Occidente debole rafforza Putin Analisi di Federico Rampini
Testata: Corriere della Sera Data: 01 febbraio 2024 Pagina: 1 Autore: Federico Rampini Titolo: «I potenti alleati di Putin»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/02/2024, a pag. 1-26, con il titolo "I potenti alleati di Putin", l'analisi di Federico Rampini.
A Mosca di questi tempi è più facile comprare una borsa di Gucci o Prada, anziché sei uova fresche al supermercato, secondo un’amara battuta in circolazione. Vladimir Putin sta infliggendo ai suoi ceti medio bassi delle sofferenze pesanti. Oltre alle salme dei caduti che tornano dal fronte ucraino, la vita quotidiana è segnata dai sacrifici. Le uova, per l’appunto, sono rincarate del 60% in un anno. Per combattere l’inflazione la banca centrale ha dovuto alzare i tassi d’interesse al 16%.
I ceti abbienti e i privilegiati se la cavano. Alle vacanze sulle Alpi hanno sostituito Dubai. Gli iPhone della Apple e gli accessori di lusso made in Italy o made in France si trovano su siti del commercio online specializzati nell’aggirare le sanzioni, che accettano carte di credito russe in barba all’embargo finanziario. Paesi limitrofi come Turchia, Bielorussia, Azerbaijan si arricchiscono «triangolando» il commercio di prodotti occidentali teoricamente vietati.
La vita è dura in Russia per la gente comune ma Putin punta su un giacimento di rancore sciovinista e di paranoia nazionalista, antiche patologie del suo popolo, per presentarsi come colui che ha tenuto testa all’Occidente e ce la sta facendo. Alle elezioni di marzo, che non lasciano dubbi sul vincitore, osserverà con attenzione il livello di partecipazione per capire se il consenso regge. (In tutto il mondo gli autocrati sono avidi divoratori di sondaggi riservati). Di recente ha usato il pugno duro contro un celebre locale notturno di Mosca frequentato da ricchi e popstar, dove si tenevano lussuose feste in stile «sesso droga rock-and-roll»: un gesto moralista e populista per far vedere che lui sta dalla parte delle masse, contro i privilegiati.
Putin è riuscito in quello che tutti gli autocrati sanno fare, dagli ayatollah iraniani a Kim Jong-un: ha riconvertito la Russia in una economia di guerra, spostando risorse umane e materiali verso le industrie belliche. Iran e Corea del Nord insegnano che si può sopravvivere molto a lungo come Stati-paria specializzati nella guerra e nel terrore; tant’è che Putin compra proprio da loro le armi che non riesce a fabbricarsi in casa. Per ridurre le privazioni del popolo russo può contare su altri aiuti importanti. La Cina non si lascia sfuggire nessuna opportunità di sostituire l’Occidente sul mercato russo. Neppure l’India partecipa alle nostre sanzioni, anche la sua economia grossa ed energivora compra gas e petrolio russo in abbondanza. L’offensiva di Hamas e poi soprattutto quella degli Houthi nel Mar Rosso hanno avuto come effetto collaterale di sostenere i prezzi mondiali delle energie fossili, un altro vantaggio per Putin.
Se si osserva la situazione attuale con uno sguardo lucido, bisogna ammettere che a volte chi soffre di isolamento siamo noi, più della Russia. In Medio Oriente perfino una potenza regionale come l’Arabia Saudita, che prospera da mezzo secolo sotto la protezione militare degli Stati Uniti, oggi pratica una totale «ambiguità strategica» coltivando ottimi rapporti con Mosca e Pechino.
La guerra di Gaza, se osservata dall’assemblea delle Nazioni Unite al Palazzo di Vetro di New York, vede un Occidente in minoranza, circondato da un Grande Sud globale che usa la causa palestinese contro Israele, l’America e l’Europa. Siamo sulla difensiva, e con il vento isolazionista che soffia in America, forse siamo alla vigilia di un «liberi tutti», in cui scioglieremo i ranghi?
Questo è lo stato del mondo a tre settimane dal secondo anniversario dell’aggressione russa contro Kiev, mentre i sogni di una vittoria militare ucraina sembrano svaniti. Se siamo delusi dobbiamo anzitutto prendercela con noi stessi. Non possiamo incolpare Zelensky, ma neppure Putin o Xi Jinping, per la nostra mancanza di determinazione e di tenacia. Le nostre sanzioni contro la Russia si sono rivelate un colabrodo anche perché molti occidentali fin dal primo giorno si sono adoperati per aggirarle. Solo ora, quasi due anni dopo l’aggressione contro l’Ucraina, il Congresso di Washington e l’Amministrazione Biden si stanno muovendo per usare alcune ricchezze russe sotto sequestro e trasferirle a Kiev. In Europa c’è chi ancora obietta, magari con l’argomento che mettere le mani su quelle ricchezze sarebbe una ferita al nostro iper-garantismo, ridurrebbe la credibilità dell’euro e del nostro sistema bancario. Miriadi di contribuenti italiani accusati di evasione sarebbero felici di godere delle stesse tutele che rendono Putin intoccabile.
Biden è ormai in un conto alla rovescia, raschia il fondo del barile per far pervenire a Zelensky soldi e armi. Paralizzato dal Congresso s’inventa stratagemmi di ogni sorta, per esempio manda armi alla Grecia (paese Nato) perché vengano da lì spedite a Kiev. Questo braccio di ferro con il Congresso sugli aiuti all’Ucraina anticipa di nove mesi «l’effetto Trump», qualora il repubblicano torni alla Casa Bianca. L’isolazionismo, popolare sia a destra sia nella sinistra pacifista, non nasce per caso. Biden ha lasciato marcire troppi problemi interni (caos al confine col Messico, criminalità e tossicodipendenze, carovita) mentre non è riuscito a convincere gli americani che gli interessi vitali dell’America sono in gioco in Europa.
L’Unione europea è a un bivio, anche a prescindere dall’eventuale vittoria di Trump. Deve decidere se vuole finalmente diventare adulta, che significa armarsi sul serio, ed essere protagonista della difesa di una nazione sovrana invasa da una potenza imperialista. Oppure può decidere che senza l’America la partita è finita, tanto vale arrendersi a Putin. Poi toccherà a Moldavia e Paesi Baltici soccombere o vivere sotto un ricatto permanente. Poi la Polonia. Poi si vedrà.
Il paradosso di quest’Occidente così prospero, così avanzato sotto tutti i profili (dalla scienza all’istruzione, dai diritti civili al Welfare) eppure così isolato e sulla difensiva, ci impone anche un esercizio di autocoscienza. Una civiltà non regge all’offensiva dei suoi nemici se non ha stima di sé, fiducia nei propri valori, orgoglio per ciò che ha dato al resto dell’umanità. Noi siamo spesso convinti che tutti gli altri abbiano ragione, ed è questa l’unica «educazione civica» che insegniamo ai nostri giovani. I nemici della democrazia e della libertà questo lo hanno capito fin troppo bene.
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