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Libero Rassegna Stampa
07.07.2024 Iran: alla guida niente di nuovo
Commento di Carlo Nicolato

Testata: Libero
Data: 07 luglio 2024
Pagina: 11
Autore: Carlo Nicolato
Titolo: «I moderati iraniani: falchi in incognito»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/07/2024, pag. 11, con il titolo "I moderati iraniani: falchi in incognito", l'analisi di Carlo Nicolato. 

Carlo Nicolato
Carlo Nicolato

Nelle "elezioni" presidenziali iraniane vince il candidato dei riformatori, Massoud Pezeshkian. In realtà di riformatore non ha un bel niente. è in politica da 20 anni ed è sempre stato fedele all'ayatollah Khamenei. D'altra parte, se fosse stato un oppositore vero, nel sistema iraniano non avrebbe nemmeno potuto candidarsi.

Al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Iran ha vinto il candidato riformista, il 69enne Massoud Pezeshkian.
Con il 53,3 per cento ha sopravanzato di circa 7 punti l’ultraconservatore Saeed Jalili, e tutti sono contenti. «Tenderemo la mano dell’amicizia a ogni popolo» ha detto Pezeshkian che ha ricevuto subito le congratulazioni di Putin e Xi, seriamente intenzionati a rafforzare la cooperazione già esistente tra i loro Paesi.
Anche in Occidente la tentazione a cantar vittoria è tanto forte quanto ingenua perché se meglio si approfondisse la conoscenza delle logiche politiche e di potere iraniane si scoprirebbe facilmente che i “riformisti” sono tali e quali gli “ultraconservatori”, perfino peggio dal momento che si avvalgono dell’inganno dell’etichetta moderata e progressista. Si pensa, da noi, che tali “moderati” siano una sorta di liberali rivoluzionari che si ribellano all’establishment politico e vogliono di conseguenza cambiare alla base la politica della Repubblica islamica, ma in realtà sono una parte importante e strutturale di quell’establishment.

CHI COMANDA

L’Iran degli ayatollah è una dittatura, lo sanno tutti, perché mai dovrebbe permettere al suo interno la sopravvivenza di un partito che la vuole sovvertire? In Iran per intraprendere la carriera politica, e tantopiù scalarne i vertici, è necessario secondo la dottrina politica khomeinista (Vilayat-e Faqih) riconoscere e obbedire alla massima figura religiosa che è leader della nazione, la Guida Suprema, e allinearsi alla missione del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie.
Nonché diffonderne la dottrina rivoluzionaria e religiosa, anche attraverso il Nahjul Balagha, raccolta sciita di sermoni tanto cara a Khomeini di cui guarda caso il nuovo presidente Pezeshkian è uno dei maggiori esperti nazionali.
Non esiste alternativa.
Lo stesso consiglio dei Guardiani della Rivoluzione deve certificare il voto prima che il nuovo presidente possa assumere l'incarico, in un atto simbolico di sottomissione. Il voto popolare è solo una messa in scena e i riformisti sono una parte di questa commedia.
Dopo la laurea in medicina, il servizio durante la guerra con l’Iraq e la successiva carriera accademica, Pezeshkian si è dato alla politica e in 20 anni non è mai stato accusato di corruzione, né è stato coinvolto in alcuno scandalo politico. C’è chi ritiene che questa sia la prova certa della sua fedeltà a Khamenei. Lo stesso Pezeshkian lo ha suggerito quando all’inizio di quest’anno ha annunciato pubblicamente che l’ayatollah non avrebbe ostacolato la sua partecipazione alla sfida elettorale, cosa che invece il Consiglio dei Guardiani ha fatto nel 2021. Durante la campagna elettorale Pezeshkian ha detto frasi che hanno aperto il cuore dei boccaloni occidentali, come quando durante un dibattito in tv ha specificato che «il problema principale del Paese è la prospettiva: Vogliamo risolvere i nostri problemi con il mondo o no? Credo che dobbiamo uscire dalla situazione di stallo per risolvere i problemi del Paese».
Ma cosa potrà mai fare il nuovo presidente dal momento che l’ultima parola in politica estera spetta sempre al leader supremo e ai quadri superiori delle Guardie Rivoluzionarie? Dal 1979 l'Iran non ha modificato nulla in politica estera, indipendentemente da chi ne fosse il presidente. E in politica interna, nonché quella economica e finanziaria, le cose non sono diverse. Anzi, tutte le volte che ha governato un presidente moderato sotto il profilo dei diritti umani le cose si sono messe perfino peggio. Sotto il governo di Rouhani, l’ultimo dei riformisti prima di Pezeshkian, l'Iran si è classificato al primo posto al mondo per quanto riguarda le esecuzioni di persone e i diritti delle minoranze religiose ed etniche (tra cui sunniti, arabi e curdi) sono stati oppressi con più forza.

IL PRECEDENTE

Durante le proteste di piazza del 2018 contro le politiche di Rouhani sono stati uccise decine di manifestanti, altre centinaia sono state torturate in carcere (almeno 5 di loro sono morti). Mohammad Khatami, ex presidente considerato il padre dei riformisti e di cui Pezeshkian è stato ministro della Salute, disse che dietro le manifestazioni «che abusano di raduni pubblici e proteste pacifiche» c’era la mano dei nemici della nazione, cioè gli Usa e Israele. Come molti hanno scritto in questi giorni Pezeshkian sarebbe anche un sostenitore dell’accordo sul programma nucleare ma come hanno dimostrato le aperture di Rouhani ai tempi di Obama le differenze di fazione in Iran hanno uno scopo utilitaristico preciso. In quell’occasione le proteste dei sostenitori della linea dura contro la politica di distensione del presidente permetterono a Teheran di ottenere maggiore libertà d’azione sul nucleare. L’Occidente cadde nel più classico dei tranelli, quello del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, in cui ovviamente i riformisti hanno interpretato la parte del primo.

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