Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/02/2024, a pag. 1, con il titolo “Biden-Iran: la posta in palio è la sicurezza del Medio Oriente” l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Riuscirà la democrazia a sconfiggere i terroristi iraniani?
L’ attacco americano contro le milizie filo-iraniane nasce dalla volontà del presidente Joe Biden di raggiungere tre risultati complementari: risollevare la credibilità Usa nella regione, mettere sulla difensiva Teheran e porre le premesse di una nuova architettura di sicurezza in Medio Oriente. Il primo obiettivo è quello più evidente: i tre militari americani uccisi dal drone lanciato da Kataib Hezbollah — milizia filo-iraniana in Iraq — contro la base Usa “Tower 22” in Giordania costituiscono una sfida diretta alla presenza americana in Medio Oriente, anche perché seguono gli oltre cento lanci di razzi, droni e missili da parte di gruppi simili contro installazioni Usa in Siria ed Iraq dall’indomani del pogrom del 7 ottobre scorso messo a segno da Hamas contro Israele. Le milizie filo-iraniane perseguono l’obiettivo di sfruttare la guerra innescata da Hamas per obbligare gli Usa a lasciare le basi in Siria ed Iraq. E questo al fine di consentire all’Iran di creare una continuità territoriale con Iraq, Siria e Libano realizzando una “Mezzaluna sciita” capace di collegare Golfo Persico e Mediterraneo, garantendo a Teheran l’egemonia regionale. Biden ha compreso che l’uccisione dei propri soldati era un punto di non ritorno: se l’America non avesse risposto, sarebbe stato evidente a tutti che aveva timore di Teheran e dunque l’equilibrio in Medio Oriente sarebbe inevitabilmente cambiato. E Biden sa bene quali prezzi l’America paga quando arretra in Medio Oriente: a fine agosto del 2013 era il vicepresidente quando Barack Obama decise di fare marcia indietro sull’attacco al Raiss di Damasco, Bashar Assad, colpevole di uso dei gas contro i civili siriani. È da quel momento che il prestigio Usa nella regione è iniziato a diminuire a vantaggio della Russia di Vladimir Putin. E Biden, che all’epoca aveva dei dubbi sulla scelta di Obama, ora ha voluto evitare di incorrere in un secondo, simile, grave errore. Dunque, prima ha detto con chiarezza che le milizie filo-iraniane avevano «varcato una linea rossa» e poi le ha attaccate per fargli capire che devono rispettarla. Il secondo obiettivo dei raid del Pentagono ha a che vedere con l’equilibrio di forza Washington-Teheran. Se guardiamo con attenzione a quali obiettivi sono stati colpiti dai jet Usa ci accorgiamo che si tratta, in gran parte, di infrastrutture militari e di intelligence della “Forza Al Quds” ovvero le unità delle Guardie della rivoluzione iraniana che «operano fuori dai confini dell’Iran e consentono a Teheran di condurre guerre per procura senza esporsi direttamente alle conseguenze» come spiega il politologo Ray Takeyh del Council on Foreign Relations di New York. La “Forza Al Quds” (Gerusalemme) è riuscita a perfezionare e rafforzare questo network di milizie alleate — con armi, fondi ed addestramenti — in Bahrein, Iraq, Libano, Cisgiordania, Gaza, Siria e Yemen sotto il comando del generale Qasem Soleimani — eliminato dagli Usa in Iraq nel 2020 — ed ora il successore Esmail Qaani si sta dimostrando molto abile nel guidarlo per aggredire i nemici di Teheran. Basta guardare alla cartina del Medio Oriente per comprendere cosa sta avvenendo: a innescare l’attuale guerra contro Israele è stato Hamas; in Cisgiordania la Jihad islamica compie attentati e pianifica attacchi simili al 7 ottobre; dal Libano del Sud gli Hezbollah tengono aperto un secondo fronte di logoramento contro lo Stato ebraico; gli Houti yemeniti ostacolano la libertà di navigazione internazionale nel Mar Rosso e bersagliano Eilat con droni e missili; in Siria ed Iraq sono le basi Usa ad essere attaccate. Ovvero, i singoli tasselli del network di milizie fedeli alla “Forza Al Quds” combattono, ogni giorno,seguendo il disegno di Ali Khamenei, il Leader Supremo della rivoluzione islamica che è anche il più importante fornitore di droni e missili per le truppe russe protagoniste dell’aggressione all’Ucraina. Questo network filo-iraniano è il più formidabile avversario militare di Washington perché se Hamas e Hezbollah hanno la priorità di distruggere Israele, gli Houti di minacciare il Mar Rosso e Kataib Hezbollah di ipotecare il futuro dell’Iraq, è la “Forza Al Quds” che tiene le redini del tutto al fine di espellere Washington dalla regione. Dunque, colpire le milizie filo-iraniane significa mettere Teheran sulla difensiva. Il terzo obiettivo di Biden guarda invece più lontano. Risollevare la credibilità Usa nella regione e mettere sulla difensiva Teheran serve infatti per aprire la strada al progetto Usa di un nuovo assetto di sicurezza regionale a cui stanno lavorando il Segretario di Stato Antony Blinken, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il capo della Cia William Burns. Ecco di cosa si tratta: sfruttare la sconfitta militare di Hamas a Gaza e la ricostruzione della Striscia per rivitalizzare il negoziato sul “Patto di Abramo” fra Arabia Saudita ed Israele al fine di arrivare ad un accordo regionale di pace capace non solo di chiudere il conflitto israelopalestinese ma anche di creare una regione di sicurezza e sviluppo capace di diventare un ponte geoeconomico fra l’India e l’Europa Occidentale. La Casa Bianca vede il Medio Oriente come un tassello della sfida globale con Russia e Cina: se Putin favorisce gli incendi per creare instabilità anti-Usa e Xi lo considera una pedina della “Nuova Via della Seta”, Washington lavora sullo scenario di un’integrazione fra risorse economiche arabe ed alta tecnologia israeliana per collegare India, Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Israele ai mercati europei, innescando un potenziale motore di crescita globale. È una partita ancora all’orizzonte e disseminata di ostacoli — dal dopoguerra a Gaza al negoziato israelopalestinese — ma aiuta a capire quale è per Washington l’ambiziosa posta in palio.
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