Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/02/2024, a pag.4 con il titolo "L’Anpi incensava Tito. E adesso contesta chi omaggia i martiri delle foibe comuniste", il commento di Marco Patricelli.
Marco Patricelliì
Foibe, manifesto choc: “Viva i partigiani di Tito”. ANPI vergognati!
È un riflesso pavloviano, quello dell’Associazione partigiani senza (quasi) più partigiani, che passa dalla consegna del silenzio al negazionismo e quindi al relativismo, perle crepe sempre più evidenti nel monolite della narrazione resistenziale dei duri sempre puri: il tabù è crollato ma non l’allergia a sentire evocare i crimini dei partigiani comunisti di Tito. Eppure degli orrori delle foibe si macchiarono loro, non gli hyksos e neppure gli hittiti. La storia si può nascondere, come i corpi degli innocenti (uomini, donne, bambini, civili e preti, giovani e anziani, fascisti e antifascisti) gettati spesso ancora vivi negli inghiottitoi carsici, ma la verità torna a galla, diversamente dagli italiani uccisi tra il ’43 e’45. Anpi, nella sua battaglia sempre più di retroguardia e sempre meno credibile su una pagina dolorosa sulla quale anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato parole nette e inequivoche, si spera definitive- insiste nell’unica strategia che le rimane: dal “no” al “forse sì, ma”, nell’impossibilità costituzionale di pronunciare il “sì” che non è una resa bensì una sacrosanta e dignitosa accettazione della storia per quella che è stata e non quella che si vorrebbe che fosse. Invece ecco ritirare fuori tutto l’arsenale dialettico stoccato in questi anni, per cui i crimini commessi dai partigiani con la stella rossa furono una reazione a quello che era accaduto prima, con la guerra alla Jugoslavia del 1941 e l’occupazione. Un giustificazionismo alla tre palle un soldo che arriva a confondere terre italiane (Istria, Fiume, Zara), terre occupate (Slovenia), terre contese, terre annesse (dai tedeschi, Operationszone Adriatisches Küstenland), a compensare eccidi e responsabilità, a truccare il piatto della bilancia pur di non vedere dove pende e qual è il prezzo storico da pagare, visto che dal punto di vista processuale il tempo non ha fatto sconti a nessuno facendo tabula rasa dei protagonisti. Ecco quindi dare fiato alle trombe della propaganda secondo cui «l’estrema destra strumentalizza l’orribile tragedia delle foibe e dell’esodo negando la più complessa vicenda del confine orientale». E chi la nega? O basta forse trincerarsi dietro alla complessità di un fatto per sminuirne una parte tutt’altro che irrilevante? Di foibe ed esodo, in realtà, una certa sinistra e neppure marginale non ha mai voluto sentir parlare, per il fastidio di dover ammettere che gli idolatrati eroi jugoslavi e l’incensato Maresciallo Josip Broz detto Tito non erano né supereroi senza macchia e senza paura e neppure anime candide. Contro gli italiani, proprio perché italiani, venne scatenato un autentico pogrom in più fasi, che faceva parte di un lucido disegno politico-ideologico di pulizia etnica. Il terrore di finire in una foiba dopo essere stati prelevati dalla terribile polizia titina Ozna, che non aveva nulla da inviare alla Ghepeu/Nkvd sovietiche e alla Gestapo nazista, innescò una reazione a catena che ebbe tra le sue conseguenze l’esodo anche prima che il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (per questo il Giorno del ricordo è stato fissato in tale data) assegnasse città e terre già romane e veneziane e poi italiane alla Jugoslavia comunista. Quanto all’atteggiamento della sinistra nostrana, l’orientamento era già chiaro nel 1945 con la strage di Porzûs dei partigiani bianchi della Osoppo da parte di quelli rossi di Mario Toffanin “Giacca” perché rifiutavano di mettersi agli ordini dei titini, e lo divenne platealmente e vergognosamente alla fine della guerra. Nel 1946 l’Unità riversava piombo fuso di velenoso disprezzo contro i profughi istriani, giuliani e dalmati che a detta del Pci erano solo «fascisti» immeritevoli di comprensione, aiuto e sostegno, perché osavano fuggire dal “paradiso socialista” d’oltre Adriatico. A mezzogiorno del 18 febbraio 1947 i ferrovieri di Bologna scioperarono quando un treno con profughi italiani del confine orientale transitò nella città felsinea: vennero accolti da bandiere rosse con falce e martello, insulti, sputi; vennero lanciate pietre al loro indirizzo, negati i viveri e rovesciato il latte per i bambini. Oggi la strategia è più sottile, ma offende allo stesso modo le vittime di ieri insultando quelle sofferenze, perché nasconde le crudeltà, addomestica il ricordo minimizzandone la portata e mistifica la storia nel nome di un’ideologia che è stata condannata come uno dei volti sanguinari dei totalitarismi del Novecento. E su questo non c’è relativismo che tenga.
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