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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Libero Rassegna Stampa
20.05.2024 Israele e Arabia Saudita: ritorno dei Patti di Abramo?
Cronaca di Amedeo Ardenza

Testata: Libero
Data: 20 maggio 2024
Pagina: 13
Autore: Amedeo Ardenza
Titolo: «Israele e Arabia Saudita verso un accordo storico, con la mediazione degli Usa»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 20/05/2024, a pag. 13, con il titolo "Israele e Arabia Saudita verso un accordo storico, con la mediazione degli Usa", la cronaca di Amedeo Ardenza

Jake Sullivan (consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa) incontra Benjamin Netanyahu. La mediazione Usa può ancora risultare fondamentale per completare gli Accordi di Abramo, normalizzando le relazioni fra Israele e Arabia Saudita. 

A sconfiggere Hamas militarmente deve provvedere Israele. Negli ultimi 19 anni, da quando cioè il governo di Ariel Sharon ordinò il disimpegno unilaterale dalla Striscia di Gaza, Hamas ha attaccato lo Stato ebraico a più riprese utilizzando in un crescendo obici di mortaio, razzi artigianali, missili a corto e a medio raggio e in tempi più recenti anche droni made in Gaza. Questo ha reagito con una serie di operazioni militari condotte principalmente dal cielo (Piogge estive nel 2006, Inverno caldo nel 2008, Piombo fuso nel 2009, Colonna di nuvola nel 2012, Margine protettivo nel 2014 e Guardiano delle mura nel 2021) nel tentativo di eliminare gli arsenali e le rampe di lancio del sedicente Movimento islamico di resistenza.
Sforzi vani: la geografia fisica e umana di Gaza (una stretta striscia di terra altamente popolata) rende i bombardamenti inefficaci mentre i gazawi usati da Hamas come scudi umani si ritrovano fra l’incudine e il martello. Israele ha anche grandemente sottostimato l’estensione della rete di tunnel allestita dal gruppo del terrore. Nelle gallerie costruite con i soldi del Qatar e degli aiuti internazionali, Hamas ha potuto organizzarsi al riparo da occhi indiscreti, tentare infiltrazioni in Israele e importare grandi quantità di materiale bellico dall’Egitto. Il pogrom del 7 ottobre ha dimostrato al mondo che lo Stato ebraico si è fatto cogliere impreparato.

UNA VITTORIA POLITICA

Da cui la reazione del governo di Benjamin (Bibi) Netanyahu: mobilitazione e invasione di terra, un’opzione temuta – solo ieri sono morti altri due soldati portando la conta dei caduti dal giorno dell’ingressi a Gaza a quota 282 – ma necessaria per mettere Hamas in ginocchio. Sconfitto un fanatico religioso, però, ne sorge subito un altro. Ecco perché a Israele serve anche una vittoria politica. Gliela sta offrendo in queste ore l’amministrazione di Joe Biden. In queste ore la Casa Bianca ha inviato nella regione il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Sullivan, arrivato a Gerusalemme per incontrare Bibi ore dopo una visita a Riad, ospite del principe ereditario e uomo forte dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman (Mbs). I due «hanno discusso la versione quasi finale del progetto di un accordo strategico» perla normalizzazione dei rapporti fra il Regno wahabita e lo Stato ebraico, ha scritto il ministero degli Esteri saudita.
Nonostante la guerra fra Israele e Hamas e a dispetto delle pressioni della comunità internazionale affinché le Idf non colpiscano Rafah, ultima roccaforte del gruppo terrorista palestinese, i sauditi si dimostrano una volta ancora pronti a siglare un accordo di pace con Israele.
Riad non può neppure essere accusata di rompere la (storicamente pelosa) catena della solidarietà araba nei confronti dei palestinesi. Anzi: Sullivan e Mbs hanno anche esplorato modi per trovare un «percorso credibile verso la soluzione a due Stati in un modo che soddisfi le aspirazioni del popolo palestinese e i suoi diritti legittimi», ha scritto ancora Riad.

CREPE NELL’ESECUTIVO

Far entrare Israele nelle grazie dell’Arabia Saudita, assesterebbe un duro colpo all’Iran, nemico mortale dello Stato ebraico e rivale dei sauditi per la supremazia nel Golfo Persico. Le incertezze riguardo alla sorte del presidente iraniano Ebrahim Raisi, fra i più scatenati odiatori di Israele e degli ebrei nonché negazionista certificato dell’Olocausto, possono solo aver aumentato l’interesse di Netanyahu per la profferta di pace mediata da Sullivan. Vuoi per il disastro di intelligence e di sicurezza rappresentato dal pogrom del 7 ottobre, vuoi perché al 226esimo giorno di guerra Hamas non sembra ancora sconfitta né alcun ostaggio è tornato a casa vivo (a parte quelli dello scambio pattuito lo scorso dicembre), vuoi ancora perché Hezbollah (un altro alleato dell’Iran) tempesta quotidianamente dal Libano il sud d’Israele, Bibi è in grave affanno.
Sabato l’ex capo di stato maggiore e leader centrista Benny Gantz ha minacciato la sua uscita dal gabinetto di guerra se non ci sarà un cambio di passo, un focus sulla liberazione degli ostaggi e una presa di distanza dalle posizioni della destra nazionalista e religiosa.
Ore dopo anche il ministro della Difesa, l’ascoltato ex generale Yoav Gallant, ha fatto lo stesso. Una volta ancora la politica israeliana gira intorno a Bibi: a lui decidere se ascoltare le sirene del centro e della sinistra o se proseguire sulla via dell’alleanza con la destra nazionalista e religiosa.
Ieri il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich suggeriva l’invasione del sud del Libano per fermare Hezbollah.

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