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Bet Magazine Rassegna Stampa
21.11.2023 Intervista a Reza Ciro Pahlavi
di David Zebuloni

Testata: Bet Magazine
Data: 21 novembre 2023
Pagina: 14
Autore: David Zebuloni
Titolo: «Reza Ciro Pahlavi: 'Il mio sogno è liberare il mio paese dai suoi tiranni'»
Riprendiamo da BET Magazine-Mosaico di novembre 2023, a pag. 14, l'intervista di David Zebuloni con il titolo "Reza Ciro Pahlavi: 'Il mio sogno è liberare il mio paese dai suoi tiranni' ".


Inseguire il sogno di Israele, tra realtà e illusioni | Kolòt-Voci
David Zebuloni

Iran: Reza Ciro Pahlavi, il ritorno dello Scià? - Opinio Juris
Reza Ciro Pahlavi

Intervista all’erede al trono del Pavone, Reza Ciro Pahlavi: «Non ho alcuna fantasia di tornare in Iran e mettermi la corona. La mia missione di vita è garantire che il mio popolo possa andare a votare democraticamente e scegliere il proprio destino»

Essendo nato in una famiglia di origini iraniane, in casa mia i racconti, a tratti leggendari, sulla famiglia reale dello Scià di Persia erano all’ordine del giorno. Le vicende di un re buono, generoso specie con i suoi sudditi di religione ebraica, per i quali il trono del Pavone fu una parentesi rosea in un’epoca buia. Oggi, con un po’ meno sentimentalismi identitari e nostalgici, la figura complessa dell’erede al trono Reza Ciro Pahlavi, mi affascina moltissimo. Ancor più di quanto facesse in passato. Le sue sorti mi sembrano ancora più fiabesche dei racconti sentiti nell’infanzia.
Re senza trono e senza corona, esiliato in una terra lontana, unico erede di una dinastia gloriosa e quasi estinta, è ancora aggrappato al ricordo del suo paese ed è determinato a cambiarne le sorti, a favore di un futuro libero e di pace. Non una fiaba, ma una storia vera. Una storia coinvolgente, spinosa, appassionante, tortuosa e molto, molto triste. Non solo il racconto di un Re mancato, ma la sorte di un intero popolo oppresso da un regime totalitario.

Reza pare sereno quando ricorda la sua infanzia, quando rievoca i fantasmi del passato, ma dalla voce traspare tutta l’amarezza per un presente incompiuto, troppo distante da quello che gli spettava. Il nostro incontro doveva avvenire quasi un anno fa, a Tel Aviv, durante una sua visita storica in Israele. L’intervista è stata poi annullata e rimandata a tempo indefinito, a causa dei troppi impegni di Sua Maestà. Proprio come nelle fiabe, tuttavia, tutto è bene quel che finisce bene. Il (quasi) re e l’umile (ma neanche troppo) servitore, s’incontrano a metà strada. Ovvero in rete. In un momento cruciale della storia dello Stato Ebraico, infatti, nel pieno di una crisi militare e politica, Reza ha rivendicato l’intervista lasciata in sospeso e durante un lungo e stimolante incontro virtuale, si è schierato, ancora una volta, a fianco del popolo israeliano. Un gesto mai scontato di amicizia e solidarietà. Una prova di grande coraggio, degna di un vero Re.

Sua Altezza, il regime iraniano nega la Shoah. Lei ha deciso di visitare Israele proprio nel Giorno della Memoria. È stata questa una coincidenza puramente causale o fortemente voluta?
Volevo che i miei valori, rispetto a quelli del regime, fossero molto chiari. Ciò che è accaduto agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale non potrà mai essere dimenticato. Il fatto che i tiranni del regime rinneghino l’esistenza di questa strage è assolutamente, umanamente incomprensibile. D’altronde, questo è il loro scopo: cancellare ogni altra forma di civiltà o religione, specie quella ebraica, per affermare la loro. Per piantare la loro bandiera e gridare vittoria. Il mio compito è quello di dar voce agli altri iraniani, forse la maggior parte del popolo iraniano, che condivide gli stessi valori di Israele.

