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Il Foglio Rassegna Stampa
05.12.2023 Denunciare l’antisemitismo è un dovere
Discorso al Senato USA di Chuck Schumer

Testata: Il Foglio
Data: 05 dicembre 2023
Pagina: 6
Autore: Chuck Schumer
Titolo: «La solitudine degli ebrei»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/12/2023, a pag. 6 con il titolo "La solitudine degli ebrei".

Schumer to lead bipartisan senators group to Israel to show 'unwavering' US  support | The Times of Israel
Chuck Schumer

Pubblichiamo il discorso contro l’antisemitismo che Chuck Schumer, leader democratico della maggioranza al Senato, ha tenuto in aula il 27 novembre. Oggi prendo la parola per affrontare un argomento di enorme importanza: l’aumento dell’antisemitismo in America. Mi sento obbligato a parlare perché sono il politico ebreo eletto alla carica più alta in America; in realtà, il politico ebreo eletto al ruolo più rilevante nella storia americana. E ho notato una disparità significativa tra il modo in cui le persone ebree considerano l’aumento dell’antisemitismo e come molti dei miei amici non ebrei la considerano. Per noi, il popolo ebreo, l’aumento dell’antisemitismo è una crisi – l’allarme rosso di un incendio che deve essere spento. Per molte altre persone è semplicemente un problema, una questione di preoccupazione. Oggi voglio spiegare perché tante persone ebree vedono questo problema come una crisi. Ma prima di entrare nel merito, vorrei offrire due importanti precisazioni su ciò che questo discorso non è. Questo discorso non è un tentativo di etichettare la maggior parte delle critiche a Israele e al governo israeliano come antisemite. Non credo che la critica lo sia. E questo discorso non è nemmeno un tentativo di aumentare l’odio verso un gruppo contro un altro. Credo che il bigottismo contro un gruppo di americani sia bigottismo contro tutti, ed è per questo che ho sostenuto legislazioni come il COVID-19 Hate Crimes Act, che mira alla violenza contro gli americani di origine asiatica, e il Nonprofit Security Grant Program, che fornisce finanziamenti per aiutare tutti i luoghi di culto, chiese, moschee, sinagoghe, gurdwaras, a proteggersi dagli estremisti. Quando il presidente Donald Trump chiese il Muslim ban durante le prime settimane della sua presidenza, organizzai una conferenza stampa d’emergenza per protestare contro il divieto insieme a una madre musulmana e alle sue quattro figlie, tutte vestite in chador, che dissero di temere di non vedere mai più il loro padre. Fu un momento profondamente angosciante, e io sono una persona emotiva. Iniziai a piangere. Il presidente Trump mi vide piangere in tv e mi diede un soprannome: “Cryin’ Chuck Schumer”, il piagnucolone. Ero, e sono, molto orgoglioso di quel soprannome. La crescente e vivace comunità arabo-americana è parte vitale della nostra nazione e della mia città, e condanno inequivocabilmente ogni veleno e odio contro di essa. Abbiamo tragicamente visto dove talvolta può condurre tale odio, in Vermont questa settimana (dove sono stati uccisi tre ragazzi di origini palestinesi, ndr). E’ inaccettabile. Ma oggi voglio concentrare il mio intervento sull’antisemitismo, perché mi colpisce da vicino, e perché credo che questo momento lo richieda. Ho appena detto ciò che questo discorso non è. Quindi, di cosa parla questo discorso? Voglio descrivere le paure e le ansie di molti ebrei americani in questo momento, in particolare dopo il 7 ottobre, che sentono che alcuni aspetti del dibattito su Israele e Gaza stanno sfociando nell’antisemitismo, con ebrei presi di mira semplicemente perché sono ebrei e pur non avendo niente a che vedere con Israele. Voglio spiegare, attraverso la lente della storia, perché ciò è tanto pericoloso. La normalizzazione e l’esacerbazione dell’aumento di quest’odio sono il pericolo che molti ebrei temono di più. E infine, voglio suggerire come e perché spero che tutti gli americani di buona volontà possano unirsi e fare uno sforzo maggiore nel condannare tali opinioni e comportamenti. Ma prima, stabiliamo i fatti. Non c’è dubbio che l’antisemitismo sia un problema serio in America. In generale, gli ebrei americani rappresentano il 2 per