Viaggio tra le armi segrete israeliane Reportage di Giovanni Longoni
Testata: Libero Data: 30 giugno 2024 Pagina: 18 Autore: Giovanni Longoni Titolo: «Viaggio nel laboratorio che fa vincere Israele a Gaza»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/06/2024, a pag. 18, con il titolo "Viaggio nel laboratorio che fa vincere Israele a Gaza", analisi di Giovanni Longoni.
Giovanni Longoni
Il trionfatore politico della guerra a Gaza non è ancora chiaro ma gli analisti militari israeliani di una cosa sono convinti. E cioè che le operazioni sul terreno un vincitore ce l’hanno già: le Forze di Difesa israeliane. Nonostante i più di 300 militari uccisi dall’8 ottobre e i combattimenti che ormai si estendono su tutti i tre confini terrestri e il rischio concreto di rivolte arabe interne, le IDF hanno raggiunto l'obiettivo di ridurre l’esercito terrorista di Hamas- equipaggiato, addestrato, guidato in modo ottimale e soprattutto asserragliato nella rete di cunicoli sotto Gaza - a una serie di bande scoordinate fra loro, che ancora combattono ma il cui potenziale offensivo si riduce ogni giorno che passa. Non è l’obiettivo posto dal governo, che è la distruzione di Hamas né la liberazione degli ostaggi (dei 251, a oggi solo 7 sono stati salvati da IDF, 109 liberati in cambio di galeotti) ma il nemico è stato ridotto ai minimi termini. Più in generale, tre considerazioni spiegano perché Gerusalemme può guardare con ottimismo al suo sistema di difesa finito sotto accusa per la débâcle di ottobre.
1) Gli attacchi iraniani del 13-14 aprile scorso con 120 missili balistici, 30 da crociera e 170 droni sono stati contrastati con efficacia quasi totale (99%) dai sistemi antimissile, Iron Dome, Arrow 3 e David’s Sling. C’è da valutare l’apporto dato dai Paesi amici (Usa, Gran Bretagna, Francia, Giordania) ma i tecnici militari israeliani mostrano ottimismo sulla tenuta dello scudo antimissile, anche in vista di una resa dei conti con Hezbollah. Secondo Zohar Palti, capo dell’ufficio politico-militare al ministero della Difesa, «la reazione contro lo sciame di proiettili iraniani sarà studiata a lungo nelle accademie militari».
2) A Gaza il 100% delle missioni è stato portato a termine. Con perdite – come detto, almeno 300 uomini - ma nessuna operazione di terra è stata interrotta o è fallita.
3) Israele è stato colpito quando si trovava all’apogeo della sua forza economica, basato sulla ricerca e sviluppo di nuove tecnologie, soluzioni, applicazioni. Era la “startup country” con il siclo moneta più solida al mondo; e anche se oggi sulla economia pesa lo stato di guerra ci sono notizie positive. L’anno 2023 si era chiuso con un record di vendite di armamenti e la guerra in corso sta dando la possibilità di testare nuovi sistemi d’arma. Che la ripresa israeliana passi dal comparto militare-industriale non sarebbe una novità.
Gli artefici del successo hanno nomi diversi ma uno spicca sugli altri: Rafael. È l’acronimo in ebraico di Autorità per lo sviluppo degli armamenti. Nata immediatamente dopo la fondazione dello Stato, nel 1948, è una corporation con capitale statale. Nel 2022 ha chiuso con un attivo di 150 milioni di dollari, frutto di 3,45 miliardi incassati. Dà lavoro a 8mila persone e nelle classifiche mondiali di settore risulta 42ª (superata da Israel aerospace industries, 35ª, e Elbit systems, 24ª; la nostra Leonardo è 12ª). Non è insomma un gigante del settore ma, in modo molto israeliano, si concentra su ricerca & sviluppo più che sulla produzione (che comunque è presente) e predilige soluzioni tecnologiche intelligenti (o furbe) a prezzi inferiori a quelli americani. Prezzi comunque top secret, ci dice Gideon Weiss, vicepresidente e responsabile del mercato internazionale. Lo abbiamo incontrato nella sede della Rafael in una verde valle della Galilea, a poca distanza da Haifa, grazie all'invito dell’EIPA (Europe Israel Press Association).
