Testata: Libero Data: 17 maggio 2024 Pagina: 4 Autore: Amedeo Ardenza Titolo: «Abu Mazen: L'attacco del 7 ottobre, una giustificazione per attaccare Gaza»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 17/05/2024, a pag. 4, con il titolo "Abu Mazen: L'attacco del 7 ottobre, una giustificazione per attaccare Gaza", la cronaca di Amedeo Ardenza
«L’operazione militare condotta da Hamas con decisione unilaterale lo scorso 7 ottobre ha fornito a Israele più pretesti e giustificazioni per attaccare le Striscia di Gaza». Così ha parlato Mahmoud Abbas (nome di battaglia Abu Mazen) davanti ai capi di stato e di governo della Lega araba riuniti ieri in Bahrein. Una dichiarazione ambigua perfettamente in linea con la linea, parimenti ambigua, seguita dal presidente dell’Autorità palestinese. Sempre pronto con una mano a stringere quella del leader occidentale di turno che gli rende visita a Ramallah, mentre con l’altra incentiva il terrorismo su scala locale concedendo pensioni e vitalizi ai palestinesi della Cisgiordania che attacchino gli ebrei.
Le parole pronunciate a Manama sono un capolavoro in questo senso: l’azione di Hamas è unilaterale, osserva l’uomo eletto alla guida dell’autonomia palestinese nel lontano 2005 (e il cui mandato è scaduto il 15 gennaio del 2009). La traduzione più sensata è: noi dell’Olp non c’entriamo nulla. Un modo per mettere le mani avanti e far capire che l’Autorità palestinese non pratica il terrorismo?
Neanche un po’ visto che nella stessa frase Abu Mazen definisce quella del 7 ottobre un’operazione militare. Cosa ci sia di militare nello stuprare, mutilare, uccidere, sgozzare, torturare e rapire donne e bambini dei kibbutz israeliani Abbas non lo spiega. Chissà: a essere maligni si potrebbe pensare che quando ha detto «unilaterale» Abu Mazen non stesse prendendo le distanze dai tagliagole di Hamas ma si stesse lamentando per non essere stato invitato alla mattanza di ebrei.
È notevole invece come dopo aver definito «militare» il pogrom del 7 ottobre, il presidente palestinese abbia definito l’invasione di Gaza da parte di Israele «un pretesto». Ma come? Uno dei premier più falchi d’Israele, Ariel Sharon, smantellò gli insediamenti israeliani nell’enclave palestinese nell’agosto del 2005. I 9 mila “coloni” che vi abitavano furono trascinati per i capelli e per le orecchie e di fatto messi su una strada. La decisione spaccò il paese. Da allora però nessun israeliano ha più rimesso piede nella Striscia, anche a dispetto dei lunghi e ripetuti scontri armati tra Hamas e le Israel Defense Forces, missili e droni contro missili e aerei.
Ma gli israeliani sanno bene che muovere guerra dentro Gaza è difficile e pericoloso: solo ieri cinque effettivi delle Idf sono stati uccisi, in questo caso dal “fuoco amico”. Sta di fatto che da quando hanno iniziato le operazioni di terra contro l’enclave, le forze armate israeliane hanno già perso 284 uomini fra professionisti e riservisti. E secondo Abu Mazen Israele cercherebbe un “pretesto” per tornare a Gaza?
Forse le parole del numero di uno dell’Autorità palestinese, dell’Olp e di Fatah sono l’ennesimo tentativo di accreditarsi come uomo di pace, come moderato, leader affidabile perla ricostruzione post-bellica e la nascita di un nuovo stato. In Israele il governo discute il tema apertamente. Solo ieri il ministro della Difesa Yoav Gallant ha messo in guardia il premier Benjamin Netanyahu dall’immaginare un futuro in cui Israele mantenga alcun tipo di controllo, militare o civile, sulla Striscia. Netanyahu dovrà impegnarsi per trovare una soluzione che gli garantisca l’appoggio dei centristi alla Gallant. Su un punto però non si può dargli torto: «Non sono disposto a sostituire Hamastan con Fatahstan», ha replicato. Ieri sera, intanto, la Difesa israeliana ha fatto sapere che due ostaggi thailandesi sono stati uccisi il 7 ottobre e che i loro corpi sono detenuti da Hamas a Gaza.
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