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Il Giornale Rassegna Stampa
17.04.2024 Chi si immagina uno scenario di pace, in cui l’Iran rinunci alla distruzione di Israele, si sbaglia
Commento di Fiamma Nienstein

Testata: Il Giornale
Data: 17 aprile 2024
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L'errore di pensare una de-escalation regionale: così Teheran potrà pianificare il suo assalto finale»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 17/04/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "L'errore di pensare una de-escalation regionale: così Teheran potrà pianificare il suo assalto finale".


Fiamma Nirenstein

Parata iraniana in cui, come sempre, si inneggia alla distruzione di Israele. Si illude chi pensa che l'Iran rinunci a questo obiettivo che è un chiodo fisso del regime dai tempi di Khomeini

Chi oggi si immagina uno scenario di pace in cui l’Iran rinunci alla sua strategia di distruzione di Israele e dell’Occidente solo che lo stato ebraico accetti “una de-escalation regionale” come ripetono molti protagonisti della politica internazionale, primo di tutti Biden, dopo l’attacco di due giorni fa, si sbaglia. Non potrebbe esserci errore peggiore oggi di quello di dimenticare ciò che l’Iran è, ciò che ha in programma secondo la sua strategia e il suo credo, e lasciarlo organizzare il suo 7 di ottobre, un assalto definitivo ben più feroce delle atrocità del suo pupillo e mantenuto, Hamas. Qualcuno si ricorda certamente come, dopo 8 anni il presidente Ahmadinejad il 26 settembre del 2012 di fronte all’assemblea dell’ONU minacciò di morte “il presente insopportabile sistema oppressivo che domina il mondo” e vi portò la sua fede nella venuta del Mahdi, il profeta shiita, che avrebbe portato la redenzione con una conflagrazione universale di cui America e Israele per primi, il Grande e il Piccolo Satana, avrebbero fatto le spese? Molti ricorderanno come la rivoluzione del 1979, che subito prese in ostaggio gli americani dell’ambasciata a Teheran, abbia stabilito per volontà di Khamenei che gli Imam non erano più saggi custodi del Corano, ma capi politici e strategici della riscossa iraniana?

Ecco, la situazione è giusto questa: Khamenei con le guardie della Rivoluzione stabilisce la rotta messianica e distruttiva, la teocrazia ordina direttamente l’attacco della notte fra il 13 e il 14 come il rinnovato sforzo della polizia a picchiare e arrestare le donne “malvelate”. L’attacco è stato un vero attacco,  non ha affatto avuto un significato dimostrativo: si illudeva di nuovo, come quello di Hamas del 7 ottobre, sempre concordato con gli Ayatollah, di distribuire strage e panico in Israele, forse in modo definitivo: un attacco enorme, superdispendioso, così ben armato, con 300 lanci fra missili e droni, che ha addirittura sparato sopra la Spianata delle Moschee con le sue luci mortuarie invece di onorare il santuario islamico, non serve a impressionare, ma per piegare, umiliare, e quindi vincere, guidare, conquistare Israele. Il generale Zahedi non è il protagonista: Suleimani, ben più importante, non ha destato questa reazione, l’Iran sa come nessun altro che la Siria è il centro di distribuzione delle armi a Hezbollah e Hamas, Zahedi era un capo terrorista in attacco, non è una vittima, e Khamenei lo sa bene. Adesso, Israele ha rovesciato l’offesa, i suoi sistemi Oron nelle mani di piloti coraggiosi che hanno sfidato la morte per eliminare i missili hanno distrutto e ridicolizzato l’attacco. Tuttavia, è un gigantesco attacco sui suoi piccoli confini. Cosa deve fare Israele, il mondo lo suggerisce senza sosta: stare tranquilla, consolidare la coalizione occidentale-sunnita che l’ha difesa, l’ha aiutata, ne ha fatto di nuovo uno scudo contro la barbarie. Perché reagire, dunque?

La risposta è semplice. Per l’Iran una pace sarebbe un’ennesima forma di taqiyya, la stessa dissimulazione usata nella costruzione del reattore nucleare, sempre negato, sempre perseguita con mille sotterfugi. Inoltre l’Iran in pace, preparerebbe una guerra ancora più irrazionale, crudele, orrida come le atrrocità da lei promosse sponsorizzando Hamas. In secondo luogo, Israele rinunciando a rispondere non rafforza i suoi rapporti internazionali, ma, di fatto, li indebolirebbe. I Patti di Abramo sono nati nel 2015 dal discorso che Netanyahu tenne al Congresso Americano suggerendo di cancellare il patto con l’Iran sul nucleare e di intraprendere una dura lotta contro il regime tirannico, terrorista. Fu allora che i Paesi Sunniti capirono che potevano fidarsi di Israele per la difesa comune, lo sviluppo dell’area e il rapporto con l’Occidente, con gli USA e con l’Europa piuttosto che con la Russia e la Cina, cui si appoggia l’Iran. Gli Stati Uniti che temono una conflagrazione potranno certo avere voce in capitolo sui modi e i tempi, e anche sulla guerra di Gaza.

Ma la delusione che porterebbe una mancata risposta di Israele sarebbero fatali per la fiducia dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi: l’Iran non è un pericolo solo per Israele. E qui viene spontanea una domanda. Vedendo i missili fioccare su una democrazia liberale provenendo da migliaia di chilometri di distanza, da un Paese che odia le donne, i dissidenti, gli omosessuali, che ha fatto esplodere centri sociali e basi militari in tutto il mondo, i romani, i milanesi, la gente di Parigi e di Londra non ha alzato gli occhi verso i propri cieli? Mala tempora currunt per chi non sa vedere la realtà e mantenere la sincerità con sé stesso. 

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