L'Iran può crollare Andrea Morigi intervista l’esperto curdo Himdad Mustafa
Testata: Libero Data: 20 aprile 2024 Pagina: 15 Autore: Andrea Morigi Titolo: «Se il regime fa l’errore di costruire l’atomica finisce per disintegrarsi»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 20/04/2024, a pag.15 con il titolo "Se il regime fa l’errore di costruire l’atomica finisce per disintegrarsi", l'intervista di Andrea Morigi a Himdad Mustafa.
Andrea Morigi
La notte scorsa, nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dal confine iraniano, «abbiamo sentito chiaramente delle esplosioni» che hanno colpito la zona di Isfahan, «ma senza capire di che cosa si trattasse». A parlare con Libero è Himdad Mustafa, ricercatore indipendente. Il suo campo di interesse spazia dagli studi curdi a quelli iraniani, in particolare sulla Storia curda nella tarda antichità. Ha pubblicato numerosi contributi su KurdSat e il Middle East Media Research Institute (MEMRI). Non ci si aspettava che Israele colpisse così tempestivamente. Pensa che il bombardamento possa segnare l’inizio di una guerra totale fra Gerusalemme e Teheran? «È un altro capitolo di una guerra che prosegue da tempo. Vi sono alcuni segni di escalation. Ma per ora né Israele né l’Iran hanno interesse a entrare direttamente in guerra l’uno contro l’altro. Anche se, in seguito all’attacco di ieri, i mullah hanno tentato di minimizzare l’accaduto accreditando la tesi di qualche drone subito abbattuto, bisogna riconoscere che ora si sentono davvero sotto minaccia e vorrebbero estendere la guerra a tutta la regione». Eppure sabato scorso per la prima volta è stato attaccato direttamente il territorio dello Stato ebraico. Non pensa che sia naturale una risposta militare? «Ne sono convinto anch’io, ma consideri che Israele ha già un conflitto armato in corso sul proprio suolo. Perciò la priorità per Gerusalemme è quella di sconfiggere territorialmente Hamas e militarmente Hezbollah, non di allargare il perimetro». E poi, una volta sistemata la questione a Gaza e nel Libano? «In un prossimo futuro potrebbero cambiare le condizioni, soprattutto se il regime di Teheran sviluppasse l’arma nucleare». Ci siamo vicini, come dicono alcuni esperti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che, dopo la visita in febbraio nell’impianto di arricchimento dell’uranio a Fordow, prevedono la possibilità di costruire un ordigno nucleare nel giro di sei mesi? «Due anni fa avevo scritto che, se entro il biennio successivo gli Stati Uniti non avessero provveduto a eliminare il regime islamico, l’Iran avrebbe potuto realizzare una bomba nucleare. E infatti ora ci siamo». E Israele come reagirebbe? «A quel punto, bisognerebbe colpire le infrastrutture militari e, in tal modo, si provocherebbe la caduta del regime che non si fonda sul consenso popolare ma esclusivamente sull’uso della forza. Dal momento in cui se ne distruggessero gli armamenti, che sono ormai l’unico elemento che tiene in piedi il potere degli ayatollah, si disintegrerebbe anche la Repubblica islamica». Pensa che sia un’ipotesi realistica, cioè presa serimente in considerazione dal governo di Gerusalemme per scongiurare il pericolo di un attacco nucleare? «Israele lo ha già fatto in passato, nel 2007, poi nel 2010 e ultimamente anche nel 2021 facendo saltare in aria o semplicemente togliendo la corrente elettrica agli impianti di arricchimento di uranio di Natanz, mentre alcuni hacker ne hanno mandato in tilt le centrifughe che servono a produrre il materiale fissile. E numerosi scienziati nucleari iraniani sono stati assassinati». Quindi non si prevede un conflitto terrestre, quanto un intervento chirurgico su obiettivi sensibili. Ma in che tempi potrebbe avvenire, a suo parere? «Invadere l’Iran è impossibile perché servirebbero migliaia di soldati. Occorre invece distruggerne il potere militare. Entro il prossimo anno il confronto militare sarà diretto, secondo la mia opinione». E nell’ipotesi di un rovesciamento della Repubblica islamica, lei chi ritiene più probabile che vada a costituire la futura classe dirigente del Paese? «I gruppi monarchici e il pretendente al trono dello Scià, Reza Pahlavi, sono pronti. Sono indubitabilmente filo-occidentali e filo-israeliani, anche se un tantino aggressivi a mio parere. Mentre i comunisti non godono del sostegno popolare all’interno del Paese, il panorama politico della diaspora iraniana all’estero comprende anche i repubblicani, che forse potrebbero avere con sé la maggioranza dell’opinione pubblica. In ogni caso si tratterebbe di formare un governo provvisorio, poiché vi sono ancora numerosi nodi da sciogliere, fra le diverse opposizioni e anche al loro interno, circa il sistema politico da adottare. C’è chi propende per un modello centralista e chi per il federalismo». Il federalismo per rispettare i diritti delle minoranze etniche? Abbiamo visto che le rivolte seguite all’assassinio della 29enne Jina Mahsa Amini (arrestata, torturata e uccisa perché indossava il chador in modo “irregolare”, ma anche perché era curda) nel settembre 2022, sono partite proprio dai curdi... «Dato che le minoranze costituiscono quasi metà della popolazione iraniani, inevitabilmente il loro peso demografico influenzerà le scelte politiche del Paese. Questo è vero particolarmente per azeri, curdi, ahwazi e beluci, che hanno una storia di conflitti con il governo centrale. La loro distribuzione geografica sulle regioni di frontiera è un fattore cruciale nelle sollevazioni o nelle rivolte antigovernative perché possono esercitare pressioni da numerose direzioni sul regime e, in questo modo, indebolirlo. Di conseguenza, il loro peso demografico, combinato con le loro richieste politiche, potrebbe dar forma alle decisioni politiche dell’Iran post-Ayatollah, a meno che intraprenda una transizione verso una monarchia dittatoriale».
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