La prima festa dal 7 ottobre per fiducia e unità ritrovata Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 09 giugno 2024 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «La prima festa dal 7 ottobre per fiducia e unità ritrovate. L’eroico sacrificio di Smora»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 09/06/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "La prima festa dal 7 ottobre per fiducia e unità ritrovate. L’eroico sacrificio di Smora".
Fiamma Nirenstein
Noah sulla motocicletta, trascinata via dai mostri mentre il suo compagno resta nelle loro mani, Noah che urla mentre le gettano uno straccio sul bellissimo volto orientale e la schiacciano fra due assassini nella corsa verso una prigionia che ieri aveva raggiunto i 246 giorni, era il simbolo della sciagura invincibile, della vittoria del male. Sua madre, in fin di vita aveva espresso la volontà di rivederla ancora una volta, e ormai Israele piangeva la sua tragedia. Fino a ieri: quando, ha raccontato, qualcuno ha picchiato sulla porta e ha detto “è l’Esercito, siamo venuti a salvarti”. Israele ha pianto di commozione per strada, nelle case, davanti alla tv, Noah sorrideva, abbracciava Bibi, andava dalla mamma all’ospedale.
In canottiera nera Almog appena liberato piangeva al telefono coi ragazzi amici suoi, tutti impazziti di gioia, Shlomo urlava amore mio alla moglie mentre lei correva all’ospedale. Famiglie, ragazzi con la bandiera per strada, bambini felici.. Israele dopo il 7 ottobre per la prima volta in festa, festa non solo del ritorno degli ostaggi, come fu per 116 liberati con lo scambio, o degli altri tre liberati poi. È la festa del rinnovamento della propria fiducia. La spirale della depressione in questa guerra è potente e ripete ossessivamente: gli ostaggi sono tutti morti, oppure sono in condizioni irrecuperabili, l’Esercito israeliano non ha la capacità di salvarli, la loro sorte è nella mani di Sinwar, solo sua la decisione per la vita o la morte, balle che l’Esercito possa aiutarne la liberazione con la pressione militare, non c’è che piegarsi al volere di Hamas: “Cessate il fuoco” per restare al potere. Dunque, recita il breviario dei luoghi comuni, Netanyahu che deve fermare la guerra con un accordo a tutti i costi, invece sacrifica i rapiti alle sue ambizioni politiche, anzi, non gliene importa di loro.
E poi anche: ormai la frattura interna separa l’esercito e i reparti speciali dal Governo, il Governo stesso è a pezzi, Gantz sta per abbandonarlo. Questa costruzione ieri è crollata sotto il peso di una valanga di emozione, di lacrime e sorrisi, di abbracci e di congratulazioni quando Noah, Shlomo, Almog e Andrei che sono stati salvati a Nuseirat, in una zona fra le più affollate e impossibili da penetrare, da un commando dell’Esercito, ieri sono stati stretti fra le braccia di un Bibi commosso come non si era visto: il recupero degli ostaggi, dato che Joni, suo fratello, cadde a Entebbe, è palesemente vicino al suo cuore. Per Israele è stato importante riconoscere ieri il suo leader, vittorioso. È stato sensibile, è stato capace, ha lavorato in segreto e nell’accordo generale. Israele per un attimo non soffre delle solite divisioni.
L’operazione di svolta si è disegnata giovedì sera con una riunione segreta in cui il Primo Ministro ha dato il suo placet all’operazione: c’erano il ministro della difesa Gallant, il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, e i capi delle unità di sicurezza. In particolare, la mitica Yamam, unità antiterrorismo, ha di fatto, sulla base di intricatissime informazioni raccolte in mesi dallo Shabback, ha compiuto un’operazione impossibile, che resterà, come Entebbe, nella storia delle liberazioni di ostaggi. Anche qui un eroe è caduto, come a Entebbe cadde Joni Netanyahu, il 36 enne Arnon Smora che lascia due bambini piccoli: una pallottola lo ha colpito alla testa mentre combatteva al terzo piano in uno dei due appartamenti in cui erano rinchiusi gli ostaggi, quello dei tre maschi. Noah era in un appartamento a 200 metri di distanza. Se le due operazioni non fossero state compiute con perfetto sincronismo, i prigionieri su cui ci fosse stato ritardo sarebbero stati quasi di sicuro eliminati.
Solo sabato mattina a un’ultima verifica, Netanyahu ha dato il placet: una scelta in cui, come lui stesso ha detto, fra fallimento e successo “c’era un capello di distanza”. “Non ci ho pensato un minuto” ha detto a Andrei abbracciandolo “vi riporteremo tutti a casa, in un modo o nell’altro”. Sarebbe stato per lui un disastro politico e militare molto profondo non riuscire, forse definitivo, e l’ha fatto lo stesso. Hic Rodhus: arrivare al doppio obiettivo, fare irruzione mentre intorno ormai Hamas chiamava rinforzi, combattere una battaglia durissima coi guardiani e i loro alleati, secondo la consueta tecnica di uso della gente peraltro chiusa sul suo segreto e consenziente con lo scopo criminale. Gantz naturalmente, peraltro avvertito da giovedì sera, ha rimandato l’uscita prevista per ieri sera.
Cosa stia ora rimuginando Hamas, può andare sia verso l’accettazione dell’accordo sul tavolo dalla presentazione di Biden, visto che l’attacco ha dimostrato la forza di Israele; oppure spingerà Sinwar a giocare il tutto per tutto sadicamente sui 116 poverini nelle sue mani. Quello che è certo è che in Israele, col dolore per Smora, con la promessa di restare saldi nel recupero dei rapiti, si respira aria di unità, di bravura... E forse anche di fortuna, finalmente.
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