Riprendiamo da LIBERO di oggi 31/03/2024, a pag. 1/11, con il titolo "La Chiesa cattolica di oggi non si distingue da una Ong", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Dev’essere proprio una ben strana Pasqua se tocca aun liberale e a un laico (attenzione: nessuno dei due termini è sinonimo di “ateo”) ricompitare alcune nozioni essenziali che sembrano, se non smarrite, quanto meno appannate, sfocate, comunque non più nitide. La Pasqua non è solo una festa, ma è la festa, la scadenza più importante del calendario cristiano. Un Dio misericordioso verso le sue creature umane aveva già inviato sulla terra il suo unico Figlio, per condividere la carne e le ossa degli uomini e delle donne. E però, come si sa, quell’unico Figlio di Dio è stato poi incolpato, processato, condannato ingiustamente, e messo a morte tra umiliazioni e atroci sofferenze. Tre giorni dopo la scena orribile della crocifissione – eccoci a Pasqua – Gesù vince la morte, risorge, offrendo anche agli esseri umani una smisurata speranza, una prospettiva di riscatto, un senso ai patimenti di ciascuna esistenza. Mi scuso per aver riassunto cose che tutti sappiamo. Eppure alzi la mano chi, in questa settimana di avvicinamento alla festività di oggi, ne ha sentito parlare in modo ampio, articolato, ragionato. Politici e giornalisti erano largamente occupati a discutere di ramadan, dopo la bizzarra scelta della scuola di Pioltello. Ma – sia consentito dirlo con rispettosa franchezza – gli stessi vertici della Chiesa cattolica paiono da anni, ormai, meno concentrati sulla comunicazione dell’essenza del messaggio cristiano, e invece costantemente dediti a un’agenda da grande ong: migranti, inclusione, povertà, giustizia sociale, pace, e così via.
IL PARADOSSO
Il paradosso – se ci pensate – non è piccolo: ci sarebbe nientemeno che Dio da proporre, ci sarebbe da ricordare il cuore del messaggio cristiano, la vita oltre la morte, una speranza di salvezza eterna. E invece? E invece il focus pare concentrarsi su temi e attività certamente rispettabili (per quanto controvertibili, cioè suscettibili di risposte politiche differenziate e perfino contrapposte), ma spesso lontane dall’essenza della fede cristiana.
Si potrebbe obiettare al mio piccolo ragionamento: mano, una parte rilevantissima del messaggio evangelico è centrata proprio sulla necessità di prestare aiuto a chi ne abbia bisogno, sul dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, e così via. Obiezione sensatissima, eppure non del tutto convincente, non esaustiva, non conclusiva.
In che senso? Se vuoi meritoriamente batterti contro la povertà o perla solidarietà, un conto è farlo avendo come bussola quella battaglia in sé e per sé (o comunque comunicando quasi solo quelle battaglie); tutt’altro conto è farlo avendo come riferimento un “senso” più profondo, che – nell’ottica dei cristiani – dovrebbe ovviamente aver a che fare con Dio e con la fede. Nel primo caso, se sei un pastore, e se sembri dimenticare o se comunque tendi a posporre sistematicamente nella tua predicazione l’altra dimensione, rischi di diventare intercambiabile con un politico, con un sindacalista, con un comiziante, con il rappresentante di una organizzazione non governativa, senza una differenza, senza un quid pluris.
COMUNICAZIONE
È questo – mi pare – il punto su cui diversi credenti si interrogano rispetto alla comunicazione e al profilo culturale di papa Bergoglio. Sia nei primi anni da pontefice, quando il dinamismo della sua figura era naturalmente maggiore, sia oggi, quando invece si avvertono una fatica e una stanchezza che inducono tutti a un doveroso rispetto, il connotato del suo pontificato è proprio quello di una insistenza costante su povertà, migranti e gli altri temi che ho citato prima.
Non è un caso se una serie di uomini di sinistra e ultrasinistra dicano orgogliosamente ad alta voce: «Il mio leader è papa Bergoglio».
Non c’è da dubitare della sincerità delle loro affermazioni. Magari, però, oso supporre che possa esserci qualche domanda da porsi – nella Chiesa – se personalità teoricamente così lontane si sentano improvvisamente tanto vicine.
Ma questo, a ben vedere, non mi compete: non ho simpatia per i liberali convinti di spiegare – lo dico sorridendo – il mestiere ad altri. Certo però resta un grande vuoto: una società aperta e vibrante avrebbe un immenso bisogno del “sacro”, di princìpi a cui legarsi o di cui discutere, sui quali magari dividersi in modo appassionato. Ma è il senso del sacro che ha fatto erigere cattedrali, e che – insieme ad altri valori – ha contribuito a costruire una civiltà occidentale capace di attraversare i secoli e di resistere all’alternarsi di fasi ascendenti e fasi di declino, senza però mai estinguersi.
Il rischio – adesso – è troppo grande. Lo scrivo con un filo di paura: che anche il custode del sacro parli, scriva e si proponga più o meno come un grande influencer. Ne guadagna certamente in termini di capacità di rivolgersi a segmenti di umanità sempre più difficili da raggiungere con altri linguaggi. Ma siamo sicuri che non si perda qualcos’altro?
Buona Pasqua a tutti, nel dubbio.
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