cento della popolazione degli Stati Uniti, eppure sono bersaglio del 55 per cento di tutti i crimini d’odio basati sulla religione registrati dall’Fbi. Questo problema si è aggravato costantemente negli ultimi anni, ma dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, i crimini d’odio contro gli ebrei americani sono aumentati vertiginosamente. L’Anti Defamation League stima che gli episodi antisemiti siano aumentati di quasi il 300 per cento dal 7 ottobre. La polizia di New York ha registrato un aumento del 214 per cento nella città. Dopo il 7 ottobre, gli ebrei americani si sentono presi di mira, bersagliati e isolati. Ci sentiamo soli in molti modi. La solidarietà che gli ebrei americani hanno ricevuto inizialmente da molti dei nostri concittadini è stata rapidamente soffocata da altre voci. Mentre i corpi senza vita degli israeliani ebrei erano ancora caldi, mentre centinaia di israeliani ebrei venivano portati come ostaggi nei tunnel di Hamas sotto Gaza, gli ebrei americani erano allarmati nel vedere alcuni dei nostri concittadini definire questo brutale attacco terroristico in qualche modo giustificato a causa delle azioni del governo israeliano. Una massacro brutale, agghiacciante, premeditato di uomini innocenti, donne, bambini, anziani – giustificato! Ancora peggio, in alcuni casi, alcune persone hanno persino celebrato ciò che è accaduto, descrivendolo come il destino che meritano i cosiddetti “colonizzatori” e invocando “gloria ai martiri” che hanno compiuto tali atti ripugnanti. Molti di quelli che hanno espresso questi sentimenti in America non sono neonazisti, membri della Kkk o estremisti islamici. Sono, in molti casi, persone che la maggior parte degli ebrei americani liberal sentivano in passato come loro compagni ideologici. Non molto tempo fa, molti di noi hanno marciato insieme in difesa dei neri, degli ispanici, contro l’odio anti asiatico, ci siamo opposti al bigottismo contro la comunità Lgbtq+, abbiamo combattuto per la giustizia riproduttiva sulla base del riconoscimento che l’ingiustizia contro un gruppo oppresso è ingiustizia contro tutti. Ma, agli occhi di alcuni, quel principio non si estende al popolo ebraico. La gran parte dei sopravvissuti aschenaziti di decenni di pogrom nell’Impero russo, dell’Olocausto sotto la Germania nazista, i loro figli, nipoti e pronipoti; i mizrahi, che sono stati cacciati con la forza dai paesi arabi, e i loro discendenti; i molti sefarditi che sono stati dispersi nel Mediterraneo dopo essere stati espulsi da Spagna e Portogallo alla fine del 1400 – non meritano la solidarietà di coloro che si battono per i diritti e la dignità degli oppressi, considerata la lunga storia di persecuzione del popolo ebraico in tutto il mondo? Molti di coloro che protestano contro la politica israeliana notano i circa 700 mila palestinesi sfollati o costretti a lasciare le loro case nel 1948, ma non menzionano mai i 600 mila ebrei mizrahi in tutto il mondo arabo che sono stati anche loro sfollati, a cui sono state confiscate le proprietà, le cui vite sono state minacciate, e che sono stati espulsi dalle loro comunità. La speranza all’epoca era che ci sarebbero stati due stati. Uno stato ebraico e uno stato palestinese che vivessero fianco a fianco. Il piano era che lo stato di Israele assorbisse gli ebrei nei paesi arabi e il nuovo stato palestinese assorbisse i palestinesi che ora vivevano in Israele. In realtà, Israele ha assorbito gli ebrei sfollati dei paesi arabi, ma le nazioni arabe invece hanno autorizzato le Nazioni Unite a istituire campi profughi per i palestinesi, rifiutandosi di accettare la possibilità che qualcuno di loro potesse mai essere ricollocato. Più volte nella storia, i primi ministri israeliani hanno richiesto un ritorno ai confini pre 1967 stabiliti dal piano delle Nazioni Unite. Questi appelli sono stati respinti da Yasser Arafat, dall’Olp e dalla più ampia comunità araba. Molti, se non la maggior parte, degli ebrei americani, me compreso, sostengono una soluzione a due stati. Siamo in dissenso con il primo ministro Benjamin Netanyahu e con l’incoraggiamento del suo governo agli insediamenti in Cisgiordania, che è diventato un ostacolo considerevole a