Qual è stato il momento più significativo di quella visita?
Ci sono stati diversi momenti significativi, ma formali, come gli incontri con Herzog e Netanyahu, la visita al Muro del Pianto e al Museo di Yad Vashem. Eppure, il momento più significativo è avvenuto il modo completamente informale, spontaneo. Era l’ultimo giorno della visita, due prima del volo, io e mia moglie siamo scesi a fare colazione in spiaggia, a Tel Aviv. Nessuno sapeva che fossimo lì. D’un tratto, una piccola folla di cittadini comuni si è stretta attorno a noi e ci ha ringraziati per la nostra visita, per il nostro coraggio. Ci siamo abbracciati. È stato molto, molto emozionante.

Parlando di coraggio, non ha mai temuto per la sua incolumità? Voglio dire, non teme che il regime veda in lei una minaccia e possa eliminarla?
In termini di sicurezza, la mia vita è sempre stata in pericolo, anche prima che lasciassi l’Iran. Ci sono diverse organizzazioni terroristiche che vorrebbero assassinarmi, farmi fuori, e talvolta ci sono riuscite con alcune persone a me vicine. Dunque mi domando, qual è la soluzione? Nascondermi? Certo che no. Sono consapevole che il mio ruolo comporti dei rischi, è un prezzo che sono disposto a pagare pur di adempiere al mio compito.

Una domanda ingenua, quasi infantile, ma lei crede davvero che un giorno ci sarà la pace tra Iran e Israele?
Assolutamente sì, senza alcuna ombra di dubbio. Non perché lo dico io, ma perché lo dicono milioni di iraniani. Credimi David, non immagini quanto potenziale strategico potrebbe esserci tra i due paesi. Israele è di gran lunga il modello ultimativo di miglior democrazia esistente in Medio Oriente. Nei campi della tecnologia, della medicina e dell’ambiente, l’Iran avrebbe moltissimo da imparare da Israele, ma anche moltissimo da offrire, in termini di risorse. Il giorno in cui il regime crollerà, ne sono certo, i confini verranno abbattuti e tutte le barriere, politiche e militari, verranno rimosse.

Non è troppo ottimista?
No, la mia non è una speranza o un augurio, ma una piena certezza. L’attuale regime iraniano comprende tutte le peggiori forme di regime che abbiamo conosciuto nell’età moderna. È un regime al contempo totalitario, razzista e fascista. Ecco, la storia ci insegna che i regimi totalitari, alla fine, crollano sempre ed è la pace a regnare.
E se la maggior parte degli iraniani fossero a favore del regime e contrari alle sue posizioni liberali?
È impossibile. Io sono convinto che la maggior parte degli iraniani la pensi come me. Gli iraniani sanno che il regime non è loro, che non agisce nei loro interessi, che la sua sola missione è quella di esportare un’ideologia radicale nel mondo.

Lei crede davvero ad un eventuale possibile attacco nucleare iraniano o pensa che quella del regime sia solo una sterile minaccia?
Io credo che Israele e il mondo intero non possano correre il rischio che questa minaccia sia fondata. Del regime non ci si può fidare, mai. Il giorno in cui l’Iran avrà un’arma nucleare, non esiterà ad utilizzarla. Pertanto, bisogna fare tutto il possibile affinché il progetto nucleare in corso non venga ultimato.

Lei sostiene e legittima ogni mossa politica e militare da parte di Israele in Medio Oriente?
Israele difende se stessa dal terrorismo, ma questo non è un problema che riguarda solo lei. Il terrorismo è un problema internazionale, e va sconfitto. Io credo che sia arrivato il momento in cui ognuno di noi deve essere chiaro nelle proprie intenzioni. Ognuno di noi deve prendere una posizione. Non possiamo rimanere in mezzo, dobbiamo decidere da che parte stare.

