Gli Stati Uniti e la guerra di Gaza
Analisi di Antonio Donno
“Benedetto sia Israele visibile, che ha permesso a un popolo umiliato di vivere onorevolmente, di esistere, in una parola, e, come tutto ciò che esiste, di esistere nello spazio e nel tempo”. Così ha detto Vladimir Jankélévitch in un’allocuzione pronunciata nel 7° Colloquio degli intellettuali ebrei di lingua francese il 24 ottobre 1965 [ora in V. Jankélévitch, La coscienza ebraica, Firenze, La Giuntina, 1986, pp. 111]. L’esistenza di Israele “nello spazio” e nel tempo” significa difendersi da coloro che ne vogliono la distruzione; ma la difesa non può essere separata dall’offesa, quando l’offesa è indispensabile per sconfiggere i propri nemici e garantire la propria sopravvivenza. La storia dello Stato di Israele è stata un continuum di difesa e offesa, con successo. Ancora una volta, oggi, Israele si trova in una situazione simile alle precendenti.
Il dato importante degli eventi attuale è la posizione degli Stati Uniti. Fin dall’inizio del conflitto il presidente Biden non solo ha espresso piena solidarietà a Israele, ma ha affermato senza mezzi termini il diritto di Gerusalemme a difendersi e a replicare. I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza non hanno incontrato alcuna opposizione da parte di Washington, anche se la situazione sempre più grave degli abitanti sta imponendo l’ingresso di aiuti umanitari. Tuttavia, è la prima volta negli ultimi decenni che la difesa-offesa di Israele è stata accettata dagli Stati Uniti e dai Paesi occidentali senza alcuna esitazione. Questa posizione è stata determinata dalla gravità dell’operazione dei terroristi di Hamas nei kibbutzim israeliani vicini al confine con Gaza.
Diversa, fino ad oggi, è stata la reazione degli Stati Uniti di fronte agli attacchi terroristici verso singoli ebrei nella West Bank, attacchi che hanno provocato negli ultimi due-tre anni centinaia di vittime. Spesso la risposta israeliana – che ha colpito centri di organizzazione terroristica in quella regione, con la morte di qualche civile palestinese – sono stati criticati, spesso apertamente condannati dagli Stati Uniti, perché ritenuti eccessivi. In realtà, in quelle occasioni Washington era condizionato dal sua politica volta a conseguire l’esito della creazione di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Eppure, la diversa entità delle uccisioni da parte dei terroristi non rappresenta un discrimine tra le singole azioni mortali nei confronti degli israeliani e la strage compiuta il 7 ottobre. Le singole uccisioni, computate insieme, sono una strage di civili israeliani all’interno dei propri territori, in nulla e per nulla diversa da quella del 7 ottobre.
I bombardamenti di Israele su Gaza sono continui, hanno causato e causano centinaia di morti, ma gli Stati Uniti non hanno opposto alcuna obiezione. C’è, però, un fattore che rischia di mettere in crisi il sostegno americano a Israele: la possibile invasione di Gaza via terra da parte di Gerusalemme. Su questo punto Biden ha espresso una contrarietà che rischia di rendere insufficiente la reazione di Israele nei confronti dei terroristi di Hamas. Netanyahu ha più volte detto che lo scopo del suo Paese è di sradicare Hamas dalla Striscia di Gaza, ma questo sradicamento può essere effettuato solo con una sistematica azione dei carri armati e delle truppe di terra di Israele. I terroristi di Hamas vivono e si organizzano in una seconda Gaza, quella sotterranea, nella quale sono custoditi gli armamenti provenienti dall’Iran. Per questo motivo, soltanto un’operazione analitica nel sottosuolo di Gaza può portare all’eliminazione radicale dei terroristi di Hamas.
Finora l’Iran si è limitato a minacciare, soprattutto a causa della posizione assunta dagli Stati Uniti in questo conflitto. Tuttavia, Biden teme che un’azione radicale di Israele a Gaza possa modificare l’atteggiamento di Teheran, di cui Hamas è l’espressione politico-militare ai confini dello Stato ebraico. Se, però, Netanyahu dovesse accondiscendere alla richiesta di Washington, Hamas continuerebbe a esercitare il proprio ruolo contro Israele. In questo caso, gli Stati Uniti dovrebbero radicalmente rivedere la propria politica nel Medio Oriente e assumere una posizione a favore di Gerusalemme, garantendo a Israele e ai Paesi degli “Accordi di Abramo” una difesa politico-militare più solida contro l’Iran.
Antonio Donno