una soluzione a due stati. Il motivo per cui evoco questa storia sulla fondazione dello stato di Israele è perché dimenticare o addirittura ignorare questo contesto vitale è pericoloso. Alcuni dei discorsi più estremi contro Israele hanno dato coraggio agli antisemiti che attaccano le persone ebree semplicemente perché sono ebree, indipendentemente da qualsiasi cosa riguardi Israele. Coloro che sono inclini a esaminare il mondo attraverso la lente degli oppressori contro gli oppressi dovrebbero prendere atto che le molte migliaia di anni di storia ebraica sono definiti dall’oppressione. Dal 7 ottobre 2023 nel sud di Israele al 2018 nella sinagoga Tree of Life a Pittsburgh, al 1999 nel centro comunitario ebraico di Los Angeles, al 1986 nella sinagoga Neve Shalom a Istanbul, al 1974 nella scuola elementare Netev Meir a Ma’alot, al Yom Kippur del 1973 sulle alture del Golan, al 1972 alle Olimpiadi di Monaco e all’aeroporto di Lod, al 1967 allo Stretto di Tiran, agli anni Quaranta e Trenta in Germania e nell’Europa centrale, all’Ottocento nell’Insediamento del Pale, al 1679 nello Yemen, al 1492 in Spagna, al 1394 in Francia, al 1290 in Inghilterra, alle Crociate del Medioevo, al 629 in Galilea, all’anno 73 a Gerusalemme, al 586 a.C. in Giudea, al 722 a.C. in Samaria, e nel XIII secolo a.C. in Egitto, il popolo ebraico è stato umiliato, emarginato, espulso, ridotto in schiavitù e massacrato per millenni. Parafrasando le linee recitate ogni anno, secolo dopo secolo, al Passover, sulla tavola del seder: “Questo è il pane dell’afflizione che i nostri padri hanno mangiato nella terra d’Egitto. A ogni generazione, si alzano per distruggerci”. Per gli ebrei di tutto il mondo, la storia del nostro trauma che risale a molte generazioni è centrale in qualsiasi discussione sul nostro futuro. Troppi americani, specialmente nella nostra generazione più giovane, non hanno una comprensione completa di questa storia. Poiché alcuni ebrei hanno avuto successo in America, poiché Israele ha aumentato la sua potenza e il suo territorio, ci sono persone che pensano che gli ebrei americani non siano vulnerabili, che abbiamo la forza e la sicurezza per superare il pregiudizio e il bigottismo, che siamo diventati, citando il linguaggio di alcuni, gli “oppressori”. In realtà, le teorie del complotto antisemita spesso strumentalizzano proprio questa dinamica contrapponendo i successi che il popolo ebraico ha raggiunto contro di loro e contro i loro concittadini. Ma per molti ebrei americani, nonostante la forza e la sicurezza di cui godiamo sembra sempre troppo debole. Non importa quanto bene stiamo facendo, tutto ci può essere portato via in un istante. E’ proprio così. Dobbiamo solo guardare indietro di un secolo, poche generazioni, per vedere come questo può accadere. Crescendo, ricordo che mio nonno mi disse che aveva preferito stabilirsi in Germania piuttosto che in Russia durante la Prima guerra mondiale perché i tedeschi trattavano il popolo ebraico molto meglio della Russia. Agli inizi del 1900, gli ebrei tedeschi erano una delle comunità etniche più sicure e prospere d’Europa. Ma nell’arco di un decennio, tutto questo cambiò. Quando i nazisti per la prima volta marciarono per le strade e tennero manifestazioni che denunciavano i cosiddetti finanzieri internazionali, i profittatori di guerra e i comunisti, molti tedeschi di buona volontà rimasero in silenzio o marciarono al loro fianco, non necessariamente rendendosi conto di ciò che stavano aiutando e favorendo. Ma quando Adolf Hitler salì sul podio pochi anni dopo al Reichstag, era chiaro che i termini “finanzieri internazionali, profittatori di guerra e comunisti” rappresentavano il popolo ebraico, che Hitler chiamava “parassiti” che si nutrivano del corpo e del lavoro produttivo di altre nazioni. Pezzo per pezzo, i nazisti ammorbidirono il terreno retoricamente per quello che Hitler alla fine dichiarò come suo suo vero obiettivo: “L’annientamento della razza ebraica in Europa.” Così molti di quei tedeschi di buona volontà, che marciarono nei primi anni dell’ascesa di Hitler, rimasero in disparte dopo che il suo orribile intento fu reso chiaro. Il risultato finale, come tutti sappiamo, è