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Bet Magazine Rassegna Stampa
04.04.2024 Eldad Pardo: Israele e i paesi musulmani 'moderati'
Intervista di David Zebuloni

Testata: Bet Magazine
Data: 04 aprile 2024
Pagina: 4/5/6
Autore: David Zebuloni
Titolo: «Israele e Medio Oriente, tra guerre imminenti e probabili accordi di pace»

Riprendiamo da BET Magazine-Mosaico di aprile 2024 a pag.4/5/6, l'intervista di David Zebuloni a Eldad Pardo con il titolo "Israele e Medio Oriente, tra guerre imminenti e probabili accordi di pace".

David Zebuloni
Eldad Pardo, docente presso la Hebrew University di Gerusalemme e tra i massimi esperti degli studi sul regime iraniano, in Israele. Spiega come, paradossalmente, il regime khomeinista si sia inizialmente ispirato a Israele, odiandolo. Comunque la speranza arriva dal blocco dei paesi sunniti più pronti a riconoscere Israele, fra cui l'Arabia Saudita

l conflitto tra Israele e Hamas, a differenza di quanto si possa pensare in Europa, non è fine a se stesso e non vede coinvolti solo gli israeliani e i palestinesi. Al contrario, la guerra secolare che non dà pace allo Stato Ebraico e mette in pericolo costante la sua esistenza, è in realtà parte di un conflitto molto più ampio, che vede coinvolto l’intero Medio Oriente e il suo destino. Per sbirciare dietro le quinte del conflitto e capire a fondo il ruolo centrale dell’Iran, nonché la possibilità che vi sia una pace duratura in quella fetta di mondo tanto tormentata, abbiamo incontrato il professor Eldad Pardo, docente presso la Hebrew University di Gerusalemme e tra i massimi esperti degli studi sul regime iraniano, in Israele. Un pozzo inesauribile di conoscenze da cui attingere informazioni approfondite e, anche, una certa dose di ottimismo circa il ruolo di Israele nel sempre più complesso scacchciere mediorientale.

«Professore, l’Iran non ha confini o risorse in comune con Israele. Dunque, che cosa vuole da noi?», gli chiedo. «In effetti, non ha alcun senso logico - risponde lui sorridendo. - Tuttavia, vi sono alcune nazioni che vivono nella piena convinzione di avere una missione da compiere. Così, per esempio, accade alla leadership iraniana, che dopo la nota rivoluzione alla fine degli anni Settanta, è stata per la prima volta nella storia sostituita da un regime religioso e non laico. Una leadership sciita, dunque dalla visione apocalittica. Però, a differenza di altre realtà, come quella a Gaza, per esempio, dove Hamas gode del sostegno della maggior parte della popolazione locale, in Iran il regime non è sostenuto dal popolo. Anzi, in realtà esso rappresenta solo una piccola fetta di popolazione. C’è chi dice che solo il 10% è con il regime, c’è invece chi parla del 30%. In ogni caso, si tratta di una minoranza assoluta che si è impossessata della maggioranza».

Secondo l’esperto, e con grande sorpresa di chi lo ascolta, il legame che unisce l’Iran allo Stato Ebraico molto più profondo di quanto ci si possa immaginare. «Una cosa che non si sa è che la stesso regime iraniano in questione, ha preso ispirazione da Israele - racconta Pardo con tono appassionato. - La fondazione dello Stato d’Israele per mano di visionari quali Theodor Herzl e David Ben Gurion, nonché il modello di uno Stato Ebraico che fungesse da casa per tutti gli ebrei del mondo, ha influito molto su Khomeini. Sì, nonostante l’odio profondo che nutriva per Israele, egli ha imparato molto dal modello sionista. È proprio un paradosso: Israele era per lui un nemico e, al contempo, una fonte d’ispirazione. Khomeini riconosceva che lo Stato Ebraico era stato fondato contro ogni probabilità e apprezzava la sua struttura fondamentalmente religiosa. Così, convinto che l’islam fosse migliore dell’ebraismo, era altrettanto convinto di poter fare ciò che ha fatto Israele, ma con risultati ancora più importanti».

