Tre conflitti, un solo nemico Editoriale di Mario Sechi
Testata: Libero Data: 14 aprile 2024 Pagina: 1/3 Autore: Mario Sechi Titolo: «Tre conflitti e un unico nemico: il regime di Teheran»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 14/04/2024, a pag.1/3 con il titolo "Tre conflitti e un unico nemico: il regime di Teheran" l'editoriale di Mario Sechi.
Mario Sechi
Le tre guerre sono diventate una, Ucraina, Gaza, Mar Rosso, sono unite da un simbolo, un oggetto che ci risparmia molte analisi: i droni iraniani lanciati su Israele sono gli stessi che dalla Russia partono verso l’Ucraina e dallo Yemen si proiettano sulle navi cargo dell’Occidente che puntano verso il Canale di Suez. La guerra dal cielo degli Ayatollah era annunciata, anticipata dai report dell’intelligence americana, resa imminente dalle parole del presidente Joe Biden. L’attacco non è una sorpresa, non ha colto Israele impreparato e stordito come il 7 ottobre scorso, quando Hamas è penetrato nel territorio israeliano aprendo la caccia all’ebreo. Il copione di questa guerra ha un fil rouge preciso, palese, esposto alla vista di chi vuol vedere: il legame tra Mosca e Teheran, Hamas, Hezbollah e le altre sigle del Medio Oriente attive nella missione del terrore. L’Iran di dritto o di rovescio ha un’influenza diretta e indiretta su molti di questi gruppi, li finanzia, li sostiene con equipaggiamento militare, li indottrina. La guerra di Teheran è prima di tutto un fatto religioso e culturale, la cancellazione di Israele dalla mappa del Medio Oriente e la fine dell’influenza americana sono l’obbiettivo principale del regime che dal 1979, anno della Rivoluzione Islamica, non ha mai nascosto i suoi disegni. Sono analisi perfino banali, ma viviamo in tempi dove la banalità del male è così grande che bisogna ribadire perfino l’ovvio. La domanda adesso è una sola: che fare? E anche qui la risposta è in apparenza semplice: tanto per cominciare schierarsi dalla parte giusta, quella di Israele, unica democrazia dell’area, punto di riferimento della civiltà occidentale, paese amico, fonte di cultura, memento della storia. Ma anche in questo caso ciò che sembra scontato non lo è, perché il dibattito pubblico è pieno di avvelenatori di pozzi, personaggi che intorbidano le acque, sabotatori seriali del pensiero, elementi di un’idea nociva per cui l’Occidente è un oppressore e come tale va punito. Il problema è che resta la domanda - che fare? - e naturalmente la prima mossa l’hanno fatta come sempre gli Stati Uniti, perché l’America è la “forza frenante”, il Paese che riesce a contrastare con la sua potenza militare e la sua volontà politica le mire dei nemici della libertà. Joe Biden nonostante i dubbi sulla condotta della guerra a Gaza da parte di Israele non ha esitato a schierare le sue navi per dispiegare un ombrello protettivo sulle città che sono diventate l’obiettivo dell’attacco iraniano. Dell’Europa non v’è traccia, purtroppo, abbiamo visto invece crescere nelle cancellerie del Vecchio Continente la tentazione dell’appeasement, l’idea che in fondo quella di Hamas è stata una sortita occasionale, la strage è un elemento passeggero della storia e con le belve del Jihad si può dialogare. Abbiamo visto come è andata in Afghanistan, sappiamo ora come va con l’Iran. Le vecchie leggi della geopolitica sono ancora tutte in piedi, l’Iran s’immagina come la sola potenza regionale, non ammette la presenza di forze contrarie, Israele è un obiettivo da abbattere. Gli sciami di droni diretti verso le città israeliane sono come le impronte digitali che pagina dopo pagina svelano un thriller politico. C’è un mondo che punta a rovesciare l’ordine liberale, distrarre gli Stati Uniti (dove in novembre si vota per la Casa Bianca) indebolire l’Unione europea facendo pressione sull’ingenua utopia della pace delle masse che non comprendono il significato della guerra perché non hanno esperienza della guerra. Con l’oscurità, Teheran ha sferrato l’attacco, è una forza che viene dalle tenebre e nelle tenebre dovrà tornare perché Israele sopravviva, l’Occidente continui ad essere spazio di libertà e democrazia, la vita e l’idea di Dio non siano continuamente offesi da un’ideologia che punta all’annientamento della nostra civiltà. Quando l’11 settembre del 2001 i terroristi di Al Qaeda dirottarono gli aerei di linea sulle Twin Towers di New York, sul Pentagono a Washington e tentarono perfino di abbattere la Casa Bianca, fu chiaro a tutti che si apriva un nuovo capitolo della storia, era quello che si definisce “turning point”, una svolta. Allora si disse che “eravamo tutti americani”. Poi ce ne siamo dimenticati, siamo diventati un po’ meno americani e molto ignavi, nella speranza di farla franca in uno scontro che non è mai finito. Ventitré anni dopo siamo di nuovo di fronte alla domanda: dov’è il Bene e dov’è il Male? Basta guardare il cielo il Kiev, quello sul Mar Rosso e le scie luminose su Israele per capire da che parte stare.
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