stato il genocidio più mirato e sistematico della storia umana. Sei milioni di ebrei furono sterminati in pochi anni, mentre altri chiusero un occhio. La storia dimostra che l’antisemitismo è profondamente radicato in Europa. Ho sempre detto che è il veleno della società europea, così come il razzismo contro i neri è il veleno della nostra società. E mentre oggi siamo per fortuna molto lontani dalla Germania nazista, questo è il motivo per cui molti ebrei oggi si preoccupano di questi cortei, specialmente in Europa. Ciò che può iniziare come una critica legittima della politica israeliana, o anche come un valido dibattito su altre questioni religiose, economiche e politiche, può a volte trasformarsi in qualcosa di più oscuro, con cui attaccare il popolo ebraico semplicemente perché è ebreo. Ovviamente, molti di coloro che marciano qui negli Stati Uniti non hanno alcun intento malvagio, ma quando gli ebrei sentono canti come “Dal fiume al mare”, uno slogan fondativo di Hamas, un gruppo terroristico che certo non nasconde il obiettivo di sradicare il popolo ebraico, in Israele e in tutto il mondo, siamo allarmati. Quando vediamo cartelli tra la folla con su scritto “Con ogni mezzo necessario”, dopo l’attacco più violento di sempre contro i civili israeliani, siamo inorriditi all’invocazione di una tale barbarie. Quando vediamo i manifestanti alla parata del giorno del Ringraziamento di Macy confrontare il genocidio dell’Olocausto in modo equivalente alle azioni dell’esercito israeliano per sconfiggere Hamas per autodifesa del proprio popolo, siamo scioccati. E quando vediamo molte persone e organizzazioni giornalistiche rimanere neutrali circa l’assurdità di base di queste affermazioni e azioni, siamo profondamente delusi. Più di ogni cosa, siamo preoccupati – com’è naturale che sia, viste le vicissitudini della storia – di dove possano portare queste azioni e questi sentimenti. Per noi non si tratta di un esercizio intellettuale. Per molti ebrei si tratta di una questione di sopravvivenza, informata ancora una volta dalla storia – in questo caso, una storia molto personale. Prendiamo la storia della mia famiglia. Mio nonno arrivò a Ellis Island molto giovane dall’Europa dell’est, senza un’istruzione o un centesimo in tasca. Era un ragazzo di strada, rubava mele dai carretti per sopravvivere, ma sognava un futuro più luminoso per sé e per la sua famiglia. Mio nonno finì tra gli operai di una carteria a Utica, New York, e contribuì a formare il sindacato locale, ma perse il lavoro nel periodo precedente alla Seconda guerra mondiale, e così tornò a New York City e acquistò una piccola impresa di disinfestazione. Suo figlio, mio padre, seguì le sue orme e alla fine rilevò l’attività di disinfestazione. Mio padre ha faticato per quel lavoro, riusciva a malapena a sbarcare il lunario. Ma con mia madre, ha fornito una casa stabile e amorevole a Brooklyn per i miei fratelli e per me, dove abbiamo potuto crescere. E grazie alla tolleranza, all’apertura e alle opportunità che attraversano la vita in America, ora mi trovo davanti a voi come leader della maggioranza del Senato degli Stati Uniti, la più alta carica elettiva che un ebreo abbia mai raggiunto nella storia di questo paese. Solo in America il figlio di uno disinfestatore poteva diventare il primo leader ebreo di un partito al Senato. Ma va anche detto che questa non è la norma nel grande e lungo schema della storia ebraica. Mentre mio nonno arrivò in America ed ebbe delle opportunità, molti dei suoi fratelli, cugini, zii e altri membri della famiglia rimasero nell’Europa orientale. Quando ero ancora un ragazzino, mi è stato spiegato perché molti rami del nostro albero genealogico hanno smesso di crescere per sempre. Nel 1941, quando i nazisti invasero l’Ucraina, allora parte della Galizia, chiesero alla mia bisnonna – la matriarca della famiglia e moglie di un rabbino adorato a livello locale – di riunire i suoi figli, i suoi nipoti e i suoi pronipoti sul portico di casa, che si trovava nella piazza del paese. Mentre più di 30 persone, di età compresa tra gli 85 anni e i 3 mesi, si riunivano nel portico, i nazisti costrinsero i restanti cittadini ebrei della città a riunirsi