L’Iran insidia la pace nel Medio Oriente. Washington tace
Analisi di Antonio Donno
Il recente accordo tra Stati Uniti e Iran, che ha portato alla liberazione di cinque americani e altrettanti iraniani, più lo sblocco di sei miliardi di dollari iraniani che Washington aveva congelato nella Corea del Sud, non modifica affatto i rapporti tra i due Paesi e non facilita la ripresa del negoziato sulle questioni nucleari del regime degli ayatollah. Gli Stati Uniti hanno chiesto a Teheran di utilizzare quei fondi per scopi umanitari – considerate le pessime condizioni economiche della popolazione iraniana –, ma questa richiesta ha del comico, come ha ben messo in rilievo il Partito Repubblicano nella sua acuta critica allo scambio di prigionieri e allo sblocco del denaro.
Come ha affermato subito Raisi, presidente dell’Iran, il denaro appartiene al popolo iraniano e perciò sarà speso secondo le necessità del Paese. In realtà, è difficile negare che tale importo sarà destinato allo sviluppo del sistema nucleare iraniano, considerato una necessità per il popolo più che il sostentamento alimentare della gente impoverita sino all’estremo. Né, tantomeno, il denaro che Teheran incassa dalla Cina per le forniture petrolifere a favore di Pechino sono destinate alla ripresa economica generale e al miglioramento delle condizioni della popolazione, nonostante le continue proteste nelle grandi città iraniane. La situazione economica è stabile, cioè miserevole. La Russia non è in grado di aiutare economicamente l’Iran perché il suo sistema economico va verso una profonda crisi, come ha ammesso a denti stretti lo stesso Putin.
Tornando ai rapporti Stati Uniti-Iran, tutto è fermo, né quest’ultima intesa ha un peso specifico importante. Per quanto Biden abbia annunciato nuove sanzioni contro l’Iran, sarà difficile che si addivenga a un negoziato serio, che induca Teheran a rinunciare allo sviluppo del proprio sistema nucleare. Anche i Paesi europei, che facevano parte del gruppo impegnato nei precedenti negoziati, tacciono, lasciando isolati gli Stati Uniti nella loro assidua quanto vana ricerca di un contatto politico con la dirigenza iraniana in grado di riaprire un sentiero negoziale. La questione, come si presenta oggi, è questa: Teheran ha portato i negoziati di Vienna al fallimento. Lo ha fatto con astuzia, con tappe ben studiate, e talvolta accusando gli Stati Uniti di voler umiliare il Paese sciita, proponendo soluzioni giudicate inaccettabili da Teheran.
Con il passare del tempo, il regime iraniano ha allargato i propri obiettivi internazionali. La diplomazia di Teheran ha compiuto passi importanti soprattutto nello scacchiere mediorientale in cui il Paese è inserito, rompendo l’isolamento che aveva contraddistinto la sua politica fin dalla presa del potere di Khomeini nel 1979. Era un isolamento strettamente difensivo dettato dalla paura di essere rovesciato da forze esterne. Con il trascorrere degli anni, il regime si è consolidato, nonostante le ribellioni interne, e ora è un fattore di grande pericolo per la stabilità del Medio Oriente e per lo stesso Israele. Più volte, negli anni scorsi, di fronte al rafforzamento militare di Teheran e alle sue mire politiche regionali, Netanyahu aveva sollecitato gli Stati Uniti a non ritirarsi dal Medio Oriente – come è avvenuto con Obama e Biden, e in parte con Trump – ma, al contrario, di accentuare la loro presenza politica nella regione.
I timori di Israele si sono avverati. Falliti i contatti negoziali tra Stati Uniti e Iran, Israele si trova in una situazione di confronto con l’Iran. Gli “Accordi di Abramo” hanno congiunto gli interessi economici e di difesa di Israele e di alcuni Paesi arabi sunniti, ponendo una barriera verso dell’Iran. E tuttavia, Teheran non ha rinunciato a estendere la propria diplomazia in vari punti del Medio Oriente, in particolare in Arabia Saudita, anche se si è diffusa la voce che Riad intenda entrare negli “Accordi di Abramo” e abbia fatto richiesta agli Stati Uniti di nuovi armamenti, compreso il nucleare. Tutto è, però, incerto, anche se nel mondo sunnita è diffuso il timore dell’espansione di Teheran: l’unica, vera loro difesa è Israele.
Antonio Donno