Per lei è sempre stato chiaro da che parte stare?
Sì, io sto dalla parte di tutte quelle nazioni pacifiche che insieme possono garantire un clima di stabilità e solidarietà in Medio Oriente e nel mondo. Io so molto bene chi sono i miei nemici, spero che anche gli altri l’abbiano capito.

Qual è l’ultimo ricordo che ha del suo paese, prima dell’esilio?
Risale al giorno precedente la nostra fuga. Avevo appena finito il liceo e avevamo organizzato una festicciola tra amici, in classe. Era un momento di felicità pura. Il giorno seguente avevo un volo di sola andata per il Texas. Da allora, non sono più tornato in Iran.
Com’è la vita di un principe nel proprio regno?
La vita di un principe comprende molti ruoli istituzionali e rappresentativi. Ricordo che sin da bambino dovevo presenziare ad eventi di ogni tipo: cerimonie, inaugurazioni, ricorrenze, ma anche manifestazioni sportive, che amavo moltissimo. Era tutto molto formale e ufficiale, ma anche estremamente normale. Non c’era distacco con il popolo. Andavo a scuola come tutti, andavo al mare, giravo per negozi a fare acquisti e se il venditore non voleva che pagassi, poiché erede al trono, lo minacciavo: se non accetti i miei soldi, non tornerò mai più. Era una vita diversa, ma abbastanza normale, genuina.

Cosa ha scoperto in esilio, che non sapeva quando abitava in Iran?
Vedi, il popolo iraniano è un popolo estremamente emotivo. La cultura iraniana è una cultura estremamente emotiva. Si usa più il cuore che la mente. Nel mondo libero ho scoperto i benefici di ragionare con la mente, ma ho realizzato soprattutto che il connubio tra cuore e mente è imbattibile. Se gli iraniani riuscissero a bilanciare la loro emotività con un po’ di razionalità, ne scoprirebbero sicuramente i benefici. Non a caso il mio motto è: agisci sempre con il cuore, ma ragiona sempre prima di agire.
Tornerebbe a vivere in Iran, se solo fosse possibile?
Innanzitutto vorrei essere libero di poter viaggiare in quella porzione di mondo, di entrare e uscire dal paese e contribuire dall’interno e dall’esterno. Poi ci sono diversi scenari possibili, non escludo nulla.

Come ci si sente ad essere “un re senza regno”?
Non ci penso molto.
Davvero?
Davvero. Non mi vedo più come un’istituzione monarchica. Sì, ero destinato a diventare lo Scià, ma la mia vita da allora è stata travolta e stravolta a tal punto da portarmi ad intraprendere un’altra strada.

Quale titolo si conferisce oggi?
Il titolo di un uomo che ha quarant’anni di esperienza nel mondo libero da donare all’Iran. Non voglio limitarmi ad un titolo monarchico che mi obblighi ad adempiere solo ad alcuni compiti specifici. Non è il ruolo istituzionale a starmi a cuore, ma il suo contenuto. Bisogna pensare al futuro dell’Iran. Bisogna contribuire alla libertà del sistema politico iraniano. Se l’Iran vive in un clima dittatoriale, nessuna monarchia può salvare le sorti del paese. Bisogna battersi affinché l’Iran diventi un paese democratico. Questa è la priorità e questo è il motivo per il quale preferisco agire senza titoli. Essere un monarca, in questo momento, mi limiterebbe soltanto. Non ho alcuna fantasia di tornare in Iran e mettermi la corona in testa. Il mio sogno è liberare il mio paese dai suoi tiranni. La mia missione di vita è garantire che il mio popolo possa andare a votare democraticamente e scegliere il proprio destino.

Se il suo sogno dovesse realizzarsi, qual è la prima cosa che intende fare?
Portare le mie figlie a visitare i luoghi in cui sono nato e cresciuto. Vorrei tanto che incontrino, che tocchino con mano, che respirino la mia cultura. La loro cultura. Spero che il tempo sia generoso con me e mi permetta di vivere quel momento.

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