Le atrocità del 7 ottobre richiamano alla mente il ricordo di altre atrocità, oggi un po’ dimenticate.
All’indomani della sconfitta dell’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale, le grandi potenze vincitrici si spartiscono i suoi resti. I francesi vogliono stabilire i loro mandati in Siria e Libano, mentre l’emiro Faysal rivendica questi territori nel suo regno della Grande Siria, compresa la Palestina. Lui non vincerà la sua causa. Il mandato sulla Palestina è affidato alla Gran Bretagna, che è tenuta a “mettere il Paese in condizioni politiche, amministrative ed economiche che consentano la creazione di un focolare nazionale ebraico e lo sviluppo di istituzioni di autogoverno”, nonché di “facilitare l'immigrazione ebraica e incoraggiare il robusto insediamento degli ebrei sulle terre.” Il governo britannico, tuttavia, nel 1923 si affretta a togliere i quattro quinti della Palestina mandataria per offrirli ad un altro Faysal, suo alleato nell'Hejaz, che si autoproclama emiro della Transgiordania. Si noterà che questa esposizione dei fatti è oggi in gran parte cancellata a favore di una narrazione parallela puramente immaginaria. Comunque sia, sale la tensione nel resto della Palestina, dove esplodono violenti scontri tra ebrei e arabi. A Hebron, città dei patriarchi, c’è una piccola comunità ebraica, la più antica della Palestina, perché la sua presenza è attestata fin dal XII secolo. È composta da ebrei pii, in maggioranza sefarditi, che si tengono lontani dagli eventi che scuotono il Paese. Eppure non verranno risparmiati. Il 24 agosto 1929, la voce proveniente da Gerusalemme secondo cui “Al Aqsa è in pericolo” trasformerà amici e vicini arabi in un’orda spietata. Attenzione, anime sensibili, non ascoltate.
“Una cinquantina di ebrei si erano rifugiati fuori dal ghetto presso la Banca anglo-palestinese, gestita da uno di loro. Erano tutti in una stanza. Gli arabi, i combattenti del gran mufti*, non tardarono a fiutarli. Era sabato 24, alle nove del mattino. Dopo aver buttato giù la porta della banca... Ma ecco in due parole. Hanno tagliato loro le mani, mozzato le dita, messo le loro teste sopra una stufa, enucleato loro gli occhi. Un rabbino, immobile, stava raccomandando i suoi ebrei a Dio: è stato scalpato. Gli hanno portato via il cervello. Hanno messo uno dopo l'altro, sei studenti della yeshivah, sulle ginocchia della signora Sokolov e, mentre lei era ancora viva, hanno tagliato loro la gola. Gli uomini sono stati mutilati. Le ragazze di tredici anni, le madri e le nonne, sono state trascinate in giro nel sangue e violentate dal branco.”
Questo resoconto lo si deve al giornalista Albert Londres, inviato da “Le Petit Parisien” per indagare sulla situazione, che pubblicò nel 1930 “L’ebreo errante è arrivato”. La sua veridicità è attestata dalle parole dell’Alto Commissario britannico, che dopo essersi recato a Hebron, aveva condannato pubblicamente, il 1 settembre 1929 gli “omicidi […] perpetrati contro membri indifesi della popolazione ebraica – senza riguardo all’età o al sesso – accompagnati […] da atti di una indicibile ferocia, da razzia e distruzione di proprietà.”
*Il gran muftì che Albert Londres cita, è Hadj Amin al-Husseini, più noto per aver dato il suo sostegno alla Germania nazista.