Se la libertà dei mari è in pericolo Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 25 febbraio 2024 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Se è a rischio la libertà dei mari»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/02/2024, a pag. 1/29, con il titolo “Se è a rischio la libertà dei mari” l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
La libertà di navigazione nel mondo è messa a rischio dai tre componenti del nuovo Asse del male: Iran, Cina e Russia
Dalle milizie filoiraniane nel Mar Rosso ai pirati nello Stretto di Malacca, dai droni sottomarini nel Mar Nero alle dispute sugli arcipelaghi del Mar della Cina Meridionale: la libertà di navigazione sui mari è oggi a rischio come mai avvenuto dal 1945, ponendo pericoli in crescita al commercio globale. Poiché oltre l’80 per cento dei beni scambiati sul Pianeta si muove su nave — secondo le stime dell’Onu — quanto sta avvenendo in più aree di conflitto deve essere letto come una minaccia globale, la cui entità incombe su ogni singolo Paese, a prescindere dall’entità del proprio pil.
Per comprendere quanto sta avvenendo bisogna partire dalla geografia, in quanto sono le rotte commerciali che uniscono più Continenti a subire gli impatti più negativi. Il primo tassello è quello del Mar Nero, dove la guerra scatenata due anni fa dalla Russia contro l’Ucraina ha messo a rischio la rotta attraverso cui si esporta la maggiore quantità di grano al mondo. Lo scontro navale fra Mosca e Kiev sulle acque del Mar Nero — condotto non più solo con le unità tradizionali della Marina ma con armi avveniristiche come i droni sottomarini — non solo ha fatto diminuire l’export ma ha portato anche all’aumento vertiginoso dei costi delle assicurazioni, con il risultato di trasformare un alimento base per miliardi di persone in un bene ad alto rischio. La cui sorte è legata a negoziati indiretti e altalenanti fra due nazioni protagoniste di un conflitto che ha già causato — secondo le stime più caute — almeno 400 mila morti: Russia e Ucraina.
Altrettanto pericoloso è quanto sta avvenendo nello Stretto di Bab El-Mandeb, all’entrata del Mar Rosso, dove le milizie filoiraniane degli Houti yemeniti da novembre hanno iniziato a bersagliare le navi commerciali in transito. Sebbene di Houti — addestrati, armati e finanziati da Teheran — affermino di voler colpire solo le navi israeliane, al fine di sostenere la guerra lanciata da Hamas il 7 ottobre contro lo Stato ebraico, in realtà i cargo che investono con droni e missili sono delle più differenti nazionalità. Il risultato, secondo la “Conferenza Commercio e Sviluppo” dell’Onu è una diminuzione del 40 per cento del traffico nel Canale di Suez, attraverso il quale nel 2023 è passato il 22 per cento del commercio globale. La nazione che più sta pagando le conseguenze degli attacchi degli Houti è l’Egitto perché, come il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha ammesso, le entrate derivanti dal Canale sono scese del 40 per cento, con gravissime conseguenze per il pil nazionale che dipende per il 2,3 per cento proprio dai pedaggi pagati. Da qui l’allarme di Arsenio Dominguez, segretario generale dell’Organizzazione marittima internazionale dell’Onu, sulla necessità di proteggere la rotta del Canale di Suez che unisce l’Estremo Oriente al Mediterraneo ed all’Atlantico.
Si comprende dunque l’importanza dell’intervento militare di Stati Uniti e Gran Bretagna a protezione della libertà di navigazione nel Mar Rosso, con l’appoggio della missione europea “Aspide” ed anche di unità di singoli Paesi della regione, dal Bahrein allo Sri Lanka. Per Washington e Londra si tratta della più estesa operazione a difesa della libertà dei mari da quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, proteggevano il traffico navale nell’Oceano Atlantico dagli attacchi degli U-Boot del Terzo Reich. Ed anche oggi l’aspetto strategico della missione è rilevante perché gli Houti operano per conto dell’Iran che, secondo fonti militari a Washington, spesso gli suggerisce anche gli obiettivi da colpire, usando navi e postazioni di intelligence sul Mar Rosso. Il ruolo dell’Iran è diventato più evidente quando, in gennaio, gli Houti hanno fatto sapere che avrebbero garantito il “libero passaggio” solo alle navi russe e cinesi, rendendo evidente l’intenzione di essere la pedina di una sfida globale assai più ampia, il cui intento è danneggiare i Paesi occidentali e chiunque ha rapporti commerciali con loro. Ecco perché bisogna ascoltare l’ex ammiraglio americano James Stavridis, già comandante supremo delle truppe alleate in Europa, quando ammette al Wall Street Journal, che “durante tutta la mia vita da ufficiale della Marina non ho mai assistito ad una sfida così intensa sugli oceani del Pianeta”.
In effetti, oltre a Mar Nero e Mar Rosso, ad essere ad alto rischio sono anche gli Stretti di Taiwan e più in generale il Mar della Cina Meridionale dove la flotta militare di Pechino — divenuta quella con più navi in assoluto — è costantemente all’opera per affermare il controllo di Pechino su acque e arcipelaghi contesi, dalle Filippine al Vietnam, oltre alle violazioni costanti ai danni di Taipei, al fine di attestare con la forza l’ambizione a porre fine all’indipendenza dell’isola nazionalista. Come se non bastasse, c’è anche il fattore pirati: dagli Stretti di Malacca alle coste del Corno d’Africa fino alle acque del Golfo di Guinea dove, proprio a seguito della riduzione del traffico a Suez, transita un numero crescente di cargo commerciali impegnati nella circumnavigazione dell’Africa.
Se a tutto ciò aggiungiamo la siccità che, a causa dei cambiamenti climatici, ha colpito il Canale di Panama abbassando le sue acque come mai avvenuto prima — portando ad una riduzione del traffico del 40 per cento — non è difficile arrivare alla conclusione che quanto sta avvenendo negli Oceani pone rischi crescenti alle attuali geometrie del commercio globale. Spiegando perché la Russia di Vladimir Putin è così interessata allo scongelamento del “Passaggio a Nord-Ovest”, la rotta artica che potrebbe consegnare a Mosca una scorciatoia nei trasporti marittimi fra Siberia e Canada capace di rivoluzionare il “Grande Gioco” negli Oceani.
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