«Israele è unico per due motivi», ci dice Weiss, «la difesa è strettamente personale, cioè parte da ciascun singolo cittadino. Ognuno di noi è soldato e civile. In questo momento mio figlio è a Gaza. Secondo elemento raro se non unico è la collaborazione stretta franca e continua fra industria, forze armate e ministeri - Difesa e Finanze».
Weiss ci mostra i gioielli della collezione Rafael. Qui vengono progettati e costruiti i sistemi di difesa antimissile più famosi al mondo: Iron Dome e David’s Sling. Il principio di funzionamento è semplice: i missili e i droni nemici vengono individuati dai radar e in automatico viene azionata una contromisura, cioè un missile, che va ad abbattere la minaccia in arrivo. La Germania, miglior partner con gli Stati Uniti per l’industria bellica israeliana, ha acquistato il sistema Arrow 3 (che non è di Rafael ma di IAI) per 3,5 miliardi di dollari come deterrente alla sempre più ingombrante presenza russa alle frontiere orientali della UE.
Viaggiando in auto verso nord con il navigatore acceso si nota un fenomeno singolare: a un certo punto il dispositivo impazzisce e dà informazioni palesemente errate; ti dice che ti trovi a Beirut ma stai viaggiando tra i boschi di conifere della Galilea. Dipende dal fatto che i navigatori usano il GPS per orientarsi ma lo stesso fanno i droni usati dai terroristi. Sarà senso del risparmio, umorismo palestinese o il fatto che qualche comandante jihadista è appassionato di judo, ma fa parte della strategia di Hamas, Hezbollah e affini lo sfruttare la forza del nemico per ritorcergliela contro. GPS è una tecnologia americana ma è diventata, come del resto Internet, una sorta di seconda natura; è lì, apparentemente a disposizione di chiunque.
Jihadisti inclusi.
Perciò gli israeliani scompigliano il GPS nelle zone soggette ai lanci di Hezbollah per deviare le traiettorie dei vettori. E per evitare di venire giocati dall'avversario in modi simili, da decenni i missili progettati e realizzati qui, compresi quelli di Rafael, sono a guida radar attiva cioè inseguono il bersaglio in autonomia. Non è che non si fidino degli americani. È che non si fidano di nessuno.
Ma il fiore all’occhiello di Rafael si chiama Trophy, è un APS, cioè un sistema di protezione automatica. Il principio ricorda quello dell’Iron Dome, ma invece di difendere un territorio, Trophy è montato su un singolo mezzo corazzato, tank o trasporto truppe che sia. I radar installati sul carro armato controllano «a 360° e in 3D» la sfera al cui centro c’è il carro.
Una volta individuato il proiettile nemico in arrivo, attivano l’immediata contromisura che non solo annienta la minaccia, ma, con una seconda bocca di fuoco che spara alla sorgente da cui è partito l’attacco, neutralizza il nemico. È come se il carro armato da solo provvedesse a fermare granante e droni che gli vengono sparti contro e distruggesse allo stesso tempo i nemici che hanno aperto il fuoco.
I tecnici israeliani mostrano le immagini dei primi mesi del conflitto in Ucraina dove i mezzi russi, privi del Trophy, durante le azioni in ambienti urbani con il fuoco nemico proveniente da ogni direzione (anche dall’alto degli edifici diroccati), finivano preda delle imboscate ucraine con i famosi anticarro americani Javelin. Ma con i Trophy a bordo le cose sarebbero andate diversamente per i russi. Senza Aps ogni veicolo è un obiettivo, nota drastico uno degli ingegneri di Rafael.
Trophy non è una novità, gli americani, i tedeschi, i norvegesi l’hanno già comprato; anche la famiglia degli “scudi antimissile” è realtà da tempo.
L’ultimo nato di Rafael si chiama invece Spike Firefly. È un “drone kamikaze”, pesa 2 kg e mezzo, ha un’autonomia di volo fino a 30 minuti, controllato da remoto, ha la particolarità che, se l’obiettivo non viene colpito, lo Spike torna a casa, cioè da chi lo ha lanciato, e può essere riposto nel suo contenitore per un nuovo uso. I droni di oggi invece sono usa e getta: costano poco ma non li ricicli.
Ancora una volta la superiorità tecnologia sta dando un vantaggio decisivo a Israele.
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