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Libero Rassegna Stampa
15.11.2023 Quello che Hamas non dice
Commento di Pietro Senaldi

Testata: Libero
Data: 15 novembre 2023
Pagina: 11
Autore: Pietro Senaldi
Titolo: «Quello che Hamas non dice»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 15/11/2023, a pag.11, con il titolo 'Quello che Hamas non dice' il commento di Pietro Senaldi.

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Pietro Senaldi

HERO HAMAS | Cartoon Movement
La differenza tra Hamas e Israele


Il dramma degli ospedali di Gaza; o l’equivoco degli ospedali di Gaza? Ma anche il ruolo degli ospedali di Gaza e, soprattutto, quello di chi vi è ricoverato e di chi vi lavora. Se Israele vincerà la guerra o la pareggerà, o la perderà, dipenderà dagli israeliani, forse più dalla loro opinione pubblica che dal loro esercito. Militarmente non c’è partita. Netanyahu può entrare nella Striscia quando e come vuole; ciò che lo frena sono tre fattori: l’Occidente, ma semplifichiamo dicendo gli Stati Uniti, gli ostaggi nelle mani di Hamas e le perdite umane di militari che lo Stato Ebraico ritiene sostenibili per la causa superiore. Le vite dei palestinesi, che per l’Occidente sono prioritarie, per il governo e per la popolazione israeliana non sono determinanti per le decisioni strategiche. A Gaza governa Hamas, Hamas il 7 ottobre ha aperto la guerra in modo due volte vigliacco, perché non l’ha neppure dichiarata, e quindi è Hamas a doversi preoccupare dei suoi civili, non Israele, il nemico. Questo il ragionamento di Gerusalemme, che poi si occupa dei feriti palestinesi più di Hamas perché Israele è Occidente e quindi fa così e perché per i terroristi musulmani più sangue loro viene versato meglio è. 

IL RUOLO DEGLI USA Gli Stati Uniti sono preoccupati di evitare un’escalation e sono intervenuti in tutti i modi per frenare Israele. Il rischio di allargare il conflitto ora è minore rispetto a qualche settimana fa e ora le pressioni si concentrano sul salvataggio dei civili palestinesi. Apertura di corridoi umanitari, ore di tregua e soccorsi agli ospedali di Gaza. Si sta facendo tutto questo ma, a onore del vero, il pur descritto debolissimo governo di Netanyahu non si fa gestire la guerra da Wasghington, che pur ascoltato poco ha fornito allo Stato Ebraico armi per 14 miliardi di dollari, stanziamento senza pari. Gli ostaggi sono il vero problema. L’opinione pubblica interna è divisa se mettere la loro salvezza come obiettivo assoluto, unico, mediare o considerare la loro liberazione un effetto eventuale della vittoria. Le trattative sono aperte ma Netanyahu non è intenzionato a scambi clamorosi, dei quali pure ci sono precedenti, tipo un israeliano per cento o mille terroristi. Infine c’è il problema dell’impiego dell’esercito, che è entrato nel Nord di Gaza ma non attacca in modo da sfondare. Tra le rovine bombardate della città, bastano tre o quattro uomini ben armati per infliggere perdite pesanti a un plotone. Nei tunnel sotterranei è peggio, e in più si mette a rischio la vita degli ostaggi, che lì sono imprigionati. Questo lo scenario nel quale si gioca la partita degli ospedali. Israele è convinto che Hamas li abbia eletti a proprio nascondiglio, utilizzando come scudi umani i feriti palestinesi. Israele non le bombarda, male strutture sanitarie sono effettivamente allo stremo. Poca energia per operare, poche medicine per curare, decessi che si potrebbero evitare. Se Hamas tenesse al proprio popolo, lascerebbe entrare le truppe israeliane e i medici occidentali negli ospedali; certo, poi i suoi spietati miliziani dovrebbero trovarsi un altro nascondiglio. 

IL GIALLO E qui c’è il giallo: nel descrivere la situazione disperata nella quale lavorano, medici palestinesi giurano di non aver mai visto nelle loro strutture combattenti di Hamas. Con tutta la buona volontà del mondo, è impossibile credergli. Hamas ha due rami, quello politico e quello combattente. Il primo ha vinto le elezioni quasi vent’anni fa, non ha più restituito il potere ed è pubblico. L’altro opera più nell’ombra: è oggettivamente possibile che un palestinese, anche un medico, non sappia se il vicino di casa o chi ha sotto i ferri appartiene ad Hamas oppure no. Le stesse cellule militari di Hamas spesso non sono in contatto tra loro, anche per questioni di sicurezza, sia per nascondersi dai servizi segreti israeliani, sia perché i terroristi sono usi risolvere con il kalashnikov anche le diatribe interne. Questo però non significa che non ci sia un filo d’acciaio che lega Hamas agli ospedali. Le cellule terroristiche hanno, nei loro covi, tavoli operatori rudimentali per intervenire sui feriti; però questo avviene solo per le situazioni più gravi e comunque il bisturi viene sempre affidato a un medico, ricattato, rapito a tempo, prelevato, persuaso in qualche modo. Quando poi la situazione lo richiede, c’è una rete rodata che porta il terrorista dritto sotto i ferri di un’equipe in grado di intervenire, in una sala operatoria in ospedale, a Gaza. 

CITTADINI E TERRORISTI Militanti, complici, simpatizzanti, collaborazionisti, cittadini usati sotto ricatto, minacciati, stipendiati: il rapporto tra i palestinesi non appartenenti ad Hamas e l’organizzazione governativa-terroristica rientra comunque in una di queste categorie. Non è possibile vivere altrimenti nella Striscia, ma anche in Cisgiordania. Questo vale tanto più quanto più sei utile; e in un teatro di guerra, i medici sono utilissimi. La possibilità che quando i camici bianchi palestinesi giurano di non avere rapporti con Hamas essi giurino il falso è quindi altissima. E poi ci sono i tunnel, che corrono sotto le strutture sanitarie, fatto che non è in discussione. Gaza è un fazzoletto di terra sovrappopolato; persone che vivono l’una sull’altra, non si muovono mai, sono legate da un’intensa rete di rapporti famigliari, sono cresciute e vivono nell’odio nei confronti di Israele, che ne cementa il legame. Parliamo di un popolo diviso tra un’organizzazione criminale che governa in modo dittatoriale e dei cittadini considerati e trattati da martiri della guerra santa, allevati per esserlo, ma in un certo senso unito dalla guerra, dal grande nemico comune da cancellare dalla mappa geografica. Negli ospedali, i medici sono i mediatori tra queste due realtà. Quando è necessario, scendono nei tunnel scavati dai terroristi e da ingegneri che ne hanno fatto una rete sotterranea sofisticata, che ha inghiottito quasi tutti gli aiuti economici che l’Occidente ha dato al popolo palestinese nei decenni. Il contatto tra Hamas e i medici è quotidiano, come quello tra i terroristi e i giornalisti palestinesi che operano a Gaza, alcuni dei quali erano a fianco dei tagliagole a filmare durante la mattanza del 7 ottobre. Riportare sui nostri quotidiani la testimonianza dei dottori che dicono di non conoscere Hamas è giornalismo sul campo, ma sapendo da chi arrivano quei virgolettati, dubitare della veridicità del loro contenuto è d’obbligo, o quantomeno molto avveduto.

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