Il nuovo cittadino israeliano che nasce dopo il 7 Ottobre Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 15 gennaio 2024 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Il nuovo cittadino israeliano che nasce dopo il 7 Ottobre»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 15/01/2024 a pag.12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Il nuovo cittadino israeliano che nasce dopo il 7 Ottobre"
C’è un fatto essenziale che segna la resistenza di Israele in tempi impossibili e spiega che il Paese ce la farà: i ragazzi israeliani d’oggi, quelli fra i 18 e i 35 anni, sono molto più simili ai vecchi pionieri alla Ben Gurion e alla Jabotinsky della generazione dei professionisti moderni, ecologici, ideologici, woke come noi. Oggi in battaglie impossibili, a Khan Yunes o a Shlomi, giorno e notte, volontari negli ospedali, nell’agricoltura, nelle scuole, nella distribuzione di generi primari, le maestre d’asilo, i cantanti che fra le cannonate vanno a Gaza a cantare, o le cuoche che impacchettano gavette di cuscus… trovi ragazzini molto pratici, diretti, che amano la casa, la famiglia, che vogliono molti bambini, che ripetono “non ho altro Paese che questo”, telefonano alla mamma e alla fidanzata, sanno usare le armi in battaglia. E resistere al dolore in nome del loro futuro. Strana gente. Questi giovani saranno quelli che oltre i politici odierni compiranno un terremoto ideologico, senza destra e sinistra, oltre i religiosi e laici, perché hanno verificato che il Paese altrimenti rischia la vita. Abbandoneranno l’illusione che il Paese possa diventare la Svizzera, saranno quelli che porteranno una nuova e profonda comprensione della natura della guerra di Hamas, degli Hezbollah, dell’Iran con Israele, come descritta da Hossein Salami nel 1922 “Palestinesi e Hezbollah, passo passo, muoveranno insieme per liberare la Palestina in una guerra di terra, non coi missili”. Il West Bank si muove su questo modello, anch’esso per una profonda convinzione religiosa. Israele ha immaginato che condivisione e benessere portassero alla pace. Chi ha visto cos’è successo a Be’eri, chi ha ascoltato le testimonianze degli ostaggi ritornati, aggiungono molte tessere al mosaico della loro interpretazione della moralità ebraica: si deve anche sopravvivere, e mai più sopportare un’altra Shoah. Nel rispetto del valore della vita umana e delle regole internazionali, saranno quelli che sanno che si vince lo si fa da soli; e ci si batte per gli ostaggi non per motivi di pietà, ma per orgoglio. Questo è il Medio Oriente; i cento giorni lo hanno rivelato definitivamente. La centesima giornata dal 7 di ottobre ha portato su di sé tutto il fardello di quello che oggi Israele deve affrontare: l’attacco omicida ai civili dal Libano, Hezbollah e palestinesi, sulle case e sulla gente, gli attacchi terroristi dall’West Bank sul modello di quello di Gaza, recinti sfondati, mitra, asce, coltelli; l’Iran sullo sfondo di una guerra totale. E la lunga operazione di Gaza, carica di eroismo, di caduti, incerta sui tempi e soprattutto su come liberare 136 rapiti. Nel centesimo giorno, al nord e sul sud si vede la devastazione dei kibbutz intrisi di sangue, la desolazione dei Paesi al confine col Libano; e il peso sugli amici, sui membri della famiglia, dell’elaborazione del lutto, del significato misterioso del male, dei caduti in battaglia e dei tunnel dove si torturano i rapiti. Ma non è un’angoscia simile a quella del passato, nemmeno per la ferita che brucia dell’ondata di antisemitismo nel mondo, “from the river to the sea”. Qui, basta guardarsi intorno, osservare i ragazzi, e si vede che sta nascendo un nuovo israeliano.
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