trent’anni circa. Mio padre è stato il primo a stuprarla, poi mi sono aggiunto anch’io. Prima di uscire di casa, mio padre l’ha uccisa», ha affermato il ragazzo a sangue freddo, senza alcun rimorso.
E ancora, negare l’immagine diventata virale dell’ostaggio Shani Louk, rapita al Nova Festival e condotta a Gaza sul retro aperto di una macchina, nuda e sanguinante, esposta come un trofeo dai terroristi di Hamas gongolanti, seduti sudi lei con il fucile alzato. Negare anche la testimonianza di Amit Soussana, ostaggio ormai liberato che ha racconta di aver subito delle violenze sessuali durante i mesi di prigionia. Negare soprattutto il filmato girato da Hamas stesso, dove si vedono cinque ragazze israeliane di soli diciotto anni, ferite e terrorizzate, prese in ostaggio il 7 ottobre.
«Queste ragazze possono rimanere incinta», si sente dire da uno dei terroristi. Nove mesi dopo, una di loro potrebbe già essere madre.
IL DIRITTO DI SOFFRIRE
Ecco, che dopo essere stato delegittimato in ogni modo, oggi Israele soffre di un’altra forma di delegittimazione, più subdola e infida delle precedenti: la delegittimazione del dolore.
Israele non ha il diritto di soffrire.
Israele non ha il diritto di denunciare le violenze subite. Nemmeno quelle sessuali. Un diritto negato che è uno sfregio alla moralità e alla sacra lotta per la parità di genere. Un insulto al corpo della donna. Di ogni donna.
Chi non si sente presa in causa, infatti, deve porsi una domanda scomoda e darsi una risposta sincera: perché non m’importa delle ragazze stuprate il 7 ottobre? La risposta temo sia ovvia. Perché sono israeliane.
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