Il progetto iraniano, dunque, era e rimane lo stesso. «La sua visione era quella di unire inizialmente tutti i  paesi musulmani sotto un dominio iraniano, e poi annettere anche le comunità iraniane sparse per il mondo. Ancora oggi il regime agisce secondo questo ideale, e questo spiega in parte l’odio nei confronti di Israele», puntualizza. «Un odio in primis religioso e ideologico. Nonostante i due paesi non abbiano confini comuni, infatti, l’entità sionista impedisce al regime iraniano di agire da redentore e mettere in pratica il suo grande piano. Cioè, impedisce all’Iran di creare un solo grande Stato islamico. Il conflitto, dunque, non è solo religioso, ma anche strategico: finché Israele esisterà, l’Iran non potrà mai impadronirsi di tutto il Medio Oriente. Detto ciò, non dimentichiamoci che l’entità sionista non è l’unica d’intralcio al progetto iraniano. Forse, prima ancora di voler mettere in ginocchio Israele, il regime vorrebbe conquistare l’Arabia Saudita. Così facendo, egli s’impadronirebbe dei due luoghi sacri principali dell’islam, la Mecca e Medina, e tutti gli arabi del mondo, compresi quelli europei, verrebbero in pellegrinaggio non più nella vecchia regione saudita, ma nel nuovo Iran unito. L’Ayatollah, tuttavia, non è il solo ad avere fantasie imperialiste. Gran parte del mondo arabo sogna di unire tutte le nazioni musulmane, ma ognuno desidera farlo per conto proprio. Erdoğan il turco, per esempio, sogna di ricreare l’impero ottomano perduto».

Ed ecco che cosa non mi torna: nonostante il conflitto in questione abbia moventi e fini religiosi, gli ebrei, in teoria, possono vivere in Iran e negli altri paesi arabi citati, purché rinuncino ad ogni rapporto e legame con Israele e con il sionismo. «Non è forse un paradosso questo?», domando. «Questo è un grande paradosso -, conferma il professore. - L’islam non ha nessun problema con gli ebrei, purché questi siano una minoranza debole e sottomessa. Il problema sorge quando gli ebrei non sono deboli, bensì forti e indipendenti in uno Stato che appartiene a loro.

E non finisce qui. L’altro grande paradosso dell’islam vede l’imposizione religiosa. Voglio dire, secondo l’ideale islamico, tutti devono essere musulmani, credenti e praticanti. Così, anche quei cittadini che professano un’altra religione, come le minoranze ebraiche o cristiane nei paese arabi. Tuttavia, lo stesso islam dice che non si può imporre la propria fede agli altri, poiché questa deve essere frutto di un sentimento di amore sincero nei confronti di Allah. Quindi, la minoranza ebraica può professare la propria religione in un paese ostile come quello iraniano».

Tornando al 7 ottobre, alla strage compiuta da Hamas, al conflitto israelo-palestinese che va avanti da decenni e che sembra non avere soluzioni diplomatiche che possano risolverlo o porvi fine: in che cosa questo conflitto somiglia al conflitto freddo che caratterizza quello con il regime iraniano? «Esiste un elemento religioso comune all’Iran, ma in questo caso, il movente palestinese è più nazionalista. Meno idealista e più pratico. Essendo più vicini al confine, qui si combatte per la terra», dichiara il professore, questa volta con fare più solenne o, forse, semplicemente più preoccupato. «Come gli iraniani sognano un Medio Oriente iraniano, così i palestinesi sognano un’unica nazione palestinese dal fiume al mare. Per poter realizzare il loro sogno, anche in questo caso, Israele deve essere annientata. Inoltre, i palestinesi sono convinti che gli ebrei provengano tutti dall’Europa. Si sbagliano, ovviamente. La maggior parte degli israeliani provengono dal Medio Oriente e anche quelli che effettivamente vengono dall’Europa, sono originari di qui e ancora parlano la lingua locale. Storicamente parlando, dunque, è l’islam l’entità colonialista nel territorio ebraico».

«Si può parlare di antisemitismo palestinese, inteso come lo si intende in Europa?», chiedo esitante. «Assolutamente sì -, afferma Eldad Pardo senza esitare. - Oggi sappiamo che le organizzazioni terroristiche sono influenzate dall’ideologia antisemita europea. Non a caso, nell’ultima guerra, sono state trovare a Gaza diverse copie dei Protocolli dei Savi di Sion e del Mein Kampf. Non erano lì a caso. All’interno dei libri, sono state trovate diverse sottolineature. Ovvero, qualcuno ha studiato a fondo il testo. Ed ecco l’ennesimo paradosso: questi terroristi negano la Shoah, ma sostengono che Hitler abbia fatto bene a fare ciò che ha fatto. La materia che non studiano e che non vogliono conoscere, invece, è l’archeologia. Peccato. Se avessero aperto uno scavo archeologico, avrebbero scoperto che la presenza ebraica in Terra d’Israele c’è sempre stata, così come c’è sempre stata una comunità ebraica locale. Gran parte dei palestinesi invece, sono migrati qui, in queste terre, negli ultimi duecento anni».