e a guardare. Quando i nazisti dissero alla mia bisnonna: “Tu vieni con noi”, lei si rifiutò – e loro li mitragliarono tutti. I bambini, gli anziani e tutti gli altri. Questa storia è rimbombata nel profondo del mio cuore quando ho iniziato a scoprire i dettagli del massacro del 7 ottobre in Israele. Ero in Cina con una delegazione bipartisan di colleghi senatori, per cercare di convincere il presidente Xi Jinping ad aprire i mercati cinesi alle aziende americane e a fermare il flusso di fentanyl attraverso i nostri confini. Mentre gli orrori del 7 ottobre iniziavano a essere messi a fuoco, l’ambasciatore israeliano in Cina ha condiviso con me la storia di ciò che era accaduto in uno dei kibbutz, chiamato Be’eri. I terroristi di Hamas sono entrati nel kibbutz il 7 ottobre e hanno ucciso più di 120 residenti ebrei, dagli anziani ai bambini. Purtroppo, non era la prima volta che sentivo parlare di una simile malvagità commessa contro il popolo ebraico. La maggior parte, se non tutti gli ebrei americani, conosce storie simili a quella della mia famiglia. E la maggior parte di noi, se non tutti, ha imparato questa storia in giovane età. Sarà impressa nei nostri cuori finché vivremo. Tutti gli ebrei americani portano dentro di sé le cicatrici di questo trauma generazionale, e questo influenza direttamente il modo in cui viviamo ed elaboriamo quel che accade oggi. Vediamo e sentiamo le cose in modo diverso dagli altri perché siamo profondamente sensibili alle privazioni e agli orrori che possono accadere al popolo ebraico. Il che mi riporta a oggi. Mentre molti manifestanti considerano senza dubbio le loro azioni come un’espressione compassionevole di solidarietà con il popolo palestinese, molti ebrei americani ritengono che in troppi casi alcune delle retoriche più estreme diano spazio a idee ancora più oscure che si sono sempre annidate sotto la superficie di ogni questione che coinvolge il popolo ebraico. Gli antisemiti hanno sempre usato un linguaggio e azioni in codice per definire il popolo ebraico come indegno dei diritti e dei privilegi concessi ad altri gruppi. Credo che ci siano molte persone che cantano “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” non perché odiano il popolo ebraico, ma perché sostengono un futuro migliore per i palestinesi. Ma non c’è dubbio che Hamas e altre organizzazioni terroristiche abbiano usato questo slogan per rappresentare la loro intenzione di eliminare il popolo ebraico non solo da Israele, ma da ogni angolo della terra. Data la storia di oppressione, espulsione e violenza di stato che è praticamente incorporata nel dna ebraico, si può biasimare il popolo ebraico per aver percepito un messaggio violentemente antisemita, forte e chiaro, ogni volta che ha ascoltato questo canto? Non dovremmo accettare questo tipo di linguaggio da nessuno, così come non accettiamo altri richiami razzisti o chiamare il Covid-19 “virus cinese”. E questo vale anche per i coloni ebrei di estrema destra, che usano anche loro un linguaggio deplorevole e non credono che ci debbano essere palestinesi tra il fiume e il mare. Gli antisemiti stanno approfittando del movimento pro palestinese per esprimere odio e fanatismo nei confronti del popolo ebraico. Ma invece di denunciare questo pericoloso comportamento per quello che è, tanti nostri amici e concittadini, in particolare giovani che anelano alla giustizia, aiutano e sostengono inconsapevolmente la loro causa. E, peggio ancora, molti dei nostri amici e alleati, del cui sostegno abbiamo bisogno ora più che mai, in questo momento di immenso dolore ebraico, hanno messo da parte queste preoccupazioni. Improvvisamente, non vogliono sentir parlare di antisemitismo o dell’obiettivo finale di Hamas. Quando ho chiesto ad alcuni dei partecipanti alla marcia cosa farebbero contro Hamas, non sono riusciti a elaborare una risposta. A molti sembra non interessare. E così gli ebrei americani sono lasciati soli, almeno ai nostri occhi, a riflettere su cosa significhi tutto questo, e dove potrebbe portare. Riuscite a capire perché gli ebrei si sentono isolati quando sentiamo alcuni elogiare Hamas e cantare i suoi feroci slogan? Potete biasimarci perché ci sentiamo