Lagna continua a sinistra, ma la destra sonnecchia Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 12 maggio 2024 Pagina: 1/12 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Vip di sinistra fanno le vittime, ma anche a destra sulla battaglia delle idee sonnecchiano»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 12/05/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Vip di sinistra fanno le vittime, ma anche a destra sulla battaglia delle idee sonnecchiano", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Di là, la sigla è rimasta simile a quella che fece furore alcuni decenni fa: LC. Che allora- però - stava per “Lotta Continua”, mentre oggi, nell’era del vittimismo aggressivo e del lamento permanente, è diventata “Lagna Continua”. Guardateli, e, se ci riuscite senza ridere o senza irritarvi troppo, ascoltateli. Sdraiati su contratti milionari, arrampicati su palchi e palchetti pubblici e privati, illuminati a giorno dai faretti delle telecamere, gridano alla censura, si dichiarano minacciati dal governo, frignano in posa plastica, e naturalmente urlano contro il fascismo eterno.
Si recensiscono tra loro, si consegnano premi, si intervistano e si danno ragione a vicenda, solidarizzano l’uno con l’altro, salvo naturalmente sgomitare e scalciare se un nuovo aspirante martire sottrae spazio al vecchio, “impallandolo”, cioè togliendogli la luce dell’inquadratura.
L’abitudine è diventata attitudine, il format è diventato carattere, la routine è diventata destino. Prima insultano-accusano-puntano il dito; poi, se per caso qualcuno osa rispondere, fanno le vittime e si atteggiano a dissidenti. Nelle pause, ovviamente, fatturano. Assistendo a questo spettacolo, dal lato opposto ci si potrebbe perfino divertire. Questo carro di Tespi è ormai grottesco, la stragrande maggioranza degli italiani non ne può più, e - semmai l’effetto è perfino controproducente, poiché queste scenette non sembrano affatto in grado di togliere consenso elettorale al centrodestra.
Anzi.
E tuttavia- di qua, su sponde liberalconservatrici - ci si sente un po’ soli. È ormai trascorso più di un anno e mezzo dalla vittoria elettorale del centrodestra, e purtroppo molto poco sembra cambiato rispetto al passato in termini di circolazione d’aria, di ossigeno, di libertà nella cultura e nell’agorà italiana. Diciamocelo con onestà: diverse scelte compiute, in ambito pubblico e anche privato, sconcertano o per la qualità discutibile che si è scelto di premiare o per gli ennesimi cedimenti agli avversari di sempre.
Era lecito attendersi una fioritura rigogliosa di voci e punti di vista, la creazione di nuove occasioni di dibattito e battaglia delle idee, e invece siamo sempre lì: con la sinistra all’attacco e la destra più o meno (auto)costretta al gioco di rimessa, alla giustificazione continua, o comunque alla perdita di tempo su microbattaglie quotidiane, a risse senza respiro destinate a essere sostituite dalla contesa altrettanto fatua del giorno successivo.
Dopo decenni di (motivatissima e sacrosanta) recriminazione sull’egemonia culturale della sinistra, la destra appare ancora al palo, o almeno troppo lenta. Un po’ per la prevedibile resistenza dei vecchi occupanti, ma un po’ anche per responsabilità proprie. Non si trattava di sostituire la vecchia “cappa” con una nuova “cappetta” di amici leali: si trattava invece di aprire porte e finestre, di scatenare una competizione intelligente, di offrire al pubblico nuove opportunità.
E in particolare, sul lato destro, era e sarebbe ancora necessario uscire dal fortino assediato e far convivere spinte e sensibilità diverse: più di destra tradizionale o più di impronta liberalconservatrice, più cattoliche o più laiche, più sociali o più pro mercato. Avendo in mentecome obiettivo- non quello di espugnare le trincee occupate dagli altri, ma quello di percorrere praterie mai visitate e nemmeno intercettate: un’offerta culturale concepita anche per l’Italia più dinamica, del lavoro autonomo, delle partite Iva, della piccola impresa, dei risparmiatori e dei proprietari, di quanti hanno - pure in ambito culturale - una qualche idiosincrasia rispetto all’idea di una gestione troppo “politica” e “pubblica” della cultura. Vale anche sul piano territoriale e locale: perché si danno per perse le grandi città, lasciando campo libero alla sinistra, accontentandosi di un ruolo da oppositori, da mentalità minoritaria, mentre tutto consentirebbe di proporsi in una chiave diversa, più moderna, ariosa, costruttiva?
Qui su Libero e nei pochi altri spazi praticabili (incredibilmente sempre di meno, anche in ambito radiotelevisivo), cerchiamo come possiamo - i lettori lo sanno - di tenere vive e forti alcune ragioni. Ma un qualche senso di solitudine si avverte. I tre partiti di centrodestra hanno altre priorità e, di tutta evidenza, continuano a sottovalutare il potenziale di avvelenamento di cui la vecchia macchina culturale e giornalistica della sinistra è tuttora capace.
Il consenso popolare - ci permettiamo di ricordarlo- è condizione indispensabile ma non sufficiente per governare: occorre anche altro, che oggi non si vede. Le voci libere, da queste parti, si battono con generosità nelle giornate difficili, e cercano, in quelle più tranquille, di offrire un contributo di idee e di riflessione. Servirà a qualcosa? Ce lo auguriamo, in uno sforzo di ottimismo.
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