Come difendersi da Judith Butler Commento di Costanza Cavalli
Testata: Libero Data: 06 aprile 2024 Pagina: 12 Autore: Costanza Cavalli Titolo: «I liberal Usa si ricredono: forse i due sessi esistono»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 06/04/2024, a pag. 12, il commento di Costanza Cavalli dal titolo "I liberal Usa si ricredono: forse i due sessi esistono".
Se l’inclusività possa andare di pari passo alla comprensibilità è la questione che da mesi non fa dormire gli opinionisti del New York Times. Filosofi, biologi evoluzionisti, editorialisti, professori di linguistica, con un’inconsapevole espressione di pentimento, si chiedono se, dopo anni passati a costruire un linguaggio che ha demolito “canoni” e “categorie” - e quindi a parlare di «sesso assegnato alla nascita» invece che banalmente di “sesso” - non ci si sia spinti troppo oltre, nella nebbia dell’alienazione, là dove non si capisce niente di quel che uno dice.
In Italia il tema di quanto il linguaggio possa risultare discriminatorio, qualche giorno fa, è tornato sulle prime pagine per la scelta dell’Università di Trento di scrivere provocatoriamente il nuovo regolamento dell’ateneo utilizzando il femminile sovraesteso per tutte le cariche citate, al singolare e al plurale, dalla rettrice alle professoresse. «I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone», si legge nell’articolo 1, cioè anche ai maschi.
Da un decennio negli Stati Uniti, dall’American Medical Association all’American Psychologial Association fino agli ospedali, si parla ormai esclusivamente di «sesso assegnato alla nascita»: per esempio, alla Cleveland Clinic, «l’incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione» è sintomo di disfunzione erettile non dei “maschi” ma delle «persone assegnate al sesso maschile alla nascita»; l’American Cancer Society raccomanda screening del cancro per «individui con una cervice». E l’Associated Press, agenzia di stampa internazionale, avvisa i giornalisti che descrivere le donne come “femmine” è discutibile perché potrebbe essere interpretato come «un’enfasi sulla biologia».
Le tesi di Judith Butler, filosofa e accademica americana che dagli anni Novanta è la rockstar della teoria queer, non sono passate invano. Il corpo sessuato non è un dato biologico ma una costruzione culturale, la tesi della studiosa (che si identifica come
non binaria/o e usa quindi i pronomi they/them, loro) in Questione di genere: «Il sesso non può qualificarsi come fatticità anatomica pre-discorsiva. Anzi si dimostrerà che il sesso, per definizione, è già da sempre genere». Ovvero, le manifestazioni fisiche del sesso contano solo nella misura in cui la società assegna loro un significato.
Proprio in occasione della pubblicazione dell’ultimo lavoro, Who’s afraid of gender? (Chi ha paura del genere?), in cui Butler sostiene che stiamo vivendo una “guerra” in cui il genere è diventato la bestia nera del patriarcato, della supremazia bianca, della sostituzione etnica, ecco che persino i liberal del Nyt scalpitano: «Il sesso è importante», scrivono Alex Byrne, professore di filosofia all’Mit, e la biologa evoluzionista Carole K. Hooven, perché incide sulla salute, sulla sicurezza, sulle politiche sociali. Per esempio, «le femmine hanno quasi il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di sperimentare effetti collaterali da farmaci. I maschi hanno maggiori probabilità di morire di Covid-19 e di cancro e commettono la stragrande maggioranza degli omicidi e delle aggressioni sessuali». Per non parlare delle differenze psicologiche e fisiche tra i due sessi. Eliminare il sesso, in sostanza, vuol dire «non avere gli strumenti linguistici necessari per poterne discutere».
I due professori (pardon, le due professoresse, direbbero all’Università di Trento) sottolineano inoltre quanto sia fuorviante (o ipocrita) dire «sesso assegnato alla nascita»: il verbo “assegnare” indica un’azione arbitraria, come se non ci fosse nessuna realtà oggettiva, nessuna categoria biologica, che connoti il maschio e la femmina. Eppure, «il binarismo sessuale non è un’invenzione»: il sesso non viene «assegnato» ma, saremo anche retrogradi, «constatato».
Non è solo il campo del “genere” quello in cui ci si lambicca per non
offendere nessuno: sempre l’Associated Press l’anno scorso stilava una lista di “etichette” da evitare perché ritenute disumanizzanti. Aboliti quindi «i poveri, i malati di mente, i ricchi, i disabili, i laureati» (disumanizzanti? Nell’elenco c’erano anche «i francesi», l’agenzia in seguito disse di essersi sbagliata). Ma il catalogo è infinito: per indicare i sudamericani vietato usare «latino», meglio «latinx»; no «donne» ma «persone con utero»; stop «senzatetto» ora si dice «senza dimora»; non basta «Lgbt», serve «Lgbtqia2s+»; «allattamento al seno» è offensivo, si passa all’allattamento «al petto».
Un’incomunicabilità babelica e che appassiona solo noialtri (noialtri chi?): provate voi a spiegare al resto del mondo che, quando parlate di Judith Butler, dovete usare il pronome “loro”, ma il verbo va declinato al singolare.
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