vulnerabili solo ottant’anni dopo che Hitler ha spazzato via metà della popolazione ebraica in tutto il mondo, mentre molti paesi ci hanno voltato le spalle? Riuscite a comprendere la profonda paura che abbiamo per ciò che Hamas potrebbe fare se lasciato a sé stesso? Perché il lungo arco della storia ebraica ci insegna una lezione difficile da dimenticare: in definitiva, siamo soli. Da adolescente cresciuto a Brooklyn, dall’altra parte del mondo, negli anni Cinquanta e Sessanta, ricordo di aver provato anch’io questa solitudine. Quando molte delle compagnie aeree mondiali boicottavano Israele per poter mantenere i loro affari con il mondo arabo, ammiravo Air France perché solo loro volavano in Israele. Preferivo persino la Coca-Cola alla Pepsi perché faceva affari in Israele e si rifiutava di partecipare a qualsiasi boicottaggio di parte. Più tardi, ricordo di aver camminato in silenzio per andare in classe alla James Madison High School con una radio a transistor all’orecchio, ascoltando i notiziari sulla guerra dei Sei Giorni e pregando Dio che Israele sopravvivesse. Oltre a sentirsi soli, il secondo sentimento dominante che il popolo ebraico ha sopportato nel corso della storia è stato il pungolo del doppio standard, che è il modo in cui il mondo ha praticato l’antisemitismo più e più volte. Per il popolo ebraico, il doppio standard è sempre stato presente ed è alla radice dell’antisemitismo. Il doppio standard è molto semplice: ciò che è buono per tutti, non è mai buono per l’ebreo. Quando arriva il momento di attribuire la colpa per qualche problema, l’ebreo è sempre il primo bersaglio. E negli ultimi decenni, questo doppio standard si è manifestato nel modo in cui gran parte del mondo tratta Israele in modo diverso rispetto a chiunque altro. Questo doppio standard mi è stato chiaro quando ero al college. Ricordo il giorno in cui il grande e distinto ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Abba Eban, fu invitato a venire a lezione nel campus, mentre gli Students for a Democratic Society (Sds) e il Progressive Labor Party (Plp) conducevano una campagna contro il diritto di Israele di esistere. Duemila persone si riunirono in un grande auditorium per vedere l’ambasciatore Eban, e i membri degli Sds e del Plp si sedettero in galleria e appesero uno striscione che diceva: “Combattete gli imperialisti sionisti”. Quando i membri degli Sds e del Plp cercarono di gridare il loro slogan, Eban puntò il dito verso i manifestanti nella galleria, e con la sua inflessione etoniana, espresse con calma ma con forza una dichiarazione che non dimenticherò mai, e che parafraserò ora. Disse: “Sto parlando con voi lassù nella galleria. Ogni volta che un popolo ottiene il suo stato, applaudite. I nigeriani, i pachistani, gli zambiani – applaudite per il loro status di paese. C’è un solo popolo che, quando ottiene il suo stato, che non applaudite, che condannate, e questo è il popolo ebraico. Noi ebrei ci siamo abituati. Abbiamo vissuto con un doppio standard attraverso i secoli. C’erano sempre cose che gli ebrei non potevano fare. Tutti potevano essere un contadino, ma non l’ebreo. Tutti potevano essere un falegname, ma non l’ebreo. Tutti potevano trasferirsi a Mosca, ma non l’ebreo. E ognuno può avere il proprio stato, ma non l’ebreo. C’è una parola per questo: antisemitismo, e accuso voi in galleria di questo”. E i manifestanti scapparono. Questo doppio standard persiste ancora oggi in America, e sta ancora una volta facendo sì che gli ebrei si sentano isolati e soli. All’indomani dell’attacco del 7 ottobre contro civili indifesi, anziani, donne e neonati, un buon numero di persone ha evitato di esprimere solidarietà per le vittime nella fretta di attribuire la colpa dell’attacco alle azioni passate del governo israeliano. Si può immaginare che un orribile attacco terroristico in un altro paese riceva una simile accoglienza? E quando i terroristi di Hamas si nascondono attivamente dietro a palestinesi innocenti, sapendo che molti di quei civili sarebbero morti nella risposta israeliana, perché le critiche per le morti dei civili sono ricadute esclusivamente su Israele e non su Hamas? Il mio cuore si spezza per le migliaia di