Non diteci che tutto è normale Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 06 maggio 2024 Pagina: 1/12 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Delirio violento e minacce contro gli ebrei nelle nostre università. Vi pare normale?»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 06/05/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Delirio violento e minacce contro gli ebrei nelle nostre università. Vi pare normale?", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
È difficile dire se sia peggiore il pensiero in sé o le parole usate per esprimerlo. Sta di fatto che, con una prima chiassata nella giornata di ieri, i “giovani palestinesi” coccolati e vezzeggiati dalla sinistra italiana hanno preannunciato, per il 15 maggio prossimo, nientemeno che una «Intifada delle università».
Non sappiamo se voleranno pietre (o peggio): intanto i pargoli ci rendono noto che si accamperanno nei cortili degli atenei. In un surreale trionfo di schwa e sgrammaticature assortite (che trascriviamo pari pari, in modo che i lettori di Libero possano farsi un’idea direttamente), apprendiamo che «gli studenti (...) esigono con fermezza la cessazione degli accordi tra le università italiane e quelle israeliane». Avete letto bene: «Esigono», per giunta «con fermezza». E dunque – si chiede una persona normale – se questa pretesa non verrà soddisfatta, che faranno i manifestanti, passeranno forse alla violenza fisica?
Ma è solo l’antipasto. Si pretende «la fuoriuscita delle aziende belliche, in particolare la Leonardo, dagli atenei» e la «rottura di ogni collaborazione con l’Eni». Quindi costoro si ritengono in diritto di imporre una messa al bando – in Italia – di due campioni nazionali della nostra industria. Seguono confusi passaggi sulle «complicità» (un po’ di tutti, par di capire nella faticosa prosa dei protestatari) con Israele «e le sue politiche coloniali e genocide in Palestina».
E allora che si fa? «È giunto il momento di globalizzare la lotta studentesca perla Palestina». Come? Tenetevi forte: «Dobbiamo infliggere il colpo finale al sionismo e ai paesi occidentali che lo sostengono e lo mantengono in vita!». Per chi non avesse compreso bene, sottolineo l’espressione «infliggere il colpo finale», che rende bene l’idea delle pacifiche intenzioni dei cosiddetti studenti.
Su questa base, scatta la decisione di «accamparsi nei cortili finché gli atenei non accetteranno una revoca totale di tutti gli accordi con le università israeliane». Seguono ulteriori passaggi in cui si imputano a Gerusalemme «genocidio», «pulizia etnica» e non so quali altre mostruosità.
Amici lettori, in questo delirio non vi saranno sfuggite tre cose. La prima: non c’è una sola parola sul 7 ottobre, né una minima presa di distanza dal terrorismo di Hamas, dalle uccisioni, dai rapimenti, dagli stupri, da orrori contro gli ebrei che hanno come unico precedente l’Olocausto.
La seconda: non è chiaro quale sia la sorte della stragrande maggioranza degli studenti, di quelli che – liberamente – non intendono manifestare né il 15 né adesso, e che invece hanno magari l’intenzione di entrare nelle loro università, seguire i corsi, prepararsi agli esami. Oppure tutto questo pare irrilevante anche a noi? Nel cedimento, nella resa generale che connota ormai le nostre società, accettiamo anche questo? Accettiamo cioè che delle università pagate con il denaro di tutti i contribuenti siano sottoposte al ricatto di minoranze violente e prepotenti? Per non dire di ciò che è già fin troppo chiaro: gli studenti di religione ebraica o chiunque sia «sospettato» di non condividere la piattaforma delle manifestazioni dovranno necessariamente tenersi alla larga: essendo altrimenti destinati – alzi la mano chi pensi il contrario – a sicure aggressioni e intimidazioni. È normale tutto questo?
La terza: è venuto il momento, se ancora esistono spazi di coraggio intellettuale e morale, di andare all’attacco, e di dire a questi estremisti ciò che meritano. Molti di loro – se interpellati – si dichiarerebbero senza dubbio a favore del diritto al dissenso politico, dei diritti delle donne, dei diritti delle persone lgbt. Ecco, il «paradiso» politico che invocano – da Teheran a Gaza – prevede carcere e torture per dissenzienti e dissidenti, segregazione delle donne, persecuzione delle persone omosessuali. Morale: se proprio vogliono fare una cosa utile, vadano a farsi un viaggetto a Teheran o a Rafah, e ci facciano sapere come si troveranno. Sola andata, però: anche perché c’è motivo di ritenere che il ritorno non sarebbe possibile.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante