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La Repubblica Rassegna Stampa
20.02.2024 Yulia ci invita a starle accanto
Cronaca di Rosalba Castelletti

Testata: La Repubblica
Data: 20 febbraio 2024
Pagina: 3
Autore: Rosalba Castelletti
Titolo: «Il coraggio della moglie che raccoglie il testimone “Continuerò la sua lotta vi invito a starmi accanto”»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/02/2024, a pag.3, l'analisi di Rosalba Castelletti dal titolo "Il coraggio della moglie che raccoglie il testimone: continuerò la sua lotta vi invito a starmi accanto"

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Rosalba Castelletti


Yulia Navalnaya: «La cosa più importante che ha detto Aleksej è che non ha paura. Neppure io ho paura. E esorto tutti voi a non averne»

Una donna a guidare la Russia stanca dell’uomo forte. Yulia Navalnaya fa il passo che molti speravano: raccoglie l’eredità del marito e lancia all’opposizione russa, decimata e dispersa tra carcere ed esilio, ma non morta, un appello a unirsi a lei nella lotta a Vladimir Putin. «Con Aleksej, Putin ha ammazzato metà di me, metà del mio cuore, metà della mia anima. Ma continuerò la causa di Navalny, continuerò a lottare per il nostro Paese e vi invito a starmi accanto, a condividere con me non solo il dolore infinito, ma la furia, la rabbia, l’odio nei confronti di quelli che hanno osato ammazzare il nostro futuro». «Ciao, sono Yulia Navalnaya», esordisce, come faceva il marito, per sottolineare la continuità. Ma a guardare il video con cui si candida a nuova leader della «bella Russia del futuro» immaginata da Navalny, è chiaro quanto le costi. I capelli biondi raccolti, come sempre, in uno chignon sulla nuca, il viso gonfio di lacrime e la voce a tratti rotta dai singhiozzi trattenuti. Lei stessa lo dice chiaro: «Non dovrei esserci io in questo posto, non dovrei essere io a registrare questo video. Al mio posto dovrebbe esserci un’altra persona, ma questa persona è stata ammazzata da Vladimir Putin». Un potente j’accuse che di colpo la proietta fuori dal cono d’ombra. Fino a venerdì scorso, Navalnaya era sempre stata al fianco di Aleksej. “First lady dell’opposizione”, la chiamavano. O “moglie del decabrista”, in Russia sinonimo di devozione smisurata. Mai indietro, ma mai avanti. Semplicemente «accanto», come ha detto lei stessa ieri ricordando il calvario nell’Arcipelago Gulag russo fino alla dolorosa scelta dell’esilio, due anni fa, quando la repressione del Cremlino si è inasprita sulla scia dell’offensiva contro Kiev e all’ultimo abbraccio col marito in un’aula di tribunale. Questa 47enne, economista di formazione, aveva conosciuto Navalny, stessa età, nel maggio del ’98 in una spiaggia in Turchia. Amore a prima vista. Due anni dopo le nozze e la rinuncia a una carriera redditizia in una banca d’affari per dedicarsi ai figli, Dasha e Zakhar, e all’opposizione. Molto più che compagna: il doppio di Navalny. Pronta a esserne la sostituta tutte le volte, tante, che il marito finiva in un centro di detenzione. Quando nel 2020 Aleksej era stato ricoverato d’urgenza a Omsk dopo l’avvelenamento da Novichok, Yulia era volata da Mosca al suo capezzale e con una lettera indirizzata al presidente Vladimir Vladimirovich Putin, l’uomo che oggi accusa di aver ucciso il marito, aveva «preteso », parole testuali, che Aleksej fosse trasferito e curato in Germania. «È stato terrificante. Ma ho capito che non potevo lasciarmi andare. Se fossi caduta a pezzi io, saremmo caduti a pezzi tutti. Ho fatto del mio meglio per tirarlo fuori da lì», aveva poi raccontato al blogger Jurij Dud in una video-intervista congiunta, la prima rilasciata dai Navalny dopo le dimissioni dall’ospedale Charité di Berlino. «Non m’importa della scienza e della medicina, ora lo so per certo per esperienza personale: l’amore guarisce e ti riporta in vita. Yulia, mi hai salvato», aveva scritto Aleksej dopo il risveglio dal coma. Non negava mai il ruolo eccezionale della moglie nella sua vita. «È una combattente. Mi sostiene, ha idee estremiste persino più di me», aveva detto a noi quando lo avevamo intervistato nel 2018. «Tesoro, io e te abbiamo tutto come nella canzone: città, luci di decollo dell’aeroporto, bufere di neve blu e migliaia di chilometri tra di noi. Ma sento che sei con me ogni secondo e ti amo sempre di più», aveva scritto a San Valentino. Il suo ultimo messaggio sui social. Un’eccezione in Russia. Nessun politico moscovita aveva mai esibito così apertamente l’amore per la moglie. Anzi, un miracolo raro, aveva scritto il giornale Novaja Gazeta incoronando Yulia “Eroina dell’anno 2020”. Avvenuto solo due volte: i Gorbaciov e i Navalny. Yulia e Aleksej uniti contro Putin, divorziato, ufficialmente single, con una vita privata avvolta da totale segretezza. Quando nel 2020 si erano imbarcati sul volo Berlino-Mosca, sapevano già che cosa li aspettasse. Sull’aereo zeppo di giornalisti, si erano scambiati sorrisi amorevoli guardando su un tablet il loro cartone preferito Rick and Morty. Senza mai tradire commozione. Navalnaya non si era scomposta neppure quando, una volta atterrati, il marito era stato portato via dagli agenti in divisa. Quando poi era sbucata fuori dall’aeroporto, sola, la gente aveva scandito «Yulia! Yulia». Lei aveva risposto soltanto: «La cosa più importante che ha detto Aleksej è che non ha paura. Neppure io ho paura. E esorto tutti voi a non averne». Parole da leader, qualcuno aveva commentato ipotizzando già allora un futuro politico per lei. Ma Yulia aveva sempre accantonato l’idea. Fino a ieri. Ora la aspetta la sfida più dura: guidare la Russia democratica dall’esilio. La politologa Tatiana Stanovaja ha elencato le insidie dell’impresa: uscire dall’ombra di Navalny, non cadere nel parallelismo con Svetlana Tikhanovskaja, diventata leader dell’opposizione bielorussa dopo l’incarcerazione del marito nel 2020, ma soprattutto smentire i sospetti di essere una «provocazione dell’Occidente» per interferire nella politica interna russa. Sui media e i social filogovernativi è già iniziata la campagna denigratoria. L’hanno battezzata la «vedova allegra» accusandola di aver accennato un sorriso quando venerdì è salita sul palco della Conferenza di Sicurezza di Monaco rifiutandosi ancora di credere che il marito fosse morto davvero. Qualcuno insinua persino che a ucciderlo sia stata lei. Ma in tanti vedono in Navalnaya una donna che ha scelto di «trasformarsi da moglie, madre e amica in leader» e vogliono credere nelle parole dello scrittore Valerij Panjushkin: «L’anima di Navalny ha attraversato la morte ed è tornata il terzo giorno, è la stessa, ma diversa, non scherza più, riesce a malapena a trattenere le lacrime. Ed è una donna. E vincerà. Un eroe del genere alla fine non è felice, ma vince sempre».

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