civili palestinesi che sono stati uccisi o stanno soffrendo in questo conflitto, e in molte occasioni ho esortato il governo israeliano a ridurre al minimo le vittime civili. Ma commettendo atrocità così efferate il 7 ottobre, prima di rientrare di nascosto nei loro tunnel sotto gli ospedali e i campi profughi di Gaza, Hamas ha consapevolmente portato a un immenso tributo di civili durante questa guerra, sfruttando il doppio standard che gran parte del mondo applica a Israele. Naturalmente, lasciatemi ripetere: questo non solleva Israele dalla responsabilità di proteggere le vite innocenti dei palestinesi, e sono stato tra i primi a dire ai leader israeliani che devono agire secondo il diritto internazionale. Mi sto anche battendo per ottenere aiuti umanitari fondamentali per i palestinesi, che questo Senato, sotto la mia guida, sta lavorando per fornire. Per questo mi presento in quest’aula. Intervengo per dare un avvertimento, informato dalle lezioni della storia. Non importa quali siano le nostre convinzioni, a prescindere dalla nostra posizione sulla guerra a Gaza, tutti noi dobbiamo condannare l’antisemitismo con piena chiarezza ogni volta che lo vediamo, prima che si trasformi in qualcosa di ancora peggiore. Perché in questo momento, è questo ciò che gli ebrei americani temono di più. Il picco di antisemitismo che stiamo vivendo in questo momento in America è iniziato dopo il peggior caso di violenza commesso contro il popolo ebraico dopo l’Olocausto. Il vetriolo contro Israele sulla scia del 7 ottobre sta troppo spesso oltrepassando il limite di un antisemitismo sfacciato e diffuso, come non se ne vedevano da generazioni in questo paese – se non mai. Per questo motivo, ogni volta che lo vediamo, dobbiamo nominarlo chiaramente. Dopo il 7 ottobre, quando sono stati organizzati boicottaggi contro le aziende ebraiche di Filadelfia che non hanno nulla a che fare con Israele: questo è antisemitismo! Dopo il 7 ottobre, quando le svastiche sono apparse sulle gastronomie ebraiche dell’Upper East Side: questo è antisemitismo! Dopo il 7 ottobre, quando i manifestanti in California hanno gridato agli ebrei americani: “Hitler avrebbe dovuto eliminarvi!”: questo è antisemitismo! Dopo il 7 ottobre, quando una senatrice americana ebrea è stata violentemente minacciata per le sue opinioni su Israele: questo è antisemitismo! Dopo il 7 ottobre, quando nei campus universitari di tutto il paese gli studenti che indossano la kippah o espongono una stella ebraica vengono molestati, diffamati verbalmente, spintonati e persino colpiti con sputi e pugni: questo è antisemitismo! Dopo il 7 ottobre, quando un autore di un’importante rivista di sinistra ha etichettato la manifestazione pro Israele a Washington come una “manifestazione di odio”: questo è antisemitismo! Ho partecipato alla manifestazione perché credo che ci debba essere un luogo di rifugio per il popolo ebraico. Non perché io desideri la violenza sui palestinesi o su qualsiasi altro popolo. E dopo il 7 ottobre, quando gli studenti della Hillcrest High School nel Queens si sono scatenati nei corridoi e hanno chiesto il licenziamento di un’insegnante solo perché aveva partecipato a una manifestazione a sostegno di Israele, costringendola a nascondersi in un ufficio chiuso a chiave per ore mentre il personale lottava per riprendere il controllo: questo è antisemitismo! Uscire da scuola per marciare a sostegno dei palestinesi è del tutto legittimo. Ma costringere un’insegnante ebrea a rimanere – come lei stessa ha descritto – chiusa in un ufficio perché ha partecipato a una manifestazione a sostegno di Israele è antisemitismo puro e semplice. In effetti, quell’insegnante è seduta oggi in tribuna. L’ho invitata a venire ad ascoltare e sono davvero onorato che abbia accettato il mio invito. Questo è vero coraggio... e credo che dimostri quanto sia forte il sentimento di tanti ebrei americani su questo tema. Ha chiesto l’anonimato, che chiedo a tutti i presenti e a tutti i media di rispettare. Ma le dico dal profondo del mio cuore: grazie per essere qui e grazie per il suo interesse. Ho appena elencato alcuni dei tanti esempi di come l’antisemitismo puro e semplice sia aumentato