Shirin Ebadi: Iran, il regime ora teme il popolo Intervista di Greta Privitera
Testata: Corriere della Sera Data: 18 aprile 2024 Pagina: 6 Autore: Greta Privitera Titolo: «L’Iran voleva spaventare, ma non potrà mai vincere. Il regime ora teme il popolo»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/04/2024, a pag. 6, con il titolo "L’Iran voleva spaventare, ma non potrà mai vincere. Il regime ora teme il popolo" l'intervista di Greta Privitera a Shirin Ebadi.
Greta Privitera
Come può una vera guerra essere una buona idea, si chiede l’avvocata, attivista iraniana e premio Nobel per la Pace 2003, Shirin Ebadi. Risponde al Corriere dalla sua casa di Londra, il suo esilio dal 2009. Usa sempre l’aggettivo «vero», «vera» per distinguere le minacce e le menzogne del regime dalla realtà: «L’attacco iraniano contro Israele è stato un vero errore».
Spieghi.
«Prima di tutto c’è un aspetto militare: gli ayatollah non potranno mai vincere una guerra contro Israele e i primi a saperlo sono proprio loro che subito dopo si sono premurati di dire “per noi è finita qui”. Sapevano anche che Netanyahu avrebbe risposto e lo avrebbe fatto duramente. Vediamo la prossima mossa».
Allora perché hanno attaccato?
«Non ho una risposta certa, per me è una follia. Ma credo che la Repubblica islamica abbia voluto comunicare che se vuole può cambiare le carte in tavola. Che i suoi non sono solo slogan, ma ci tiene che si sappia che ha una vera volontà politica contro lo Stato ebraico. Dal 1979, dalla Rivoluzione islamica, sia il primo leader supremo, l’ayatollah Khomeini, che il suo successore Khamenei hanno sempre ripetuto che Israele deve sparire. Probabilmente, in questo caos mediorientale e dopo l’attacco all’ambasciata di Damasco, il regime ha pensato di spaventare Netanyahu, per far sì che non attacchi né l’Iran né i suoi amici».
Cosa dicono le persone che vivono nel Paese?
«Nessuno vuole la guerra. Stiamo vedendo a Gaza che cosa vuol dire: migliaia di morti, case e infrastrutture distrutte. Nemmeno gli ayatollah vogliono un conflitto. Urlano, minacciano ma non avrebbero le forze per reggere le bombe israeliane».
Da dopo gli attacchi di sabato, il regime ha aumentato la repressione nel Paese. Due giorni fa è stata uccisa una ragazza di nome Rozhan Akbari, un’altra Mahsa Amini.
«I leader della Repubblica islamica hanno ben chiaro che più dell’80% dei cittadini li vuole cacciare. Hanno paura che il popolo utilizzi questo conflitto per far scoppiare una guerra interna contro gli ayatollah, o che scenda di nuovo nelle strade. Hanno aumentato la polizia morale, sono tornati a essere molto aggressivi con le donne che non indossano il velo, hanno fatto sapere che chiunque supporti Israele, anche via social, verrà messo in prigione. Il primo, vero nemico di Khamenei è il popolo iraniano».
Una guerra potrebbe accelerare la fine della Repubblica islamica?
«La fine di una dittatura non può avvenire tramite un evento esterno. Gli iraniani sanno come funzionano le rivoluzioni. Scioperano, manifestano, non votano contro il regime perché lo combattono con metodi pacifici e democratici: gli unici che cambiano da dentro la cultura del Paese».
Che cosa succederà al movimento rivoluzionario Donna, Vita, Libertà in questo momento di crisi?
«Si rafforzerà davanti alla debolezza del regime. Questo è molto di più di un movimento, è un cambiamento culturale e la cultura non la cancelli e non retrocede. Noi donne iraniane, prima della Rivoluzione islamica, avevamo la libertà personale e sociale, ma ci mancava quella politica: lo Scià era comunque un dittatore. Nel 1979 abbiamo fatto la Rivoluzione perché volevamo ottenere anche la libertà politica, in cambio ce le hanno tolte tutte e tre. Ora è arrivato il tempo di riprendercele».
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