Bibi come Golda, la solitudine nella scelta. Pressioni e ricatti. Con il macigno dei rapiti Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 30 aprile 2024 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Bibi come Golda, la solitudine nella scelta. Pressioni e ricatti. Con il macigno dei rapiti»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 30/04/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Bibi come Golda, la solitudine nella scelta. Pressioni e ricatti. Con il macigno dei rapiti".
Fiamma Nirenstein
Non c’è modo per ora di capire più di quello che suggerisce Blinken, in genere poco simpatetico con l’intrigante alleato, Israele, con una frase diretta e semplice: la proposta di Israele per un accordo che consenta di riavere fra le braccia i rapiti è “straordinariamente generosa”, e la responsabilità di un rifiuto sarà tutta di Hamas. Che cosa significa questo slancio verbale? Vuole dire per quello che si capisce, Israele ha rinunciato ai quaranta ostaggi almeno richiesti; che è pronta a consegnare un numero enorme, migliaia, di prigionieri palestinesi anche “col sangue sulle mani”; che, dato che è soprattutto il dominio di Gaza quello che Sinwar fa di tutto per conservare chiedendo il cessate il fuoco definitivo, Israele accetterà altre richieste difficili, come il passaggio a nord della grande folla sgomberata, un ritorno alla normalità, e una lunga tregua che poi avrà, sembra, articolazioni successive; se proprio non contraddiranno del tutto la decisione di Netanyahu di non abbandonare la guerra fino alla sconfitta dei quattro battaglioni stanziati a Rafah, pure consentirà tappe, sconti, modalità svariate… di cui in queste ore si discute.
Ancora, gli aiuti umanitari saranno allargati e distribuiti con tecniche più efficienti. Se si cercano altre tracce importanti della sperabile novità del momento, le si possono trovare nella forte delegazione israeliana con cui proprio tutti i rappresentanti delle organizzazioni incaricate, Mossad, Shabbach, Aman, sono al Cairo per nuovi colloqui; e i mallevadori centrali stavolta sono gli Egiziani con forte spinta e sostegno americano, che hanno invitato anche una delegazione di Hamas, mentre il Qatar non è in vista. L’Egitto ha carte in mano e molto interesse all’accordo: Rafah è sul suo confine. Da Gaza l’Egitto potrebbe fare uscire e quindi accogliere profughi, sui quali fino a ora c’era un forte rifiuto, e di questo si aggiunge il fatto che quel confine può però anche essere usati per impedire l’ingresso di cibo o di quant’altro utile a Hamas, e l’Egitto si impunta.
Intanto, Blinken ieri è andato a trovare i sauditi, che tornano nella narrazione della guerra: un nodo dell’attacco del 7 di ottobre si è visto nell’accordo Israele-Arabia Saudita allora pericolosamente vicino; così lo vedeva, si disse, l’Iran suo finanziatore e fornitore d’armi e ottime idee. Gli Stati Uniti, spinti ormai dall’urgenza elettorale, adesso cercano di tessere una situazione in cui Hamas si senta costretta a un accordo, e Israele a sua volta veda anche una prospettiva per cui possa accettare di non entrare a Rafah, o entrarci con qualche regola, perché si tesse una situazione in cui Hamas, venga controllato da una situazione internazionale occidentale-arabo moderata, compresi, come Biden sogna, i palestinesi di Abu Mazen. Tutto questo sarebbe interessante se Sinwar fosse un interlocutore razionale e se la discussione non fosse straziata da un’ondata di antisemitismo che spinge all’ottusità politica: Israele vuole lo scambio, e Sinwar invece è uno psicopatico nazista che riceve vantaggi proprio dalla continua menzogna che Israele non sia pronto a sacrifici.
È Hamas che, mentre pratica la tortura sugli ostaggi, ritiene la sofferenza degli ebrei e di Israele una vittoria esaltante e una promessa di vittoria. In più Hamas è stato aiutato purtroppo dalla ripetuta continua pressione su Netanyahu, che né ha attaccato Rafah, né si è scansato dalle più difficili trattative tenendo però fermo il timone della necessità di distruggere un nemico che minaccia di distruggere Israele, né ha limitato in piazza, sui giornali, nelle istituzioni, nei rapporti internazionali la molteplice, fantasiosa, diffusione dell’idea che le sue intenzioni cancellino democrazia e diritti umani. Le famiglie disperate che in parte lo bistrattano come fosse responsabile del fatto che Sinwar non è un interlocutore, comunque meritano senza dubbio tutto l’amore e la comprensione del Paese, ma fatto ne delegittimano l’azione e spingono Sinwar a pensare che comunque otterrà così tutto quello che vuole. Intanto, l’ICC lo vuole perseguire come un criminale di guerra, mentre la stampa internazionale gli dà la caccia. Biden, benché sullo schema di un passo avanti e due indietro, ha lasciato che si diffondesse l’idea di una rottura fra il guerrafondaio Netanyahu e un gruppo capitanato da Gantz. Non è così: Gantz rivuole, giustamente, a casa i rapiti; vuole, giustamente, anche sconfiggere Hamas. Così tutto il governo e quasi tutto il parlamento. Solo che alla fine sarà Netanyahu, nella solitudine del Primo Ministro a dover decidere, proprio come fece Golda dopo la guerra del 73. Anche lei subì una terribile sorpresa personale, e alla fine vinse. Bibi, deve anche fare due difficili cose: vincere Hamas mentre i rapiti muoiono, gridano, devono tornare a casa. E l’una cosa confligge con l’altra.
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