drammaticamente dal 7 ottobre. Ma le radici della democrazia pluralistica e multietnica sono profonde in America. Questo è un luogo in cui gli ebrei hanno potuto prosperare insieme a tanti altri gruppi di immigrati. Non dobbiamo mai perdere di vista quanto ciò sia speciale. Né dobbiamo mai smettere di lottare per questo. Tutti noi americani abbiamo la responsabilità e l’obbligo di reagire ogni volta che vediamo sorgere in mezzo a noi pregiudizi di qualsiasi tipo. Per preservare questa nazione come terra promessa di rifugio, come terra che onora la dignità di ogni individuo, come terra di opportunità per tutti. Il mio appello al popolo americano, di ogni credo e provenienza, è quindi questo. Primo, imparare la storia del popolo ebraico, che è stato ripetutamente abbandonato – lasciato isolato e solo a combattere l’antisemitismo – con risultati disastrosi. In secondo luogo, rifiutare il doppio standard illogico e antisemita che viene ancora una volta applicato alla situazione delle vittime e degli ostaggi ebrei, ad alcune azioni del governo israeliano e persino all’esistenza stessa di uno stato ebraico. In terzo luogo, capire perché gli ebrei difendono Israele: non perché vogliamo fare del male ai palestinesi, ma perché temiamo un mondo in cui Israele sia costretto a tollerare l’esistenza di gruppi come Hamas che vogliono cancellare tutti gli ebrei dal pianeta. Temiamo un mondo in cui Israele, il luogo di rifugio del popolo ebraico, non esisterà più. Se non ci sarà Israele, non ci sarà nessun luogo, nessun posto dove il popolo ebraico possa andare quando viene perseguitato in altri paesi. Da adulto, ricordo di aver visto mio nonno, uno dei pochi della sua famiglia sopravvissuti all’Olocausto, farsi sopraffare dall’emozione e scoppiare in lacrime quando vide Israele per la prima volta. Non aveva nulla a che fare con la politica, o con il denaro, o con il razzismo, o con il potere coloniale oppressivo. Era profondamente umano. La catarsi emotiva di un uomo la cui famiglia è stata sradicata e sterminata, che finalmente mette piede in un luogo di rifugio per la sua gente. Molti dei miei zii, cugini, nipoti e nipotini sarebbero vivi oggi se Israele fosse esistito prima della Seconda guerra mondiale. Molti ebrei americani temono ciò che il futuro potrebbe riservare, sulla base delle ripetute lezioni della storia. Molti ebrei americani vedono un chiaro antisemitismo nel doppio standard utilizzato da troppi oppositori di Israele, e lo vedono negli attacchi agli ebrei semplicemente per il fatto di essere ebrei, a prescindere da qualsiasi cosa abbia a che fare con Israele. E forse la cosa peggiore è che molti ebrei americani si sentono soli nell’affrontare tutto questo, abbandonati da troppi amici e alleati nel momento del bisogno, mentre i crimini di odio antisemita salgono alle stelle in tutto il paese. Imploro ogni persona, ogni comunità e ogni istituzione di stare dalla parte degli ebrei e di denunciare l’antisemitismo in tutte le sue forme, in particolare il doppio standard che è stato usato contro il popolo ebraico per generazioni per isolarci. Il momento della solidarietà deve essere adesso. E’ in gioco il futuro dell’esperimento americano. Costruire un’unione più perfetta, che realizzi i nostri ideali fondanti, è la nostra lotta più lunga e solenne come paese. E come americani, siamo chiamati a fare tutto il possibile per raggiungere questo standard più elevato. Siamo i custodi delle fiamme della libertà, della tolleranza e dell’uguaglianza che riscaldano il nostro melting pot americano e rendono possibile agli ebrei americani di prosperare insieme ai palestinesi americani e a tutti gli altri gruppi di immigrati provenienti da tutto il mondo. Siamo una nazione che può sfidare il corso regolare della storia umana, dove il popolo ebraico è stato ostracizzato, espulso e massacrato più e più volte? Credo che la risposta possa e debba essere un sonoro “sì”. E farò tutto ciò che è in mio potere – come leader della maggioranza del Senato, come ebreo americano, come cittadino di una società libera, come essere umano – per far sì che ciò accada. Ken Y’hi Ratzon, sia fatta la Sua volontà.

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