Secondo alcuni, il tempismo dell’attacco di Hamas non era casuale, ma volto a interrompere quello che sembrava essere un imminente accordo di pace con l’Arabia Saudita. Specie, dopo l’ultimo discorso a proposito del Premier Netanyahu all’ONU. Anche secondo Pardo, esiste un collegamento tra i due eventi. «Il Medio Oriente è diviso in due fazioni -, spiega. - La prima è islamista rivoluzionaria, militarista e dittatoriale, capeggiata dall’Iran ma non solo. Anche il Qatar, la Turchia e i Fratelli Musulmani, per esempio, ne fanno parte. La loro visione è fondamentalista, ovvero è basata sulla convinzione che l’islam deve comandare il mondo. Pertanto, secondo questo schieramento, i paesi musulmani devono unirsi per distruggere l’Occidente, soprattutto dopo che questi l’ha umiliato per così tanti anni. Il primo obiettivo è l’Europa, poi gli USA e poi ancora gli altri Stati.

Il secondo schieramento, capeggiato dall’Arabia Saudita a degli Emirati Arabi, dall’Egitto e dalla Giordania, è moderato, non rivoluzionario bensì conservativo. Questi aspirano a una lenta democratizzazione della regione, con il fine di unire il Medio Oriente secondo il modello europeo. Questa fazione accetta le altre fedi e religioni, così come accetta l’esistenza di uno Stato Ebraico. Non vogliono arrivare alla libertà assoluta che vige in Europa, però vogliono sfruttare le risorse del Medio Oriente e renderlo un centro economico e culturale a tutti gli effetti. In questo caso, Israele ha un doppio ruolo: non solo aiutare a sconfiggere l’Iran, ma aiutare anche a sconfiggere la natura terrorista stessa della fazione nemica, che cerca sempre di distruggere e distruggersi dall’interno».

Il 7 ottobre ha danneggiato in modo irreversibile il rapporto tra Israele e i suoi alleati arabi? «Assolutamente no, anzi, anche se passivamente, tutti i paesi musulmani si sono rivelati dalla parte di Israele. Pensaci, chi sta aiutando Hamas? Nessuno. L’Egitto ha chiuso i confini, la Giordania ha mandato un aiuto umanitario simbolico concordato prima con Israele. Naturalmente, per ovvi motivi, esiste una sorta di solidarietà con la causa palestinese, questi Paesi possono immedesimarsi più facilmente in loro di quanto possano immedesimarsi nell’entità sionista; tuttavia, riconoscono che tutto ciò che Hamas ha da offrire loro è una guerra senza fine, poiché Israele non è destinata a sparire. Ma non solo: considerato l’approccio islamista espansionista di Hamas e della sua fazione, riconoscono anche che una volta finita la guerra contro Israele, comincerà un’altra guerra. In Spagna, in Sicilia, a Vienna, a Malta. Non c’è fine. Questo è uno scenario che loro non accettano. Loro non desiderano combattere l’Europa. Al contrario, loro vogliono essere come l’Europa. Israele, per questo motivo, non ha mai condotto prima una guerra così lunga e così indisturbata. Una guerra in cui l’Arabia Saudita punta i propri missili contro lo Yemen per difendere Israele. Ti rendi conto? È quasi impensabile, eppure è la realtà. I paesi coinvolti negli Accordi di Abramo possono davvero fare la differenza in Medio Oriente».

Uno dei compiti accademici più importanti del professor Eldad Pardo consiste nello studio della pace in Medio Oriente tramite i libri di testo delle scuole nei vari Paesi arabi. «È un processo lento, ma cominciamo a vedere l’inizio di un cambiamento -, racconta l’esperto, questa volta entusiasta. - In Egitto, per esempio, dove si studiano gli accordi di pace di Israele. O negli Emirati Arabi, dove la narrativa è cambiata circa il conflitto israeliano. Anche l’Arabia Saudita, da questo punto di vista, è costantemente in miglioramento. Tuttavia, nei Paesi come la Giordania e Bahrein, c’è ancora molto lavoro da fare. Ciò che preoccupa maggiormente, è che in tutte le mappe geografiche orientali, Israele ancora non esiste. Ovvero, Israele non è ancora riconosciuta del tutto».

Una delle parole ricorrenti utilizzate da Eldad Pardo è paradosso. Un paradosso che vede coinvolta anche l’Europa e il suo abbraccio forzato alla causa palestinese, nonché islamica. «L’Europa è lacerata tra la sua parte inconscia e quella conscia - commenta in chiusura, ora con un tono indubbiamente amaro. - Nel suo conscio è contro l’antisemitismo e a favore di Israele, ma nel suo subconscio è ancora fortemente antigiudaica e predilige, pertanto, la presenza musulmana nel suo territorio. Così, apre ai musulmani le porte di casa sua, nonostante li tema fortemente. Nonostante sappia perfettamente che questi hanno come solo obiettivo quello di abolire la democrazia e imporre la loro ideologia islamica. I musulmani, al contrario degli ebrei della Diaspora, hanno ambizioni espansionistiche: vogliono comandare, applicare la Shaaria. Dunque, ciò che l’Europa non capisce ancora è che, agendo contro Israele, e contro gli ebrei, agisce in realtà contro se stessa». Ma non è forse sempre stato così?

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