Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/02/2024, a pag. 1, con il titolo “La questione russa nel cuore dell’Occidente” l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Gli amici di Putin in Europa mostrano le loro ambiguità dopo l'assassinio di Navalny
La morte di Aleksej Navalny mette in risalto l'esistenza di una questione russa nel cuore dell'Occidente e dunque dell'Europa: da una parte ci sono i governi alleati che parlano, con accenti diversi, di responsabilità politica di Vladimir Putin mentre dall'altra leader e partiti sovranisti evitano di chiamare in causa il Cremlino o preferiscono restare in un comodo e assordante silenzio.
Washington è la capitale dove tale divaricazione è più lampante perché a fronte del presidente Joe Biden, che parla esplicitamente di «responsabilità di Putin», c'è il suo predecessore Donald Trump -
favorito nella corsa alla nomination repubblicana per la Casa Bianca - che reagisce alla morte di Navalny con un comunicato nel quale non lo nomina e non parla neanche di quanto avvenuto, ma sottolinea che «io sono l'unico che può portare pace, prosperità e stabilità.
Trump coglie la morte di Navalny come un’occasione per ribadire agli elettori che quanto di male avviene ovunque è colpa di Biden mentre con lui alla Casa Bianca il mondo diventerà un posto assai migliore. In Europa, lo scenario non è troppo differente perché mentre i governi Ue hanno condannato senza remore Putin per la morte nel gulag artico del maggiore oppositore del Cremlino, i partiti di estrema destra più vicini a Mosca hanno preferito il basso profilo. Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale in Francia, si è limitata ad un messaggio su X di condoglianze senza nominare Putin, l’estrema destra tedesca dell’Afd è rimasta in silenzio e la Lega, attraverso il vicesegretario Andrea Crippa, ha suggerito di «non additare responsabili finché non ci saranno prove oggettive» sulla «sconcertante» scomparsa di Navalny. Sono posizioni che non sorprendono troppo se ricordiamo che proprio Navalny, nel 2022, aveva pubblicamente accusato Le Pen di essere «strettamente legata alla Russia» mentre l’Afd si era recata a Mosca nel dicembre 2020 — proprio durante la crisi russo-tedesca seguita al tentato avvelenamento dell’oppositore — per dirsi contraria a qualsiasi tipo di sanzioni contro il Cremlino a causa del caso Navalny. Ci troviamo davanti ad uno scenario che avvalora quanto affermato la scorsa settimana da Dmitry Medvedev, ex presidente ed ex premier russo, sull’esistenza di «forze anti-sistema nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo» che Mosca «deve sostenere» perché porteranno alla fine del «globalismo liberale». Non è difficile dunque immaginare che Mosca consideri un importante risultato politico l’estrema prudenza dei sovranisti americani ed europei davanti al decesso di Navalny. Se Putin ha voluto eliminarlo per spaventare chiunque osi sfidarlo in Russia — proprio come fece con il capo della Wagner, Evgheny Prigozhin, autore di un tentato colpo di mano — ora può prendere atto dell’esistenza, in America come in Europa, di un fronte sovranista che non si scompone troppo per la disinvoltura con cui ricorre alla violenza: che sia contro l’Ucraina o contro gli oppositori poco importa. Ma non è tutto, perché anche il fronte dei governi Nato mostra pericolose differenze. A fronte della cattura di Avdiivka da parte delle truppe russe, il presidente ucraino Zelensky si è dovuto recare a Parigi e Berlino per incassare dei cospicui impegni di forniture militaricapaci di far fronte in futuro ad eventuali diminuzioni dell’impegno del Pentagono se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca. Senza contare il fatto che altri Paesi Ue, a cominciare dall’Italia, sembrano assai più prudenti di Francia e Germania nel volersi impegnare direttamente nel sostegno militare a Kiev. Ed anche qui il Cremlino incassa un passo avanti: la coesione fra gli alleati Nato sull’Ucraina si indebolisce e ciò potrà avere conseguenze a favore dei generali russi sul campo di battaglia. Sommando le differenze politiche su Navalny alle differenze strategiche sull’Ucraina, si arriva alla conclusione che gli alleati euroamericani sono alle prese con una questione russa che evidenzia le loro incertezze, debolezze e lacerazioni interne. Tutto ciò ha l’unico effetto di spingere il Cremlino a non avere freni nella repressione del dissenso come anche ad aumentare la pressione militare su Kiev e le ingerenze politiche nei singoli Paesi Ue/Nato, per ilsemplice motivo che sembrano iniziare a dare frutti concreti. Da qui il difficile compito che ricade sul nostro Paese, presidente di turno del summit del G7, al fine di accompagnare le maggiori democrazie industriali a serrare i ranghi e definire in fretta una posizione comune davanti a Putin quando, il 24 febbraio, si svolgerà in videoconferenza un vertice straordinario in coincidenza con il secondo anniversario dell’aggressione russa a Kiev. Tanto più la questione russa divide l’Occidente, tanto più i leader delle maggiori democrazie sono chiamati a rafforzare coesione e determinazione nel respingere il tentativo di Mosca di ridefinire con la forza l’architettura di sicurezza in Europa sulla base dei propri interessi strategici.
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