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Libero Rassegna Stampa
21.02.2024 Assange non è il nostro Navalny
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 21 febbraio 2024
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Assange non è il nostro Navalny e gli errori dell'Occidente non sono gli orrori delle dittature»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 21/02/2024, a pag.1/14, con il titolo "Assange non è il nostro Navalny e gli errori dell'Occidente non sono gli orrori delle dittature", l'editroriale di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Julian Assange
Julian Assange, in attesa in Inghilterra di essere processato in un Paese democratico. Paragonarlo con Navalny è un infamia. Eppure a sinistra lo stanno facendo.

Com’è noto, nelle prossime ore o giorni l’Alta Corte di Giustizia britannica dovrà pronunciarsi sulla richiesta statunitense di estradare Julian Assange.
Del fondatore di Wikileaks si può dire (ed è stato effettivamente detto) tutto e il contrario di tutto: qualcuno lo vede come un martire della libertà, come un eroe del giornalismo anti -sistema, come un grande irregolare che ha rivelato al popolo le oscurità e gli intrighi del potere; altri lo vedono come un traditore, come un uomo che ha messo a rischio le vite di numerosi occidentali, come un soggetto che non ha mai creato problemi ad autocrazie e dittature ma solo alle democrazie dell’alleanza atlantica. Legittimo discuterne, e- personalmente - mi considero tutto sommato più vicino alla seconda scuola di pensiero che non alla prima. Ma ciò - mentre scrivo mi pare molto poco rilevante, anche perché non pochi sostenitori della seconda tesi, nel loro intento di punirlo con ogni mezzo, hanno maldestramente contribuito a trasformare Assange in un simbolo, in un’icona pop, in un leader generazionale.
Vecchia e triste storia: le nostre democrazie occidentali continuano a perdere la “battaglia dei cuori e delle menti”: non sanno farsi amare, non sanno difendere le loro buone ragioni, e costruiscono la loro sconfitta strategica sia rispetto alle dittature sia rispetto molti tra i propri figli. E per metterle in crisi è sufficiente l’Assange della situazione, più prodotto che attore di una cyberwar globale appena all’inizio. Non siamo neanche stati capaci di spiegare bene che i veri eroi della libertà sono i ragazzi che, in Iran e non solo, tentano come possono di usare la rete contro le dittature, a rischio della propria vita: altro che Assange e le sue passerelle mediatiche. Ma questo discorso ci porterebbe lontano: meglio non perdere il filo.
E allora ecco il punto, tornando all’attesa per la decisione della massima istanza giurisdizionale britannica. Personalmente, mi pare intellettualmente disonesto - questa è l’operazione in corso, qui in Italia ad esempio animata dal solito Roberto Saviano - delineare un’equivalenza tra Occidente e Russia, un’intercambiabilità tra democrazie e autocrazie, come se Assange fosse il “nostro” Navalny, e noi i “suoi” Putin.
Comunque la si pensi sul fondatore di Wikileaks, questo è un racconto anti-occidentale e quasi auto-razzista rispetto alle nostre pur assai imperfette democrazie.
Fateci caso: in questi giorni, ogni volta che i nemici dell’Occidente e della libertà si macchiano di un crimine atroce, le loro quinte colonne dislocate nelle nostre capitali (più o meno consapevoli di comportarsi da utili idioti) conoscono un solo schema: mettere sul tavolo colpe occidentali che pareggerebbero il conto dei crimini altrui. Hamas si macchia del pogrom del 7 ottobre? E subito parte la macchina dell’offuscamento tentando di descrivere Israele come responsabile di un “genocidio”. Incredibile ma vero: le vittime che tuttora combattono per non essere cancellate (che vuol dire «from the river to the sea»? Vuol dire annullare la stessa esistenza di Israele) vengono presentate come carnefici.
Altro esempio: Aleksej Navalny è stato orribilmente eliminato da Mosca? E subito si cerca di presentare il caso Assange come qualcosa di uguale e contrario, come una storia che dovrebbe associarci - nell’infamia - a un regime come quello di Mosca che pratica l’omicidio politico come “ordinario” metodo di gestione del potere.
Stessi protagonisti. È questo che inquieta. A onor del vero, non sorprende che a volte i protagonisti siano i medesimi: una delle parlamentari (la grillina Stefania Ascari) maggiormente mobilitate per la causa di Assange è la stessa esponente pentastellata che ha partecipato a eventi e iniziative dell’ala filopalestinese più radicale e discussa qui in Europa. Ma questo non deve stupire. Ciò che invece balza agli occhi è il silenzio intimidito di troppi, la timidezza di chi non sembra trovare né le convinzioni né gli argomenti per affermare la differenza tra le nostre democrazie e alcune orribili dittature. Per carità: le nostre democrazie non di rado ci fanno disperare. Ogni giorno ne vediamo le incertezze, le lentezze, gli errori e in qualche caso gli orrori. Di più: proprio perché sono democrazie, è naturale e fisiologico che debbano produrre “anticorpi”, sotto forma di una vibrante capacità di autocritica e opposizione interna. Ma - santo cielo - ci sarà pure una differenza tra un sistema basato sul mix tra voto e libero mercato e regimi in cui il popolo non dispone né della scheda elettorale (se non come farsa e finzione) né di un meccanismo economico aperto e non integralmente controllato dal potere. Se non siamo più in grado di distinguere tra queste realtà diverse tra loro come il giorno e la notte, vuol dire che ci troviamo davvero al buio. E, quando fa scuro, anche una luce fioca - la candela della libertà che qui a Libero, nel nostro piccolo, cerchiamo come possiamo di contribuire a tenere accesa - può rivelarsi preziosa per non smarrire definitivamente la strada.

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