Biden, imminente il ritiro Analisi di Giovanni Sallusti
Testata: Libero Data: 01 luglio 2024 Pagina: 8 Autore: Giovanni Sallusti Titolo: «La tribù di Biden a consulto per decidere il destino di Joe»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 01/07/2024, a pag.8 con il titolo "La tribù di Biden a consulto per decidere il destino di Joe" l'analisi di Giovanni Sallusti.
Giovanni Sallusti
Il Partito Democratico americano ormai è una serie di paradossi concentrici, con al cuore il paradosso supremo: il presidente uscente che si ricandida a comandante in capo, dopo aver mostrato in diretta tivù a tutta la nazione la propria inadeguatezza strutturale, psico-fisica, a ricoprire il ruolo.
Non è gossip: il corpo del capo è tema politicissimo, in America (appunto perché non si tratta semplicemente di un presidente, di qualcuno che amministra, ma soprattutto di qualcuno che proietta l’anomalia e la potenza americane), ed è per questo che il tracollo di Biden in casa della Cnn lo ha reso indigesto anche a larghe fette di elettorato progressista.
Dopodiché, è fondato pure l’allarme suonato ieri con una nota ufficiale dai responsabili della campagna di Sleepy Joe. «Se si ritirasse, ciò porterebbe a settimane di caos, di torte in faccia e a un sacco di candidati che arrancano in una battaglia brutale sul palco della convention, tutto questo mentre Donald Trump avrebbe il tempo per parlare agli elettori americani incontestato». Non è un’iperbole da staff troppo zelante, è l’ossimoro politico e perfino esistenziale in cui è intrappolato il partito dell’Asinello: Joe Biden, oggi a tutti gli effetti un candidato fantasmatico e quasi offensivo, è l’unico in grado di tenere insieme le varie anime dem. Si sono sprecati fiumi d’inchiostro sulla presunta spaccatura nel Gop, la verità è che ad essere una somma di più partiti diversi, se non confliggenti tra loro, è da tempo la comunità democratica.
Biden è l’unico punto di caduta tra il moderatismo dei democratici di vecchio conio, diciamo i k e n n edyan-clintoniani, l’apparato di potere del clan Obama e l’estremismo Woke, la sinistra-sinistra che ha lanciato un’Opa sul partito come non si vedeva dai tempi della guerra in Vietnam. Per cui se togli il vecchio Joe, sì, finisce “a torte in faccia”. Nessuno degli ipotetici sostituti appare in grado di chiudere i giochi facilmente alla Convention di agosto, nell’obamiana Chicago, né tantomeno di ribaltare i rapporti di forza con Donald Trump. Non Gavin Newsom, il telegenico governatore della California che è un dito nell’occhio all’elettorato moderato, avendo reso le metropoli del suo Stato più attraenti per i senzatetto, gli spacciatori di Fentanyl e la delinquenza comune che per le aziende (molte fuggite nei repubblicani Texas o Florida a causa della tassazione opprimente). Non Kamala Harris, vicepresidente dal gradimento bassissimo e dall’inclinazione alla gaffe elevatissima. Non Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, la meno respingente per l’America profonda, ma anche quella che ha meno interesse a bruciarsi nella contesa con The Donald.
Non Michelle Obama, che entusiasma la bolla mediatico-mondana delle coste, ma difficilmente potrebbe strappare qualche Stato “ballerino”.
E quindi? Quindi si torna al punto di partenza di questo gioco dell’oca democratico, che sembra piuttosto un calvario: l’ineluttabilità dell’impresentabile Biden. Il quale, stando a un sondaggio Morning Consult diffuso da Axios, dovrebbe essere sostituito per il 60% degli elettori americani. E i paradossi della politica diventano i tormenti dell’anima del vecchio Joe, la cui convinzione è sicuramente meno granitica di quella ancora ostentata pubblicamente, fosse anche solo per ragioni molto prosaiche, come lo scetticismo ormai nemmeno mascherato che esonda dalla comunità dei finanziatori dem. Se non lascia, nonostante l’invito pressante perfino dei media più amici (New York Times in testa) va incontro al massacro con Trump, peraltro senza più quella rete di protezione politico-giornalistica che fino alla disfatta televisiva appariva scontata. Se lascia, ma mantiene la presidenza, innesca probabilmente la più grande crisi di credibilità della Casa Bianca nella storia americana, con annesso assist generoso alle numerose canaglie nemiche degli Usa e dell’Occidente sparse per il globo (da qui a gennaio è lunga, specie sul calendario russo-cinese).
Ci saranno dilemmi come questi sul tavolo di Camp David, residenza presidenziale, dove Biden in queste ore discute del futuro con i famigliari stretti: la first lady Jill, i figli e i nipoti. Una fonte vicina ai colloqui avrebbe detto: «Chi prende le decisioni sono due persone, il presidente e sua moglie». Il che sarebbe anche normale, se non si trattasse del leader del mondo libero.
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