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Libero Rassegna Stampa
11.03.2024 L'ingrato Zaki eroe della sinistra
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 11 marzo 2024
Pagina: 1/12
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «L’ingrato Zaki e gli inutili comizi contro la Meloni»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 11/03/2024, a pag.1/12, con il titolo "L’ingrato Zaki e gli inutili comizi contro la Meloni", il commento di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Patrick Zaki
Patrick Zaki, militante dell'antisemitismo

Ma – di preciso – che cosa vuole Patrick Zaki? Ci mancherebbe: come tutti, è libero, anzi liberissimo di dire la sua. Ma, nello stesso modo, pure noi siamo assolutamente liberi di affermare che la sua sempre più martellante offensiva mediati ca appare politicamente faziosa, culturalmente ambigua, e anche contrassegnata da qualche fastidiosa venatura di ingratitudine nei confronti delle istituzioni italiane.
Lo avevamo lasciato tre giorni fa dopo la sua ultima impresa, un infelicissimo pensierino – sotto forma di tweet – sull’8 marzo: “Oggi faciamo (ndr: aveva scritto proprio così, “faciamo”) rumore per tutte le donne del mondo. Per Giulia Cecchettin, per Ilaria Salis, per le donne palestinesi che difendono i loro figli dai proiettili e dai missili dell'esercito israeliano, per le donne sudanesi violentate da entrambe le parti del conflitto armato, per le donne ribelli dell'Iran, per le donne del Congo”. C’era tutto, tranne le donne israeliane, evidentemente – ai suoi occhi – meno vittime e forse anche meno donne delle altre. In uno spettacolare rovesciamento delle cose, comparivano le donne palestinesi, ma solo come vittime degli israeliani, mica del terrore di Hamas, che le considera – al pari di uomini e bimbi, del resto – nulla più che scudi umani e carne da sacrificare.
Dopo un paio di giorni pausa, Zaki si è ripresentato ieri con un paginone di intervista alla Stampa. Sgradevolissimo, intanto, risulta il passaggio sul suo rifiuto del volo di stato che gli fu offerto dopo la sua liberazione: “Accettare di tornare in Italia, con un volo pagato dai cittadini, per me avrebbe significato essere parte della propaganda”. Avete letto bene: “propaganda”. Dunque, non solo il signor Zaki ha ritenuto di non stringere la mano al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri italiani che lo avevano liberato dalle carceri di Al Sisi, ma ora qualifica l’offerta di un volo da parte di Giorgia Meloni e Antonio Tajani come “propaganda”.
Non basta ancora. Anziché dare atto a quella catena di comando dell’efficacia del negoziato e del risultato finale, Zaki si mette anche a dare lezioni su due piani. In primo luogo, sulla vicenda di Ilaria Salis: “Penso che (ndr: il governo) dovrebbe fare di più.
Anzi, lavorare sul caso di Ilaria Salis dovrebbe essere la priorità del governo italiano”.
E qui – francamente – si supera ogni limite anche sul piano della decenza. Ma come? Non solo Meloni e Tajani lo hanno liberato, e lui non li ringrazia direttamente. Di più: hanno pure riportato a casa Alessia Piperno dall’Iran, mostrando di riuscire in risultati tutt’altro che scontati. E lui che fa? Alza il ditino e si mette a fare una lezioncina. Peggio: si mette ad aprire uno scontro pubblico, che è l’ultima cosa che possa giovare alla cittadina italiana detenuta a Budapest.
Ricapitoliamo. Questo giornale non ha avuto un solo istante di esitazione nel definire indifendibili e indegne le immagini della Salis trascinata al guinzaglio in un’aula di giustizia a Budapest. Abbiamo – per primi – intervistato il papà della ragazza, sostenendolo in una battaglia difficile. Questa vicenda però – va detto onestamente – parte in salita: per le caratteristiche del sistema normativo e giudiziario ungherese, e per il tipo di accuse – tutt’altro che lievi – pendenti a carico della Salis, a favore della quale gioca comunque il principio sacro della presunzione di innocenza, valido per qualsiasi imputato. A maggior ragione, dunque, a tutti si richiederebbe cautela e riserbo. Scatenare una rissa politica, aggredire Viktor Orban (avendo in mente come bersaglio Giorgia Meloni, questo è chiaro), aprire plateali campagne contro l’Ungheria come ha fatto la sinistra politica e mediatica, rischia di essere il modo migliore per ottenere un unico risultato: lo stop a qualsiasi operazione efficace a favore della Salis.
Non sappiamo se Ilaria potrà ottenere i domiciliari lì e quindi scontarli in Italia: sarebbe altamente desiderabile per lei, ma pare il percorso più impervio, per non dire quasi impossibile. La via più praticabile sembra quella, dopo una prevedibile sentenza di condanna, di ottenere un’espulsione dall’Ungheria. Ma anche questa ipotesi richiede che non si alimenti alcuna gazzarra. E che appicchi il fuoco proprio chi – come Zaki – si è trovato in una situazione per certi versi paragonabile è letteralmente surreale.
Tra l’altro, il signor Zaki dovrebbe sapere che al risultato positivo per lui si è giunti proprio perché non fu seguita la via dello scontro frontale con Al Sisi, che era stata avventatamente suggerita dagli amici italiani del giovane attivista. Se si fosse agito in quel modo, Zaki sarebbe ancora rinchiuso in un carcere egiziano. E invece sta qui e pontifica.
E allora si arriva al secondo bersaglio grosso dell’intervista: a Zaki non va giù il fatto che Giorgia Meloni, accompagnata da Ursula von der Leyen, la prossima settimana voli al Cairo per la firma di un accordo con l’Egitto.
Pure qui occorre essere chiari: anche al di là di questo caso specifico, chiunque non voglia intese tra Italia ed Egitto fa oggettivamente il gioco della Francia e delle aziende transalpine, a cui non pare vero di poter guastare le relazioni tra Roma e il Cairo.
Nella fattispecie, Zaki pone – sempre nell’intervista alla Stampa – il tema dei rifugiati palestinesi. E, una volta presa la rincorsa, sciorina tutto il repertorio più prevedibile: l’accusa di “genocidio” scagliata contro Israele, la denuncia di presunte complicità occidentali (“Non votare per il cessate il fuoco significa essere d’accordo con l’uccisione dei civili palestinesi”, e ancora: “Non chiamare ‘genocidio’ quello che sta accadendo significa essere parte del genocidio”), fino alla richiesta di rifinanziare l’Unrwa (ignorando le lunghe ombre esistenti su quell’agenzia Onu). C’è solo la consueta dimenticanza, ma per Zaki si tratterà sicuramente di un dettaglio: la condanna del pogrom del 7 ottobre e delle responsabilità dei terroristi di Hamas. Come mai il signor Zaki non riesce proprio a pronunciare due paroline sul tema? Domanda interessante, che speriamo – prima o poi – gli venga posta.

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