Al tribunale dell’Aja eletto un presidente anti-israele Commento di Amedeo Ardenza
Testata: Libero Data: 08 febbraio 2024 Pagina: 14 Autore: Amedeo Ardenza Titolo: «Netanyahu rifiuta l’accordo: «Avanziamo verso Rafah»»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/02/2024, a pag. 14, con il titolo "Netanyahu rifiuta l’accordo: avanziamo verso Rafah", il commento di Amedeo Ardenza.
Per permettere agli oltre 136 rapiti (ma un terzo sarebbero già morti) di tornare alle proprie famiglie, Hamas chiede la liberazione di 1.500 detenuti (fra i quali non mancano gli ergastolani) nelle carceri israeliane, il ritiro delle Idf dell’enclave e la fine dell’embargo nei confronti di Gaza. La liberazione dei vivi e la restituzione delle salme avverrebbe in tre fasi di 45 giorni, un periodo che gli israeliani, non importa se di destra o di sinistra, ritengono troppo lungo perché permetterebbe a Hamas di riarmare.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo ha ribadito ieri in serata a chiare lettere: «Cedere alle richieste scandalose di Hamas non solo non porterà al rilascio degli ostaggi, ma provocherà un ulteriore massacro e un disastro per Israele. Il giorno dopo la guerra», ha affermato in conferenza stampa, «è il giorno dopo Hamas». Ribadendo che la «vittoria totale di Israele è ad un passo». Il premier ha poi annunciato di aver dato ordine all'esercito di avanzare verso Rafah, nel sud della Striscia, ad un passo dall’Egitto, e ha confermato che «solo la pressione militare agisce perla liberazione degli ostaggi. I nostri soldati non sono caduti invano».
Una posizione ferma destinata a riaccendere le polemiche in un Paese che vuole liberarsi dalla minaccia del terrore ma punta anche a riportare i rapiti a casa.
TENSIONE CON BLINKEN
Allo stesso tempo, un accordo per una tregua fra Israele e Hamas potrebbe dimostrare la pretestuosità della pretesa del Sudafrica di processare Israele per genocidio. E proprio verso questo obiettivo stanno lavorando le parti con la mediazione del segretario di Stato Anthony Blinken nella regione per la quinta volta dal 7 ottobre. I rapporti fra la Casa Bianca e Bibi Netanyahu non sono però buoni: così ieri il premier israeliano si è opposto alla richiesta di Blinken di incontrare, da solo, il capo di stato maggiore delle forze armate d’Israele (Idf), Herzi Halevi.
«Un militare non può incontrare un leader straniero se non è presente un rappresentante eletto», ha obiettato l’ufficio del premier. È stato Bibi, invece, a vedere Blinken a quattr’occhi in un incontro su una possibile tregua fra Hamas e Israele ma i due uomini di governo non hanno tenuto una conferenza stampa comune.
Le notizie che giungono dalla Corte Penale Internazionale invece, segnalano uno squilibrio sempre più evidente a favore delle tesi dei terroristi palestinesi.
Quarantotto candeline raccolte in gruppetti: quattro alla volta e poi una sopra a sbarrare le altre alla moda dei carcerati che contano i mesi e gli anni. E accanto una scritta: “Unhappy birthday to you”, ossia “Un infelice compleanno a te”.
È il messaggio che l’allora ambasciatore del Libano presso le Nazioni Unite, Nawaf Salam, postava su Twitter il 6 giugno del 2015 all’indirizzo di Israele. Quel giorno ricorreva il 48esimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, da cui il sottotitolo aggiunto dallo stesso Salam: «48 anni di occupazione». Un messaggio in generale poco felice – augurare un cattivo compleanno è poco diplomatico – ma soprattutto antistorico. Perché l’occupazione delle terre palestinesi era cominciata molto prima: quando il 15 maggio del 1948 nacque lo Stato d’Israele i vicini arabi non si limitarono ad attaccarlo ma occuparono anche le terre che, secondo il piano dell’Onu per la partizione della Palestina sotto mandato britannico, avrebbero dovuto costituire l’altro Stato palestinese: quello arabo, accanto a quello ebraico. Uno scivolone per un raffinato giurista formato alla Sorbona come Salam, allora massimo rappresentante del Libano ossia proprio di uno di quei paesi che impedì la nascita dello stato arabo palestinese Nel frattempo Salam, lasciato il Palazzo di Vetro nel 2017, è diventato giudice presso la Corte internazionale di Giustizia (Cig) con sede all’Aja.
CORTE SQUILIBRATA
E martedì è stato eletto presidente della stessa corte: nella migliore tradizione onusiana, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite ha scelto per la propria guida un rappresentante dal curriculum genuinamente antisionista e, ciliegina sulla torta, lo ha fatto proprio quando la Cig è chiamata a stabilire se corrisponde al vero quanto sostenuto dal Sudafrica, ossia che Israele starebbe compiendo un genocidio dei palestinesi.
Ieri la corte ha reso noto che Salam sarà presidente per i prossimi tre anni.
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