Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/04/2024, a pag. 17, con il titolo "Gli ostaggi di Hamas vivi sono solo 33", la cronaca di Amedeo Ardenza
Sempre gli ostaggi al centro delle trattative, che però Hamas non vuole concludere. Solo i ciechi possono ancora pensare che il gruppo terroristico faccia gli interessi dei palestinesi.
Con il Qatar che ha fatto un mezzo passo indietro, la parola torna agli egiziani. Ieri il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha inviato in Israele il capo delle spie del Cairo, Abbas Kamel, alla testa di una delegazione di esperti di intelligence. Scopo della missione: portare Israele e Hamas a un accordo per un cessate il fuoco a Gaza basato anche sulla liberazione degli ostaggi israeliani. Uomini e donne strappati alle loro case dai terroristi palestinesi lo scorso 7 ottobre. La stampa israeliana riferisce del colloquio intercorso fra un membro della delegazione egiziana e il giornale qatariota Al Araby Al Jadeed.
Restando anonima, una spia egiziana ha svelato i passaggi fondamentali della possibile tregua: Hamas restituirebbe ai loro cari «un numero limitato» di ostaggi mentre Israele permetterebbe a un numero «significativo» di civili gazawi sfollati al sud di muoversi «quasi senza restrizioni» per tornare nei distretti settentrionali dell’enclave palestinese. Nel frattempo, le Israeli Defense Forces si ritirerebbero quasi del tutto dalla Striscia mentre non ci sarebbero altri scambi di ostaggi nel breve periodo.
L’IMPEGNO DEL CAIRO
Nessuna di queste proposte è particolarmente allettante per il governo di Benjamin Netanyahu: chi con le buone (ossia con il negoziato) chi con le cattive (la forza), tutto il paese è unito nel chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi. Quanto alla libera circolazione dei palestinesi, le forze di sicurezza dello stato ebraico temono che permetterebbe ai diversi gruppi terroristi di ricostituirsi.
L’unica vera novità sarebbe la garanzia egiziana: a differenza di quello del Qatar, storico finanziatore e protettore di Hamas, il governo del Cairo non ha alcuna simpatia né per il gruppo terrorista palestinese né per il radicalismo islamico in genere e gli israeliani si fidano più del Cairo che di Doha. L’Egitto ha un interesse proprio e diretto a che le parti firmino una tregua.
Ogni ora che passa senza un cessate il fuoco fa crescere l’intenzione di Israele di intervenire militarmente contro Rafah, dove sono asserragliati i principali maggiorenti e migliaia di terroristi di Hamas. Ma un rapido sguardo alla mappa della regione mostra che Rafah sorge sul confine fra la Striscia e l’Egitto: l’intervento delle Idf su un’area ad alta densità abitativa oggi ulteriormente ingolfata da oltre un milione di palestinesi sfollati da Gaza nord rischia di provocare una bomba umanitaria dentro al territorio egiziano, eventualità che Il Cairo vuole evitare.
Per Israele resta dunque centrale la questione degli ostaggi: nelle mani dei rapitori ce ne sono ufficialmente 133 ma nessuno sembra più sapere quanti di loro siano ancora vivi. Non lo sa la Croce Rossa Internazionale, che non li ha mai visitati ma non sembra saperlo neppure Hamas. Nelle settimane passate il gruppo del terrore ha fatto sapere di non conoscere né il numero degli ostaggi vivi né la loro posizione. Gli israeliani dal canto loro non sono in condizione di verificare se Hamas stia mentendo: se fino a pochi giorni fa Gerusalemme sapeva che 31 degli ostaggi sono già morti, più di recente Hamas ha fatto circolare un video in cui a un rapito israeliano fa dire che 70 ostaggi avrebbero perso la vita. E ieri il Jerusalem Post ha scritto che gli egiziani avrebbero proposto la liberazione di 33 civili israeliani forse perché nelle mani di Hamas non ce ne sarebbero altri in vita.
È difficile, tuttavia, credere che il gruppo terrorista oggi assediato da Israele sia pronto a cedere tutti gli ostaggi in una volta sola. A benedire un possibile cessate il fuoco fra Hamas e Israele potrebbe essere lo stesso segretario di Stato Usa Anthony Blinken atteso martedì prossimo a Gerusalemme per la settima volta dallo scorso 7 ottobre
HEZBOLLAH UCCIDE UN ARABO
Venerdì pomeriggio si è anche registrato l’ennesimo scontro sul fronte nord: Israele ha colpito tre postazioni di Hezbollah nel Libano meridionale ore dopo che da quella regione un missile anticarro – ordigno che il sistema antimissile israeliano non è in grado di intercettare – aveva colpito un camion nel nord dello stato ebraico uccidendo il conducente, un arabo israeliano. Il terrore quotidiano ha anche colpito a Ramle, nel cuore di Israele: qua una 18enne è stata accoltellata da un uomo poi ucciso da un passante armato. A destare, infine, l’attenzione dei media c’è stato anche l’incidente automobilistico in cui è rimasto coinvolto il ministro della Sicurezza Nazionale, il controverso Itamar Ben-Gvir la cui macchina si è rovesciata mentre il ministro lasciava Ramle, visitata proprio dopo l’attacco alla 18enne. Il ministro ha riportato ferite lievi.
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