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Libero Rassegna Stampa
28.06.2024 La destra rifiuta l’antisemitismo
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 28 giugno 2024
Pagina: 1/13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Lezioni da sinistra, no. Ma FdI apra le porte»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 28/06/2024, a pag. 1/13, con il titolo "Lezioni da sinistra, no. Ma FdI apra le porte", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

L'inchiesta di Fanpage sui giovani di FdI rivela che serpeggia ancora l'antisemitismo nella destra. Ma se solo Fanpage mettesse il naso in un centro sociale sentirebbe di peggio. L'inchiesta è strumentale, perché enfatizza il parere di una minoranza ignorante del partito di governo. Mentre ignora la marea antisemita che si vede in tutte le piazze della sinistra. Però anche FdI deve riflettere bene su chi tenere e chi espellere dal partito.

Premessa doverosa: i signori della sinistra non hanno alcun titolo per impartire lezioni a chicchessia sul contrasto all’infezione antisemita. Quella malapianta – dalle loro parti – germoglia e cresce rigogliosa: nei salotti, nelle redazioni, nelle università, nelle piazze. Con gli studenti e gli attivisti più esagitati che sono regolarmente coccolati -vezzeggiati -allevati dalle cosiddette “classi dirigenti”.
E così – da mesi – assistiamo a manifestazioni in cui si grida “dal fiume al mare” (inneggiando alla eliminazione di ciò che sta in mezzo, e cioè dello stato di Israele), in cui si parla di “genocidio” da parte di Gerusalemme, in cui si mette sistematicamente tra parentesi il pogrom del 7 ottobre pianificato e realizzato da Hamas. Per non dire di cosa accade – da anni – in occasione delle manifestazioni ufficiali del 25 aprile ai rappresentanti della Brigata Ebraica. Morale: da Fratoianni a larghissima parte del Pd, farebbero bene a tacere e a non fare i fenomeni.
Ma questo non può e non deve rappresentare un alibi, a destra, per non fare i conti con le stupide e spiacevolissime – e in qualche caso infami – scene che abbiamo visto nelle due puntate dell’inchiesta di Fanpage. Quel materiale audiovideo è stato acquisito con l’inganno, la furbizia, il sotterfugio, la slealtà giornalistica? Probabilmente sì. È stato montato in modo suggestivo? Quasi certamente. Riguarda realtà marginali, schegge laterali assolutamente non rappresentative della stragrande maggioranza dei giovani di destra? Ne sono certissimo: avendo partecipato a numerosi eventi e conferenze di Gioventù Nazionale. Portando telecamere nascoste in qualche centro sociale o in organizzazioni di sinistra verrebbero fuori cose molto peggiori? Ci si può scommettere.
Cionondimeno, quel che abbiamo visto e sentito nelle due puntate del montaggio di Fanpage è orrendo. Lo ripeto ancora: molto probabilmente, riguarda pochissime unità, un pugno di fanatici e di cretini (in genere le due caratteristiche tendono a sommarsi).
Ma quand’anche coinvolgesse soltanto una-tre-cinque-sette persone, non si tratterebbe comunque di episodi da sottovalutare.
E il punto non è solo – questo è il minimo – essere solidali con la senatrice Ester Mieli, il cui impegno e i cui valori sono stati oggetto di beffe e derisioni che qualificano i fanatici e i cretini di cui sopra. Si tratta di cogliere questa occasione per fare qualcosa che, a mio personale avviso, sarebbe massimamente necessaria: aprire porte e finestre.
E aprirle nei due sensi. Da un lato, molto chiaramente, per cacciare i colpevoli. Cacciare vuol dire esattamente cacciare: espellere, estromettere, rendere visibile il fatto che chi agisce in questo modo (non importa se clandestinamente o meno) non possa avere cittadinanza nella nuova destra italiana.
Dall’altro, occorre aprire le porte e le finestre per consentire che altre culture si aggiungano a quella che oggi – per suo merito e forza – è dominante a destra. Fermo restando che i militanti e i dirigenti di Fratelli d’Italia hanno tutti i motivi per essere assolutamente orgogliosi e fieri della propria storia, delle radici passate, della loro coerente traiettoria (personale e collettiva), adesso il loro compito – a mio avviso – non è quello di ricondurre a quella storia e a quelle radici anche i loro nuovi elettori di tradizione o estrazione diversa. Semmai, quei dirigenti hanno una meravigliosa occasione – che loro stessi hanno avuto lo straordinario merito di costruire – di mostrare che la loro antica casa (incluso il simbolo della fiamma) può ospitare anche altro e altri.
Lo ribadisco in modo perfino provocatorio: tutto ciò può accadere non nonostante la fiamma, ma grazie alla fiamma. Intendo dire che, essendo loro saldi nelle proprie convinzioni, nella lunga continuità del proprio percorso, a maggior ragione non dovrebbero aver motivo di temere la coesistenza con altre culture e altre sensibilità. Anzi: proprio l’ingiusto ostracismo subìto per anni può rappresentare la garanzia che loro non vorranno fare lo stesso verso altri, che saranno garanti del buon diritto di ciascuno a non veder soffocata la propria possibilità di esprimersi fino in fondo.
Starei per dire che – sia a livello giovanile che per i “grandi” – questo è il momento di far fare un passo in avanti al progetto di un grande partito conservatore e liberalconservatore. Un modello c’è: quello del Partito Repubblicano americano, che unisce storie e culture diverse. E – tutt’intorno – vive una rete di centri studi, think-tank, riviste, luoghi di elaborazione: uniti dalla scelta del portabandiera per le elezioni, e meravigliosamente plurali per le culture a cui garantiscono cittadinanza.
Anche aldilà dell’attuale assetto del centrodestra (basato su tre partiti distinti: che realisticamente resteranno tali), ciò che occorre, almeno dal punto di vista culturale, è una immensa e invisibile tenda che ospiti tutti, e che poi lasci ciascuno ultralibero di far vivere circoli, riviste, associazioni, giornali, movimenti, evitando che una sola cultura si rinchiuda in se stessa, si blindi, quasi ipotizzando una sfida tra sé e il resto del mondo.
Un uomo geniale e visionario come William Buckley jr. lo teorizzò nel 1955 in National Review, e parlò di “fusionismo”: non si tratta di annullare o annacquare alcunché, né di mescolare ingredienti in modo confuso, ma di far convivere culture diverse (destra identitaria, destra nazionale, destra liberale, destra religiosa, destra laica, ecc) unite su un’agenda elettorale essenziale e poi naturalmente e felicemente differenti su tutto il resto.
Ci pensino i dirigenti di Fdi, sia quelli più giovani sia quelli con i capelli d’argento. E ci pensi soprattutto Giorgia Meloni. C’è bisogno di cani sciolti, di apporti freschi e diversi, di culture in intelligente e libera competizione. È evidente chi debba guidare la macchina: Giorgia Meloni e la sua squadra. Ma è anche loro primario interesse che questa squadra, a tutti i livelli, diventi più ariosa e polifonica.
È questo il modo migliore per neutralizzare i pochissimi (residui) cretini e i fanatici.

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