Nelle università in Israele, arabi ed ebrei sono parte di un percorso comune, anche con la guerra a Gaza Intervista di Cosimo Niccolini Coen a Hanoch Ben Pazi
Testata: Bet Magazine Data: 15 maggio 2024 Pagina: 18/19 Autore: Cosimo Niccolini Coen Titolo: «Nelle università in Israele, arabi ed ebrei sono parte di un percorso comune, anche con la guerra a Gaza»
Riprendiamo da BET Magazine-Mosaico di maggio 2024, a pag. 18/19, con il titolo "Nelle università in Israele, arabi ed ebrei sono parte di un percorso comune, anche con la guerra a Gaza", l'intervista di Cosimo Niccolini Coen a Hanoch Ben Pazi.
Sempre di più, in Italia come nel resto dell’Occidente, prende piede l’idea secondo la quale Israele costituirebbe uno Stato di Apartheid. Da diverse parti, inoltre, viene sostenuto che nel mondo accademico israeliano non vi sia libertà di espressione o che, se vi era prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, essa sia stata sacrificata in nome dello stato di emergenza.
Allorché si portano questi argomenti si fa riferimento ad alcune normative che sanzionano quanti esprimano sostegno alle azioni terroristiche. Per affrontare tali questioni, a partire dall’attualità e fino a toccare il tema del pluralismo nella società israeliana e il rapporto tra pensiero ebraico, etica e politica, abbiamo parlato con Hanoch Ben Pazi, professore al dipartimento di Filosofia ebraica di Bar Ilan, di cui è stato a capo per diversi anni, specialista del pensiero di Martin Buber e Emmanuel Levinas, e impegnato nel dialogo interreligioso.
Professore, come risponderebbe a queste accuse, su cui si basano le campagne di boicottaggio alle università israeliane?
Le università israeliane sono completamente aperte a tutti, cittadini ebrei e non ebrei, arabi e di ogni altra minoranza, in modo eguale. Ogni dipartimento, ogni progetto universitario, è accessibile a ogni cittadino di Israele, senza distinzione, così come agli studenti, di ogni nazionalità e religione, provenienti dall’estero. Questo è vero anche nel nostro dipartimento: uno dei membri del corpo docenti è Khalid Abu Ras, che insegna la filosofia islamica, così come abbiamo studenti musulmani che si interessano di filosofia ebraica. Più in generale, l’indagine e la valorizzazione del rapporto tra pensiero ebraico e islamico fa parte delle nostre attività e vocazione: vi sono infatti diversi progetti condivisi tra il nostro dipartimento e quello di cultura e lingua araba. A livello personale, posso dire di aver avuto un grande timore, successivamente al 7 ottobre, rispetto a cosa sarebbe successo una volta riaperti i campus e rincominciati gli studi. Vi era molta paura e tensione nell’aria. E posso dire di esser stato molto stupito, in positivo. La vita nel campus è rincominciata come prima: se giri per il campus di Bar Ilan vedi, proprio come prima, studenti ebrei e arabi, tra cui vi è un clima convivale. Le università forniscono supporto agli studenti arabi che, provenendo da un sistema scolastico la cui lingua prima è arabo, necessitano poi, nel prosieguo degli studi in Accademia, di un supporto. La dimensione di vita accademica condivisa è qualcosa di reale, non retorico, e sono stato stupito dell’assenza di tensione.
All’inizio di ottobre era esploso il caso, in particolare nei diversi canali social e mezzi di informazione, riguardo ad alcuni studenti che avrebbero o non avrebbero espresso il loro sostegno all’attacco di Hamas. Non so cosa ne sia seguito, dal punto di vista penale, in questi casi, ma posso dire che è stato un aspetto in prevalenza mediatico: nella pratica, nella vita reale, gli studenti arabi ed ebrei erano e sono parte di un percorso comune. Nella mia attività di docente non ho incontrato neppure un solo studente che sia stato allontanato dall’università per via di una sua determinata posizione – e questo è vero con riferimento ai diversi schieramenti. È quindi un fenomeno che ha più a che fare con “il rumore” dei social media che non con la vita reale. Lo Stato di Israele è di fronte a sfide importanti e difficili. Il 7 ottobre è stato uno shock per tutti in Israele. Ebrei e arabi. E devo dire che la comunità arabo-israeliana ha reagito con grande rispetto. C’era il timore per quello che sarebbe potuto accadere nelle diverse città a popolazione mista, come Lod, Akko e altre. Invece, sorprendendo molti, non è accaduto nulla. Sono da ricordare, inoltre, le storie di aiuto reciproco, nel giorno dell’attacco di Hamas: beduini che hanno nascosto ebrei, ebrei che hanno nascosto beduini. Sul piano accademico, alcune settimane fa abbiamo avuto un incontro all’università di Haifa a cui hanno partecipato ebrei e arabi, provenienti da diverse parti del Paese. E proprio in tale occasione, nella quale ci siamo confrontati con esponenti della comunità arabo-musulmana come l’Imam Sheikh Samir Assi, si è ricordato come spetti alle università e al mondo della cultura il compito di creare le condizioni per il dialogo nella società israeliana. Un compito al quale non ci sottrarremo. So che da fuori le cose possono apparire ancor più difficili, ma nella pratica la vita ha una sua dimensione, una sua energia. Non sono ingenuo, quello che ci aspetta è un lavoro duro, la paura si annida in ogni luogo, tra gli ebrei come tra gli arabi, ma io penso, sono convinto, che la vita condivisa sia più forte.
