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Il Giornale Rassegna Stampa
06.06.2024 Hezbollah e Hamas, due teste dello stesso mostro. La guerra al Libano si sventa annientando Sinwar
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 06 giugno 2024
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Hezbollah e Hamas, due teste dello stesso mostro. La guerra al Libano si sventa annientando Sinwar»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 06/06/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Hezbollah e Hamas, due teste dello stesso mostro. La guerra al Libano si sventa annientando Sinwar".


Fiamma Nirenstein

Il Nord di Israele brucia, a causa dei continui lanci di razzi di Hezbollah. Dall'inizio della guerra a Gaza, il gruppo terrorista sciita con base in Libano sta cercando di aprire un secondo fronte nel nord di Israele. Tra Hamas e Hezbollah c'è un patto non scritto, ma solido, entrambi sono manovrati dall'Iran. 

Quel fuoco che da lunedì ha reso neri e spellati il Golan e la Galilea al confine col Libano, ha trasformato in una collezione di miseri stecchi in fila quella miracolosa foresta che Israele con tanta fatica cresce dalla sua nascita, ha distrutto case, ha messo in fuga gli ultimi coraggiosi agricoltori, da Kiriat Shmona alla zona del Kibbutz Manara dove vive la novantottenne sorella di Rabin… non merita, tutto questo, una guerra? Nessun Paese del mondo avrebbe sopportato, da otto mesi a questa parte, che giorno dopo giorno, gli Hezbollah che hanno dichiarato sin dalla Nukba, il carnaio del 7 di ottobre, di condividere la guerra di Hamas, mettessero in fuga tutta la popolazione, uccidessero, incendiassero, minacciassero. Israele certo non è stato a guardare, ha schierato i Golani anche sul Nord e ha sparato senza risparmio sulle spavalde postazioni di confine e sui lanciamissili degli Hezbollah. Ieri Netanyahu ha dichiarato, dopo che aveva etto la stessa cosa il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, che Israele è pronta a combattere una vera guerra. È la struttura stessa del Paese, che ieri ha cercato con la grande manifestazione in onore dell’unificazione di Gerusalemme nel ‘67, che è in giuoco, e gli ostacoli non sono solo legati alla difficoltà, quanto a uomini e ad armi, di reggere un conflitto su due fronti. Ma l’esercizio quotidiano di distruzione di Israele per cui a nord vivi fra i lanci dei Kornet, i Burkan, i droni suicidi, forse anche i missili iraniani di terza generazione perseguitano Israele stringendola in un angolo.

Fu a febbraio che Nasrallah spiegò che il danno che avrebbe potuto portare a Israele, se si fosse avventurato troppo, sarebbe arrivato fino a Eilat, ovvero, si capì, fino alla centrale nucleare di Dimona. Non solo: i suoi missili coprirebbero Israele, i suoi giannizzeri sarebbero peggio di Hamas quanto a crudeltà e fanatismo. Con la visita ai soldati al confine del Libano, Bibi ha voluto segnalare che la pazienza sta finendo. Anche da Londra erano giunti avvertimenti a Nasrallah della decisione di bombardare Beirut, e gli Hezbollah non vogliono giuocarsi il lato patriottico libanese. Israele qui segnala che vuol dire alla sua gente che prima o poi potrà tornare a casa.  Invece per ora quel fuoco è stato un simbolo inequivoco che la guerra barbarica è in pieno svolgimento, che non c’è accordo in vista come vorrebbe Biden, da sempre contrario alla guerra che gli scalda il fronte mondiale prima delle elezioni. Un racconto molto famoso di Aleph Beth Yehoshua racconta di un ragazzo israeliano che, da guardiaboschi, vede ogni giorno un arabo con una bambina per mano nella foresta: che egli diventa per lui un personaggio enigmatico ma non ostile, anzi, fantasticato come un possibile amico misterioso, finché il bosco andrà in fiamme perché l’uomo con la bambina ha deciso di distruggerlo.

Bene, Israele oggi deve capire a che stadio siamo prima che l’incendio venga appiccato, stavolta fra la morte e distruzione dai 250mila missili che l’Iran ha regalato al suo proxy e però la potenza della risposta israeliana. Un rischio mondiale. Per ora i sotterranei tentativi di mediazione, che richiederebbero, per l’inevitabile compito d’Israele di far tornare alle loro case gli sfollati che insieme a quelli del confine di Gaza sono ormai quasi 250mila, uno spostamento di Hezbollah dal confine non hanno trovato risposta. Amos Hochstein, l’inviato per il Libano di Biden, e Macron, da sempre un appassionato delle questioni di Beirut, si danno da fare. Ma più dei divieti (“Don’t” disse Biden, e Narsrallah sorrise) valgono le molte visite dei ministri iraniani nel bunker di Nasrallah. E il primo ostacolo è in mani molto temibili: come hanno detto tutti gli ufficiali del governo americano, Sinwar ha potere di decidere sugli ostaggi. Finché non decide, continua la guerra; finché continua, Hezbollah segue l’impegno di spalleggiarlo. Se esagera, Israele dovrà per forza attaccare nel profondo: quanto si può sostenere l’espulsione della propria gente, la distruzione e la desertificazione, il bombardamento con morti e feriti? Forse l’unico modo per frenare l’escalation generale è spaventare Sinwar fino al punto che debba necessariamente accettare lo scambio. Allora, anche Nasrallah dovrebbe probabilmente a malincuore staccare il piede dall’acceleratore. Ma è un sogno. Siamo comunque nelle mani dei terroristi, a meno che Israele non trovi finalmente il sostegno internazionale fondamentale per combattere l’idra che minaccia tutti, con le sue varie teste: ma non sembra probabile. Anche questo è un sogno.   

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