Islam: le donne nel recinto Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 11 aprile 2024 Pagina: 1/3 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Le femministe stavolta non parlano»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 11/04/2024, a pag. 1/3, con il titolo "Le femministe stavolta non parlano", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Guardatele bene le foto pubblicate stamattina da Libero. Non vengono da Teheran o da qualche altro paese teocratico e fondamentalista, ma da casa nostra: alcune da Roma, altre da Mestre.
La scena parla da sé: nelle ore conclusive del Ramadan, gruppi di uomini di religione islamica sono raccolti in preghiera, mentre le donne - già completamente velate stanno rinchiuse dentro recinti artigianali, in qualche caso costrette entro vere e proprie reti da pollaio, in qualche altro celate dietro drappi oscurati e oscuranti, affinché non vedano né siano viste, nella loro condizione - tale è l’inequivocabile messaggio - di esseri impuri e inferiori. Che altro deve succedere - ci domandiamo - affinché suoni la sveglia? Quale altra forma di palese discriminazione siamo disposti ad accettare, anzi a subìre, sul nostro territorio? O dobbiamo dedurre che su porzioni di suolo italiano la Costituzione e il citatissimo principio di uguaglianza siano già disapplicati e disapplicabili, tacitamente sostituiti dalla legge islamica?
Giuridicamente, lo spettacolo è insostenibile. Non esiste infatti alcun concordato né alcuna intesa tra lo stato italiano e le comunità islamiche: in primo luogo, perché esse non hanno trovato un accordo al proprio interno su chi debba rappresentarle; e in secondo luogo, perché hanno pervicacemente detto no a richieste minime di trasparenza sulle loro fonti di finanziamento. Resta ferma la possibilità - ci mancherebbe - di esercitare lo stesso il proprio culto: ma non di attuare comportamenti discriminatori vietati dalla nostra legge e dalla Costituzione italiana.
BASTA IPOCRISIE
Moralmente, poi, la cosa è ancora meno difendibile. Si può - per puro amore delle teoria- evocare la libertà di ciascuno, e quindi anche la libertà di una donna islamica di subìre un trattamento degradante. Ah sì? Ma guardiamoci negli occhi: esiste veramente qualcuno in grado di affermare senza tema di smentita che quelle donne siano davvero libere? Libere - intendo - di mettere il velo ma anche di non indossarlo?
Libere - ancora - di posizionarsi in modo diverso durante una sessione di preghiera? Davvero vogliamo raccontarci che tutto questo avvenga sempre su base volontaria? Non scherziamo: ogni giorno le nostre cronache sono colme di storie dolorose: di ragazze islamiche picchiate - sempre su suolo italiano - solo per avere il capo scoperto, per un filo di trucco, per una simpatia verso un ragazzo, per il loro desiderio di vivere secondo standard occidentali.
Ma evidentemente la storia della povera Saman, trucidata a Novellara, non ci ha insegnato nulla, temo.
Politicamente, infine, si tratta di una sfida per tutti. A sinistra, perché da quelle parti si viene da mesi, anzi da annidi rumorose campagne contro il “patriarcato” e a difesa del “corpo delle donne”. Ecco: se però il patriarcato è musulmano, scatta l’amnistia; e se il corpo femminile è islamico, subentra l’amnesia. Inutile girarci intorno: questo doppio standard dei nostri progressisti (e delle nostre femministe), i loro silenzi, il loro parlar d’altro, il loro far finta di non vedere e di non capire, sono semplicemente rivoltanti.
Attenzione, però, perché la sfida non risparmia nemmeno la destra, in tutte le sue componenti, che da anni pronuncia quasi sempre le parole giuste, e ripete di non essere disposta ad alcun tipo di “sottomissione”. Benissimo, sacrosanto. Ora però le parole dovrebbero essere gradualmente accompagnate dalle azioni: misurate ma decise, perché in Italia le lesioni della libertà e le discriminazioni più odiose non sono tollerate. O non dovrebbero esserlo.
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