Ha parlato del dottor Abu Ras di Bar Ilan. Era stato lei, negli anni del suo incarico a capo del dipartimento, a chiamarlo a insegnare? Ci può dire qualcosa di più del rapporto con lui dopo l’attacco del 7 ottobre?
Sì esatto l’avevo chiamato io. Con Khalid vi è un rapporto molto intenso. Mi ha scritto immediatamente dopo l’attacco, l’8 ottobre, un’email personale. Mi ha espresso il suo sdegno e la sua più ferma riprovazione, in nome dell’Islam, di fronte al massacro compiuto dai miliziani di Hamas e delle altre fazioni in nome di Allah. Khalid è una figura stimata nella sua comunità, e lì è impegnato per il dialogo. Non sempre è possibile prendere posizioni pubbliche. Ma io so che il suo impegno e convincimento è in questa direzione e il suo insegnamento, presso il nostro Dipartimento, riveste per me un’importanza essenziale. Ci diceva della piena libertà di espressione in ambito accademico. Nella mia esperienza ricordo, negli anni in cui ho partecipato al Forum Matanel di pensiero ebraico-francese – dove la discussione filosofica necessariamente tocca aspetti legati alla vita pubblica – una grande diversità di vedute, che poteva esprimersi anche a livello politico.
Alcuni membri del Forum, vicini a posizioni della sinistra post-sionista, altri le cui visioni erano associabili a quelli della destra tradizionalista. Come si è mantenuto questo dialogo nei mesi successivi il 7 ottobre?
Al Forum Matanel abbiamo un dialogo vivace e intenso. Abbiamo un membro del Forum che si riconosce nelle posizioni della sinistra più radicale, e che ha espresso delle critiche forti rispetto ad alcuni aspetti della guerra. La sua famiglia viene dall’Otef (la regione adiacente la striscia di Gaza, le cui città e kibbutzim sono state oggetto degli attacchi e dei rastrellamenti di Hamas, ndr). Nello stesso Forum, però, vi sono persone che portano avanti una lettura prossima a quella di Sha’as (il partito tradizionalista-sefardita, alleato con il Likud, ndr) e che hanno una lettura completamente differente. Da questo punto di vista il Forum Matanel esemplifica perfettamente il pluralismo di idee, la possibilità che opinioni non solo differenti ma anche tra loro in netto contrasto, possano essere espresse, articolate. Naturalmente, non si deve nascondere la difficoltà della situazione: ma questa situazione, per quanto complessa, non lo è a tal punto dall’attenuare il confronto e dall’impedirci di credere nel dialogo. In questo senso ci tengo a ricordare il progetto, che portiamo avanti a Bar Ilan, di “pensiero ebraico e società”: un progetto dove ci confrontiamo con persone che si trovano in carcere, tra le quali vi sono anche arabi, proponendo dei percorsi di studio condivisi. Proprio l’altra sera, si è tenuto il primo incontro del progetto dopo il 7 ottobre. Avevo timore di come si sarebbe potuto svolgere: invece, è stato un incontro fruttuoso, svoltosi in un clima sereno. Da questo punto di vista Bar Ilan è una realtà che può stupire, essendo un’università identificata come maggiormente tradizionalista, e che è, senza che ciò rappresenti una contraddizione, aperta al dialogo tra ebrei e arabi, così come tra ebraismo, Islam e cristianesimo.
Abbiamo parlato dell’università. Volevo chiederle la sua visione più generale, personale e politica, rispetto agli eventi: l’attacco del 7 ottobre, con cui Hamas ha infranto a sorpresa la tregua vigente, la guerra che ne è scaturita e i suoi effetti.
Anzitutto, dal punto di vista dei criteri con cui stabilire se una guerra giusta, ossia legittima, o non giusta, non potrebbe esservi una guerra più legittima di questa, senza dubbio.
Anzitutto, dal punto di vista politico e nazionale. Ci siamo trovati di fronte a una minaccia esistenziale per Israele, al tentativo di attentare all’esistenza dello Stato. Ciò che è successo il 7 ottobre va al di là di questa dimensione politico-nazionale: è stato un attacco, una ferita, inferta all’umanità dell’uomo, all’eticità dell’essere umano. Da questo punto di vista ci siamo trovati qui in Israele, senza averlo scelto, non solo in una guerra volta alla difesa dello Stato, ma in una battaglia volta a difendere la stessa immagine dell’uomo, della sua moralità. In effetti, per quanto sappia quanti nel mondo si dissocino da ciò, ci troviamo impegnati in una battaglia universale, di fronte a una delle minacce più gravi a cui ha dovuto far fronte l’umanità: l’attacco del 7 ottobre, nel suo tentativo di cancellare il volto umano, attraverso atti di una violenza inaudita, dallo stupro allo smembramento, dal levare il feto di donne ancora in vita a bruciare vive le persone: questa violenza non era rivolta solo contro gli ebrei e Israele ma contro l’uomo in quanto tale, mostrando una malvagità fuori da ogni categoria immaginabile. Noi non abbiamo il permesso, abbiamo il dovere di combattere contro tutto questo.
Cosimo Nicolini Coen svolge una ricerca di dottorato, sotto la direzione del prof. Ben Pazi, all’università Bar Ilan, ed è assegnista all’Università Kore di Enna, nell’unità di ricerca diretta dalla prof.ssa Lucia Corso. Ha pubblicato il libro Il segno è l’uomo (Durango 2020; Harmattan 2022) e ha curato l’edizione italiana del volume di Abraham Melamed Dat: da legge a fede