Riprendiamo da LIBERO di oggi 12/02/2024, a pag.1, con il titolo "Canzoni, trattori, e «Bella ciao»: Sanremo è stato un gran successo (gestito molto male)", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
La meritoria prima pagina di Libero di oggi che si ribella al conformismo antisemita di questi mesi
Premessa doverosa: in termini di ascolti, il Festival di Sanremo è stato un successo assoluto e indiscutibile. Quindi, da questo punto di vista, onestà intellettuale impone di togliersi il cappello e fare enormi e strameritati complimenti ad Amadeus e ai vertici Rai.
Con la stessa franchezza, però, va detto che la gestione dei momenti e dei temi politicamente sensibili è stata letteralmente catastrofica per tutta la settimana, dal “pre -partita” (con il “Bella ciao” inopinatamente intonato in conferenza stampa) al “post -partita”, con i massimi dirigenti Rai costretti a scusarsi con la comunità ebraica dopo una serie di episodi spiacevolissimi. Per non dire (non ci torno sopra visto che Libero ha dedicato al tema l’apertura di almeno tre edizioni) del modo in cui è stata fatta montare la polemica sui trattori, prima promettendo e poi negando il palco agli agricoltori, di fatto esacerbando gli animi su una materia di per sé rovente.
Intendiamoci bene, qui a Libero ve lo abbiamo detto subito: nella disarticolazione, nella frammentazione, nella confusione che rappresentano la cifra distintiva del nostro tempo, non c’è purtroppo da lagnarsi se i grandi spettacoli (le forme contemporanee di ciò che accadeva al Colosseo) sono diventati non solo un momento di distrazione e sfogo come nell’antica Roma, ma il luogo per eccellenza dove si formano opinioni-pensieri-valutazioni.
Il calcolo è fin troppo semplice: se un’ordinaria trasmissione politica è seguita (quando va bene) da 1 milione di telespettatori, e invece Sanremo tiene incollati 11-12-13 milioni di italiani, questo banale dato quantitativo dà la misura di un rilievo addirittura incomparabile del presunto momento di intrattenimento rispetto a un ordinario spazio di approfondimento. Altro che "intrattenimento", allora: in un’arena così sterminata, ogni sussurro, ogni battuta, ogni mezza parola acquisisce un valore assoluto, una forza inimmaginabile, una potenza di cui troppi non si rendono ancora conto.
FRASETTE AVVILENTI
A maggior ragione, quindi, chi gestisce quel circo (e non mi riferisco solo al conduttore) dovrebbe sentire su di sé una responsabilità speciale.
E invece abbiamo assistito (grazie, in momenti diversi della settimana, a Dargen D’Amico, a Diodato e a Ghali) a frasette buttate lì sul conflitto in Medio Oriente non solo abbastanza avvilenti per superficialità e partigianeria (magari involontaria), ma comunque destinate a determinare un forte effetto sull’opinione pubblica.
«Stop al genocidio», si è addirittura sentito da Ghali nella serata finale senza che nessuno avesse nulla da eccepire o da aggiungere. E ieri, nello speciale Domenica In dedicato alla manifestazione canora, si è perfino lacerato lo strappo in un clima di eccitazione generale, come vi racconta oggi il nostro Andrea Tempestini.
Peccato che, tra tanti “messaggi”, sia mancato qualcuno (sarebbero bastati 20 secondi) in grado di ricordare cosa sia stato il pogrom del 7 ottobre, con il massacro di donne-uomini-bimbi ebrei proprio in quanto ebrei. Ma - significativamente - non si è trovato né il tempo né il coraggio di farlo. Cattiva volontà? Personalmente non credo: in tutta sincerità, non mi pare la spiegazione più convincente.
SCIATTERIA E CONFORMISMO
Più probabile un mix di sciatteria e conformismo. Il che- di tutta evidenza - non rassicura né rappresenta un’attenuante. Al contrario, se fosse andata così, le cose sarebbero perfino più gravi. Possibile che, nell’arco di cinque lunghissimi giorni ed essendosi susseguiti almeno quattro episodi a senso unico (prima uscita di Dargen D’Amico sul cessate il fuoco, seconda uscita nella stessa direzione di Diodato sempre con Dargen, poi Ghali sul genocidio nella serata finale, e infine ancora Ghali ieri a Domenica In), non ci sia stato uno straccio di autore o un’ombra di dirigente che si siano sentiti in dovere di suggerire al conduttore una parola di riequilibrio e di ristabilimento della verità? Ricapitolando: non ci hanno pensato né gli autori né Amadeus prima del Festival, scrivendo il copione; non ci ha pensato Amadeus in diretta, per ben quattro volte; sempre per quattro volte, non ci hanno pensato gli autori; e ancora per quattro volte, non hanno avuto riflessi pronti nemmeno i dirigenti Rai. È francamente troppo, e due paroline di scuse appiccicate in fretta e furia ieri pomeriggio non risolvono il problema. Semmai, ne sottolineano la profondità.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante